Sentenza n. 14 del 1971
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SENTENZA N. 14

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 707 e 708 del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 24 dicembre 1968 dal pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Monti Jader, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 12 marzo 1969;

2) ordinanze emesse il 24 marzo 1969 dal pretore di Monsummano Terme nel procedimento penale a carico di Barbato Ciro ed il 28 marzo 1969 dal pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Gulino Salvatore e Cardinale Salvatore, iscritte ai nn. 200 e 226 del registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 2 luglio 1969;

3) ordinanze emesse il 30 aprile 1969 dal pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Faucci Enrico ed il 26 maggio 1969 dal pretore di Brescia nel procedimento penale a carico di Gasparini Roberto, iscritte ai nn. 302 e 303 del registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 207 del 13 agosto 1969;

4) ordinanza emessa il 13 maggio 1969 dal pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Auzino Giovanni, iscritta al n. 411 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 26 novembre 1969;

5) ordinanza emessa il 28 ottobre 1969 dal pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Mottola Francesco, iscritta al n. 434 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 7 gennaio 1970.

Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 1970 il Giudice relatore Enzo Capalozza.  

Ritenuto in fatto 

Le sette ordinanze indicate in epigrafe hanno posto in dubbio, sotto vari profili, la legittimità costituzionale degli artt. 707 e 708 del codice penale, nel corso di distinti procedimenti a carico di persone imputate dell'uno o dell'altro, ovvero di entrambi i reati previsti dalle denunziate disposizioni.

Complessivamente considerate, le questioni e le principali argomentazioni possono essere così raggruppate e riassunte:

a) Violazione dell'art. 3 della Costituzione per il riferimento a condizioni personali e sociali dei soggetti attivi dei reati, contenuto nelle norme denunziate. Il pretore di Bologna, muovendo dalla sentenza n. 110 del 1968, con la quale questa Corte ebbe a dichiarare parzialmente illegittimo l'articolo 708 del codice penale, profila, negli stessi limiti, l'illegittimità costituzionale del precedente art. 707 (al quale, appunto, si richiama l'art. 708).

Analoga violazione, con riguardo, pero, a tutta la parte concernente le condizioni personali e sociali del prevenuto, é stata denunziata, per lo stesso art. 707, dal pretore di Livorno; per l'art. 708, dai pretori di Monsummano Terme e di Firenze; e, per i due articoli, da quest'ultimo giudice, in un'altra delle sue ordinanze. La quale, inoltre, censura sia l'ingiustificata parificazione, cui sarebbero sottoposti, nel trattamento punitivo, i condannati per semplice contravvenzione concernente la prevenzione di delitti contro il patrimonio rispetto ai condannati per delitti determinati da motivi di lucro; sia la violazione del principio della finalità rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.), sul riflesso che i soggetti attivi dei reati sarebbero destinatari dei rispettivi precetti per il solo fatto di essere stati già condannati.

b) Inversione dell'onere della prova: questa sarebbe posta a carico dell'imputato - in contrasto con la presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.) - in ordine all'attuale destinazione (art. 707) o alla provenienza (art. 708) di quanto ingiustificatamente posseduto (questioni promosse per entrambe le denunziate norme dal pretore di Firenze in una sua ordinanza e, per il solo art. 708, dallo stesso pretore con altre due ordinanze, oltreché dal pretore di Monsummano Terme).

c) Insussistenza, nell'art. 707, di una vera e propria condotta vietata: la norma, in sostanza, avrebbe ad oggetto, anziché un'azione, un semplice stato, quale é il possesso. Secondo il pretore di Brescia, si avrebbe una triplice illegittimità: eccessiva ed ingiustificata compressione della libertà della persona, di cui all'art. 13 della Costituzione, per la genericità e l'astrattezza del criterio di collegamento tra il divieto del possesso degli oggetti e la ratio della relativa norma; previsione di una pena, anziché di una misura di sicurezza, per la mera possibilità di un reato, indipendentemente da una condotta colpevole, in violazione degli artt. 25 e 3 della Costituzione; priorità arbitrariamente attribuita alla tutela del patrimonio, in confronto a quella di altri beni costituzionalmente protetti, e disparità di trattamento rispetto a più gravi ipotesi previste dal codice penale (artt. 49 cap. e 115) e non sanzionate con pena.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parti.  

Considerato in diritto 

1. - Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate con le sette ordinanze di rimessione, riguardano, talune, l'articolo 707 del codice penale, talaltre, il successivo art. 708, talaltre ancora, entrambe le disposizioni.

Le relative cause, strettamente connesse, sono state trattate congiuntamente e vengono riunite per essere decise con unica sentenza.

2. - Le disposizioni contenute nei citati artt. 707 e 708 del codice penale sono state denunziate a questa Corte dalle ordinanze citate in epigrafe sotto vari profili.

In particolare, dal pretore di Bologna si afferma, in sostanza, che l'art. 707, "limitatamente alla parte in cui fa richiamo alle condizioni personali di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta", contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione per l'eterogeneità di queste categorie di persone rispetto a quelle che abbiano dei precedenti penali relativi a condanne per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni attinenti alla tutela indiretta del patrimonio: livellamento ritenuto incongruo ed irragionevole.

La censura é fondata.

Già con sentenza n. 110 del 1968, questa Corte ha eliminato il richiamo, nell'art. 708 (quale reato proprio), a quelle stesse condizioni soggettive che formano oggetto del giudizio a quo e che sono mutuate proprio dall'art. 707.

3. - La medesima ordinanza del pretore di Bologna osserva, nella sola motivazione, che, "mentre la lettera della norma sembra richiedere, quale presupposto soggettivo, più di un reato determinato da motivi di lucro o concernente la prevenzione di delitti contro il patrimonio", la giurisprudenza é, invece, prevalente nel ritenere che é sufficiente a concretare il presupposto soggettivo richiesto dalla legge anche la condanna per un solo reato ed invoca una pronunzia interpretativa ad hoc della Corte. Ma questo é un argomento di stretta interpretazione, che spetta al giudice ordinario e che non attiene al riscontro di legittimità costituzionale.

4. - Con la prima ordinanza di rimessione del pretore di Firenze si solleva, tra l'altro, la specifica questione della ingiustificata parità di trattamento che si assume sussistere tra il condannato per delitto determinato da motivi di lucro e il condannato per contravvenzione (per la quale é sufficiente la colpa) concernente la prevenzione di delitti contro il patrimonio. Ma la questione é inammissibile non avendone il pretore attestato la rilevanza ed avendo, anzi, affermato che "gli imputati erano pregiudicati per delitti contro il patrimonio".

5. - Le ulteriori e più estese censure contenute nelle ordinanze del pretore di Livorno e del pretore di Brescia, oltreché nella prima ordinanza del pretore di Firenze, che investono, sempre con riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'art. 707 del codice penale, come quello che incrimina un mero status, anziché una condotta, attengono ad uno degli aspetti della vigente legislazione penale (anche speciale) e valgono come critica, per quanto apprezzabile, ad una scelta del legislatore. D'altro canto, anche tale ipotesi di reato presuppone una necessaria condotta, di cui il possesso attuale di determinate cose, che, quoad personam, inducono al sospetto, non é che una conseguenza.

6. - Non appare pertinentemente invocato dal pretore di Brescia l'art. 13 della Costituzione, dappoiché questo, nel tutelare la inviolabilità della libertà personale, stabilisce, per la sua limitazione, delle garanzie che non possono dirsi vulnerate dallo scopo dissuasivo della norma denunziata.

7. - Per ciò che riguarda gli artt. 25 e 27 della Costituzione, le censure avanzate devono essere egualmente ritenute infondate, alla stregua delle considerazioni contenute nella sentenza n. 110 del 1968 di questa Corte. Non vengono addotti motivi nuovi e, comunque, tali da indurre a diversa decisione.

8. - Quanto all'inversione dell'onere della prova, che viene prospettata in pretesa violazione dell'art. 27, secondo comma, della Costituzione (sia in relazione all'art. 707 del codice penale, sia o sia anche in relazione all'art. 708: vedi ordinanze del pretore di Monsummano Terme e del pretore di Firenze), vale ciò che si é detto nella già citata sentenza n. 110 del 1968: é da escludere che le norme denunziate, nel richiedere al prevenuto la giustificazione dell'attuale destinazione delle chiavi oppure degli strumenti atti ad aprire o forzare serrature e, rispettivamente, della provenienza del denaro o degli oggetti non confacenti al suo stato, esigano la prova della legittimità della destinazione e della provenienza, limitandosi, invece, a pretenderne una attendibile e circostanziata spiegazione, da valutarsi in concreto nelle singole fattispecie, secondo i principi della libertà delle prove e del libero convincimento, i quali, ovviamente, si atteggeranno in modo diverso a seconda che si tratti di strumenti di uso comune inerenti all'attività professionale del prevenuto oppure di ordigni di utilizzazione non ordinaria, di somme ingenti o di cose pregiate e rare oppure di somme modeste o di cose correnti.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 707 del codice penale, limitatamente alla parte in cui fa richiamo alle condizioni personali di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 707 e 708 del codice penale, nella parte in cui assoggettano allo stesso trattamento punitivo il condannato per delitti determinati da motivi di lucro e il condannato per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, proposta in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 708 del codice penale, nella parte in cui fa richiamo alle condizioni personali di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta, già dichiarata illegittima con sentenza n. 110 del 2 luglio 1968.  

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1971.