Sentenza n. 10 del 1971
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SENTENZA N. 10

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (riguardante la facoltà di visita dell'ispettore del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 22 marzo 1969 dal pretore di Narni nel procedimento penale a carico di Patrizi Filippo, iscritta al n. 177 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969.

Visti gli atti di costituzione di Patrizi Filippo e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1970 il Giudice relatore Giuseppe Chiarelli;

uditi gli avvocati Arturo Carlo Jemolo e Luigi Ciucci, per il Patrizi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 

L'Ispettorato del lavoro di Terni, in seguito a visita di ispezione eseguita presso l'azienda agricola Patrizi Montoro, sita in Montoro, denunziava al pretore di Narni, con verbale di contravvenzione 14 gennaio 1969, il sig. Filippo Patrizi, quale responsabile dell'azienda, per inosservanza dell'art. 5 del contratto collettivo 1 ottobre 1959, per i braccianti agricoli avventizi della Provincia di Terni, reso esecutivo erga omnes con decreto del Presidente della Repubblica 11 dicembre 1961, n. 1663. Il Patrizi si presentava spontaneamente al pretore per fornire chiarimenti e per sollevare un'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 8 del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, in riferimento all'art. 14 della Costituzione.

Il pretore, con ordinanza 22 marzo 1969, rimetteva a questa Corte la questione di legittimità costituzionale del capoverso del detto articolo, in riferimento all'art. 14, nonché agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Nell'ordinanza si rileva che la detta disposizione potrebbe essere in contrasto col principio della inviolabilità del domicilio, garantito dall'art. 14 della Costituzione, in quanto il d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, non sembrerebbe diretto a finalità economiche e perciò non rientrerebbe nelle leggi speciali a cui rinvia il terzo comma del richiamato art. 14; ed in quanto la disposizione stessa non sembra che statuisca alcuna disciplina per l'esecuzione dei previsti atti di coercizione e, in particolare, che ponga limiti alla facoltà dell'ispettore di introdursi nei locali indirettamente connessi con l'esercizio della azienda, quando abbia fondato sospetto che servano a compiere o nascondere violazioni di legge. Viene inoltre prospettato il dubbio di un contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto, essendo concessa all'ispettore la facoltà di compiere indagini di polizia giudiziaria, sarebbe da estendere alla disposizione impugnata quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 86 del 2 luglio 1968. Si deduce infine un contrasto con l'art. 3 della Costituzione, perché il cittadino imprenditore, imputato di violazioni di norme sulla legislazione sociale, non godrebbe delle identiche possibilità di difesa dell'imputato di reati comuni.

In seguito a regolare notifica e comunicazione dell'ordinanza, si é costituito nel presente giudizio il sig. Patrizi Montoro, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Ciucci, con deduzioni 23 aprile 1969, in cui si aderisce agli argomenti dell'ordinanza. É anche intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto 24 giugno 1969.

In esso si rileva preliminarmente che la questione proposta con riferimento alla tutela costituzionale della libertà domiciliare non sembra rilevante nella specie, perché risulterebbe dalla stessa ordinanza che il sig. Filippo Patrizi Montoro é domiciliato in Roma e non nei locali in cui fu compiuta la visita. Comunque si sostiene l'infondatezza nel merito delle prospettate censure. Si osserva in proposito che la norma impugnata rientra nelle previsioni dell'ultimo comma dell'articolo 14 della Costituzione, perché i fini per cui é istituito l'Ispettorato del lavoro non possono non considerarsi "economici", come si desume dalla delimitazione di "rapporti economici", contenuta nei Titolo III della Costituzione, e perché i poteri attribuiti all'Ispettorato sono rivolti anche alla realizzazione di fini fiscali e di sanità e incolumità pubblica. Si rileva inoltre che é pacifico che gli accertamenti e le ispezioni di cui al terzo comma dell'art. 14 della Costituzione non debbono essere preceduti dall'atto motivato dell'Autorità giudiziaria e che il d.P.R. n. 520 del 1955 determina chiaramente i limiti dell'esercizio della facoltà degli ispettori di effettuare visite, mentre non attribuisce ad essi alcun potere di coercizione. Quanto alla asserita violazione dell'art. 24 della Costituzione si osserva che la facoltà prevista dal capoverso dell'art. 8 rientra nell'attività di vigilanza degli ispettori. La necessità di compiere atti di polizia giudiziaria può sorgere solo se, avuta notizia di un reato, sia necessario assicurarne le prove; ma tale attività, non prevista né permessa dalla norma impugnata, sarà regolata dalla Sezione I, Capo I, Titolo I, del secondo libro del codice di procedura penale, nel contenuto risultante dalle note sentenze della Corte costituzionale. Infine si sostiene che non é fondata la questione proposta con riferimento all'art. 3 della Costituzione, perché la facoltà di vigilanza preventiva é esercitabile nei confronti di tutti coloro che si trovano nelle condizioni previste dalla legge, ed essendo diretta alla tutela della parte più debole del rapporto di lavoro, é rivolta ad attuare l'effettiva eguaglianza dei cittadini, in applicazione proprio dell'art. 3 della Costituzione. Si conclude perché le proposte questioni siano dichiarate infondate.

Per il sig. Patrizi Montoro gli avvocati Luigi Ciucci e prof. Arturo Carlo Jemolo hanno presentato memoria, nella quale sono ampiamente sviluppati i motivi dell'ordinanza.

Nella discussione orale le difese delle parti hanno ribadito i rispettivi argomenti.  

Considerato in diritto 

1. - L'art. 8 del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, attribuisce agli ispettori del lavoro la facoltà di visitare i laboratori, opifici, cantieri ed i lavori, in quanto siano sottoposti alla loro vigilanza, nonché i dormitori e refettori annessi agli stabilimenti. Attribuisce altresì la facoltà di visitare i locali annessi a luoghi di lavoro e direttamente o indirettamente connessi con l'esercizio dell'azienda, quando gli ispettori abbiano fondato sospetto che servano a compiere o nascondere violazioni di legge.

Tale disposizione é stata impugnata per violazione dell'art. 14, nonché degli artt. 24 e 3 della Costituzione.

In riferimento all'art. 14 si deduce che il decreto che comprende la disposizione impugnata, e che reca il titolo "Riorganizzazione centrale e periferica del Ministero del Lavoro", non rientrerebbe nella categoria delle leggi speciali per "fini economici", di cui al terzo comma del detto art. 14; subordinatamente si solleva il dubbio che la disposizione stessa sia costituzionalmente illegittima perché non contiene una disciplina per l'esecuzione degli atti di coercizione da essa previsti, e in particolare non pone limiti alla facoltà dell'ispettore di introdursi nei locali anche solo indirettamente connessi con l'esercizio dell'azienda, quando abbia il predetto fondato sospetto, non valutato dall'autorità giudiziaria.

Ma il denunciato contrasto con l'art. 14 della Costituzione non sussiste.

Il terzo comma di tale articolo, con lo stabilire che " gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali", pone una deroga alla norma del comma precedente, nella parte in cui questa richiede che ispezioni, perquisizioni e sequestri siano eseguiti "secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale": deroga limitata ad atti di accertamento e di ispezione previsti da leggi speciali per i motivi e i fini indicati.

É pertanto pacifico in dottrina e in giurisprudenza che nei casi previsti dal detto comma, e nei limiti posti da esso, non si richiede l'atto motivato dell'autorità giudiziaria, che é invece sempre necessario per le perquisizioni personali e i sequestri.

Già in precedenti decisioni questa Corte ha avuto occasione di affermare che, per il terzo comma dell'art. 14, le esigenze di soddisfare interessi generali protetti dalla Costituzione si impongono e vanno soddisfatte anche nel conflitto con l'interesse alla inviolabilità del domicilio (sentenza n. 45 del 1963 e ordinanza n. 61 del 1964). Ciò non vuol dire che il diritto alla libertà del domicilio abbia una resistenza minore di altri diritti costituzionalmente garantiti, ma soltanto che la tutela di esso trova dei limiti, posti dalla stessa Costituzione, nella tutela di interessi generali anch'essi da questa protetti.

Sulla base di tali premesse, i termini della questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento all'art. 14 della Costituzione si precisano nel dover accertare se la disposizione impugnata rientri nell'ambito del terzo comma del detto articolo e se sia conforme ai ricordati principi. A giudizio della Corte, la risposta non può essere che affermativa.

2. - L'argomento che la norma denunciata non sarebbe stata dettata a "fini economici" non ha fondamento.

É appena il caso di osservare che il titolo del decreto legislativo in cui essa é compresa non ha rilevanza, dovendosi portare l'esame sul contenuto della norma, la quale riguarda uno dei modi di esplicarsi della funzione di vigilanza della pubblica autorità sull'attuazione delle leggi in materia di lavoro e di previdenza sociale.

Assicurare l'osservanza di tali leggi rientra nei fini propri della disciplina dei rapporti economici voluta dalla Costituzione. La tutela del lavoro e la previdenza sociale sono infatti da questa considerati come elementi essenziali dell'ordinamento della vita economica, inscindibilmente connessi con gli altri aspetti dell'organizzazione economica e dell'attività produttiva che formano oggetto delle sue norme. In armonia col principio che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art. 35), la Costituzione richiede che l'iniziativa economica si svolga in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (art. 41, secondo comma); riconosce il diritto dei lavoratori alla previdenza e alle assicurazioni sociali (art. 38), e prevede i controlli perché l'attività economica sia indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 4 1, terzo comma). Le leggi in materia di lavoro e di previdenza sociale, dirette all'attuazione di tali principi, formano perciò parte integrante dell'ordinamento dei rapporti economici garantiti dalla Costituzione, ed i mezzi per assicurarne l'osservanza rientrano nei controlli destinati all'attuazione di tale ordinamento.

Non si può pertanto negare che la norma impugnata sia diretta a fini economici costituzionalmente garantiti: a fini, cioè, per i quali il terzo comma dell'art. 14 ammette che accertamenti e ispezioni siano regolati da leggi speciali.

3. - Priva di fondamento é anche la censura della norma impugnata sotto l'aspetto che mancherebbe una disciplina per l'esecuzione degli atti coercitivi da essa previsti.

In proposito é da precisare che l'attività contemplata da tale norma rientra, e trova i suoi limiti, nella funzione di vigilanza preventiva, istituzionalmente propria dell'Ispettorato del lavoro (art. 7 dello stesso decreto n. 520 del 1955; art. 4 legge n. 628 del 1961). Essa comprende tutte le indagini dirette ad accertare le condizioni in cui si svolgono i rapporti di lavoro e l'esatta applicazione delle norme relative, ma non comprende il compimento di atti di coercizione.

Il compito degli ispettori, nel procedere a quelle indagini, non consiste esclusivamente, come sostiene la difesa della parte privata, nel prendere conoscenza delle condizioni di salubrità e di sicurezza dei luoghi di lavoro, e in compiti analoghi, a tutela dell'integrità fisica dei lavoratori. Rientra invece nelle loro facoltà interrogare il personale occupato e chiedere notizie a qualsiasi dipendente dell'impresa in grado di fornire chiarimenti in ordine all'applicazione delle predette norme, nonché prendere visione dei documenti da cui possono trarre elementi per l'adempimento del loro ufficio (vedi art. 138, lett. d, r.d. 28 agosto 1924, n. 1422). In correlazione con queste facoltà, chi gestisce l'impresa, o ne dirige l'attività o vi collabora, é tenuto a non impedire che l'ispettore adempia il suo compito e a prestarsi alle sue indagini. In una precedente sentenza questa Corte ha già riconosciuto che non sono costituzionalmente illegittime le leggi che attribuiscono a funzionari appositamente preposti il compito di sorvegliare le imprese, perché siano adempiuti gli obblighi derivanti dalle leggi in materia di previdenza e di tutela del lavoro, e di raccogliere dati e documenti necessari all'attuazione dei fini previdenziali e retributivi, con la collaborazione di chi risponde dinanzi alla legge dell'attività dell'impresa e non può rifiutarsi di aderire a indagini e a richieste da cui dipende l'attuazione della legge previdenziale o retributiva (sentenza n. 32 del 1965). Ed é anche da ricordare la successiva sentenza n. 104 del 1969, nella quale si é affermato che "la tutela garantita dall'art. 14 della Costituzione, come é chiaramente rivelato dai tipi di immissione consentiti alla pubblica autorità con le forme e nei casi indicati nei due commi successivi dello stesso articolo, non copre la sfera di quegli obblighi personali di informazione e comunicazione che la legge può imporre al cittadino, anche se connessi all'uso che egli fa del luogo da lui adibito a suo domicilio".

Se pero la facoltà attribuita agli ispettori dalla disposizione in esame comprende quella di prendere visione di registri e documenti attinenti allo svolgimento dei rapporti di lavoro e all'adempimento degli obblighi previdenziali, non comprende invece un potere di obbligare coercitivamente alla esibizione di essi, né di apprenderli autoritativamente, ed esclude ogni possibilità di perquisizione personale.

Ove si determini la necessità di provvedimenti costrittivi, che come tali esulano dalla funzione amministrativa di vigilanza nel cui ambito si mantiene la norma impugnata, soccorrono le norme a garanzia della libertà personale e del diritto di difesa.

Precisati così i limiti della facoltà conferita agli ispettori del lavoro dalla norma impugnata, non si può non riconoscere che questa é conforme alla previsione, contenuta nell'art. 14, terzo comma, della Costituzione, di "accertamenti" e "ispezioni" per i fini ivi indicati.

Né manca una adeguata disciplina di tale facoltà. Infatti lo stesso art. 8 precisa i luoghi in cui la visita può essere fatta, e l'attività degli ispettori trova adeguata regolamentazione nelle altre norme legislative che ne segnano i limiti oggettivi e soggettivi. Quanto ai primi, sono da tener presenti le norme che limitano le indagini sui processi lavorativi e tutelano la segretezza di questi ed in genere delle notizie richieste e rilevate (art. 7, secondo e terzo comma, dello stesso decreto n. 520; art. 4, terzo e quarto comma, legge 22 luglio 1961, n. 628). Quanto ai limiti soggettivi é da considerare che l'Ispettorato é inserito in un ordinamento gerarchico, é soggetto esso stesso a controlli ispettivi ed é tenuto a seguire istruzioni e direttive nell'esercizio dei poteri discrezionali affidatigli, come già fu rilevato nella sentenza di questa Corte n. 105 del 1967.

4. - Dalla constatazione che la norma impugnata non comprende la facoltà di procedere a perquisizioni personali o a sequestri discende che per gli atti da essa previsti non si richiede, come per questi ultimi (art. 13 Cost.), l'autorizzazione del giudice, anche se si debbano compiere in locali indirettamente connessi con l'esercizio dell'azienda.

In relazione a quest'ultima ipotesi vengono sollevati dubbi di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 24 della Costituzione. Si osserva nell'ordinanza che l'art. 8, secondo comma, del decreto citato, col consentire agli ispettori l'accesso nei predetti locali quando abbiano fondato sospetto che servano a compiere o nascondere violazioni di legge, li facoltizzerebbe a svolgere, nella qualità di ufficiali di polizia giudiziaria, un'attività diretta alla individuazione di reati e alla raccolta di prove, senza l'osservanza delle forme richieste a garanzia del diritto di difesa, secondo le norme del codice di rito e secondo le note decisioni della Corte in materia.

Ma l'assunto non é fondato.

La disposizione in esame non autorizza l'ispettore a compiere nella visita atti di polizia giudiziaria, né altera il carattere e i limiti della facoltà che gli é attribuita.

La norma é intesa a limitare la discrezionalità degli ispettori, per evitare, in locali non propriamente di lavoro, ispezioni puramente turbative o non giustificate da validi motivi; a tal fine condiziona l'esercizio della facoltà di visita all'esistenza, non arbitrariamente valutabile dall'ispettore, di un sospetto di violazione di quelle leggi di cui egli ha il compito di controllare l'osservanza. Ma ciò non significa che il sospetto debba fondarsi su un indizio di reato di cui si debbano raccogliere le prove ai fini di un successivo giudizio penale, e non implica nemmeno che l'accertamento dei fatti sospettati debba condurre necessariamente a una denuncia o a un procedimento penale.

A prescindere dai casi in cui la visita porti a verificare l'esatta osservanza delle norme sul lavoro e la previdenza, essa può dar luogo al riscontro di irregolarità non aventi rilevanza penale o a prescrizioni, mediante atti di diffida, la cui emanazione é affidata alla discrezionalità degli ispettori, quali organi amministrativi in grado di valutare, nella complessità della legislazione sociale, i mezzi più idonei per conseguire i fini dell'ordinamento (citata sentenza n. 105 dei 1967).

Pertanto l'attività dell'ispettore prevista dalla norma impugnata, sia che si svolga nei locali di lavoro o, in seguito al predetto sospetto, nei locali connessi, consiste sempre in una attività di vigilanza amministrativa, che nettamente si distingue, come ha ritenuto la giurisprudenza e la dottrina, dall'attività di polizia giudiziaria. Né può l'ispettore andare oltre i limiti di essa.

Manca quindi il presupposto perché venga in discussione il diritto di difesa, com'é stato ritenuto da questa Corte in relazione ad altri casi di controllo dell'attività privata da parte della pubblica Amministrazione (sentenze nn. 149 del 1969 e 200 del 1970).

Né tale diritto é sacrificato nel caso in cui l'ispezione con-duca a una denuncia all'autorità giudiziaria. Gli accertamenti compiuti nel corso della visita e la trasmissione al giudice dei relativi verbali non pregiudicano infatti l'andamento e i risultati del successivo processo penale, né possono irrimediabilmente comprometterne la sorte; possibilità che invece determina l'esigenza costituzionale della tutela del diritto di difesa nelle indagini di polizia giudiziaria preordinate a una pronuncia penale (sentenza n. 86 del 1968). Dal deferimento alla autorità giudiziaria delle risultanze del controllo compiuto dall'ispettore del lavoro non nasce una situazione nella quale trovi limitazioni, formali o sostanziali, l'esercizio del diritto di difesa in giudizio e la possibilità di fornire le prove contrarie. Così, nel caso in cui si faccia luogo a un decreto penale, sarà sempre consentito al condannato proporre e svolgere le sue ragioni in sede di opposizione e addurre le proprie prove, senza che dall'operato dell'ispettore derivi alcuna restrizione di quelle garanzie di difesa la cui esistenza ha portato a ritenere la legittimità costituzionale del decreto penale (sentenza n. 27 del 1966).

Per contro, voler estendere agli atti di ispezione le identiche garanzie che si richiedono per gli atti istruttori o preliminari all'istruzione penale non solo non corrisponderebbe al carattere amministrativo dell'attività ispettiva, ma contrasterebbe con la funzione e le finalità di essa. É di tutta evidenza che se, per poter accedere ai locali e compiere la visita, si richiedesse la comunicazione di un preavviso al titolare dell'impresa, come si sostiene nel presente giudizio, il risultato sarebbe, nella maggior parte dei casi, non tanto di assicurare il contraddittorio e l'assistenza legale in procedimenti che non sono né istruttori né preistruttori, quanto di porre l'interessato in condizione di eludere gli scopi della visita, rendendo così inefficace e sostanzialmente inoperante la funzione di vigilanza affidata all'Ispettorato.

Diverso é il caso in cui l'ispettore, avuta una vera e propria notizia di un reato, per acquisirne le prove si trovi nella necessità di dover compiere, nella veste di ufficiale di polizia giudiziaria, atti di coercizione, quali perquisizioni personali o sequestri di atti o documenti pertinenti al reato. A tali atti egli non potrà procedere senza osservare le forme richieste, a garanzia del diritto di difesa e dei diritti della persona, dalle norme del codice di procedura penale (artt. 219 e seguenti), nel contenuto risultante dalle sentenze di questa Corte.

Ma l'ipotesi non rientra nelle previsioni del secondo comma dell'art. 8, e per essa non valgono neanche le limitazioni poste dalla stessa norma circa i locali in cui possono svolgersi i controlli ispettivi a cui essa si riferisce.

5. - Dalle precedenti considerazioni si deduce infine l'infondatezza della censura di incostituzionalità per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Si osserva nell'ordinanza che se fosse possibile all'ispettore, in vista della promiscuità delle sue attribuzioni, agire liberamente nelle indagini, il cittadino imprenditore, imputato di violazioni di norme di legislazione sociale, non godrebbe l'identica possibilità di difesa dell'imputato di reati comuni.

Ma risulta da quanto si é detto che non esiste una libertà dell'ispettore di esercitare promiscuamente funzioni di vigilanza amministrativa e di polizia giudiziaria. Si é innanzi precisato che la facoltà conferitaglì dalla norma impugnata non comprende il compimento di atti di polizia giudiziaria, preordinati a una pronuncia penale. Tale norma assoggetta l'imprenditore soltanto a un'attività di pubblica vigilanza, allo stesso modo che ogni cittadino, ove ne ricorrano le condizioni, é soggetto ad analoghi atti di controllo amministrativo, per fini riconosciuti di interesse generale.

Ove invece l'imprenditore sia indiziato di un reato previsto dalle leggi sul lavoro e la previdenza sociale, e si rendano necessari da parte dell'ispettore atti di polizia giudiziaria, non previsti dal secondo comma dell'art. 8 ma soggetti alle ricordate norme generali, trovano applicazione, come si é visto, le norme che tutelano il diritto di difesa di ogni cittadino imputato di un reato.

Una violazione del principio di eguaglianza si avrebbe invece se, come si sostiene dalla difesa della parte privata, la circostanza che il titolare dell'azienda abbia il suo domicilio nei locali connessi all'esercizio di essa precludesse all'ispettore di accedervi senza l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria e di prendere visione dei documenti da cui può trarre elementi per l'adempimento del suo ufficio. Si avrebbe infatti una disparità di trattamento rispetto agli imprenditori che non abbiano il domicilio nei predetti locali, venendosi così a creare una discriminazione irrazionale e, per le ragioni già dette, non giustificata dalle norme costituzionali sulla libertà di domicilio.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (riguardante la facoltà di visita dell'ispettore del lavoro), proposta, con l'ordinanza in epigrafe indicata, in riferimento agli artt. 14, 24 e 5 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1971.