Sentenza n. 4 del 1971
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SENTENZA N. 4

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 30 luglio 1959, n. 623, recante "nuovi incentivi a favore delle medie e piccole industrie e dell'artigianato", promosso con ordinanza emessa il 21 novembre 1968 dal tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra l'Istituto di credito per il finanziamento a medio termine delle piccole e medie industrie delle Venezie ed il fallimento della ditta FEMI, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969.

Visti gli atti di costituzione del fallimento ditta FEMI e dell'Istituto di credito, nonché l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1970 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

uditi gli avvocati Salvatore Satta e Franco Bettella, per il fallimento FEMI, l'avv. Giuseppe Guarino, per l'Istituto finanziatore, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

L'Istituto di credito per il finanziamento a medio termine delle piccole e medie industrie delle Venezie, che il 7 settembre 1965 aveva concesso alla ditta FEMI, titolare Ferrato Luciano, corrente in Padova, un finanziamento a norma della legge 22 giugno 1950, n. 445, proponeva opposizione avverso lo stato passivo del fallimento della stessa ditta, dichiarato il 7 luglio 1966, assumendo che il giudice delegato aveva ammesso il credito di esso Istituto come chirografario, ai sensi dell'art. 67 della legge fallimentare, escludendo l'ipoteca iscritta il 10 settembre 1965 ed il privilegio di cui all'art. 3 del D.L.C.P.S. 1 ottobre 1947, n. 1075, iscritto lo stesso giorno, e contravvenendo così al disposto dell'art. 20 della legge 30 luglio 1959, n. 623, secondo cui "le disposizioni di cui all'articolo 67 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non si applicano dopo che siano trascorsi dieci giorni dalla stipulazione del mutuo agli Istituti autorizzati ad esercitare il credito a medio termine, nonché a tutti gli altri istituti di credito limitatamente alle operazioni dagli stessi effettuate con fondi statali o con l'assistenza della garanzia dello Stato".

La curatela fallimentare insisteva invece per la revoca dell'ipoteca e del privilegio, e chiedeva comunque rimettersi gli atti a questa Corte, per la risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale del citato art. 20, che assumeva in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Il tribunale adito, con ordinanza emessa il 21 novembre 1968, premesso che l'eventuale illegittimità costituzionale della norma stessa sarebbe rilevante ai fini del giudizio, giacché l'azione revocatoria esperita dalla curatela potrebbe essere presa in esame solo nel caso in cui si rimuovesse la disposizione invocata, ha rilevato che questa avrebbe ridotto ed unificato i termini in cui, a norma dell'art. 67 della legge fallimentare, l'operazione deve essere stata compiuta per poter essere assoggettata alla azione revocatoria, e quello entro il quale tale azione può essere esperita. Fondate perplessità sorgerebbero in ordine alla rispondenza di tale disposizione al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, perché in materia di revocatoria fallimentare (al fine di stabilire se a un soggetto possa ragionevolmente attribuirsi un trattamento particolare) dovrebbero essere prese in considerazione non tanto le finalità che caratterizzano l'attività del soggetto nel campo economico, quanto "l'effettiva sussistenza di condizioni che potrebbero rendere più gravosa la sua difesa secondo il dettato dell'art. 67 legge fallimentare". Tali ultime condizioni non sussisterebbero nei riguardi degli Istituti di finanziamento a medio termine, i quali, allorché operano in forza della legge n. 623 del 1959 si troverebbero, invece, già maggiormente tutelati nei confronti delle aziende, che dovrebbero essere finanziate solo se economicamente sane e meritevoli di sviluppo. Non potrebbero quindi ritenersi degne di particolare tutela le operazioni condotte in difformità dei citati criteri, con la consapevolezza di compiere atti pregiudizievoli ai creditori e con la certezza di recuperare, con danno altrui, il capitale impiegato.

Inoltre, la norma impugnata, attraverso la eccessiva brevità del termine entro cui dovrebbero risultare compiute le operazioni da revocare e del termine entro cui la relativa azione dovrebbe essere esperita, si porrebbe in contrasto anche con l'art. 24, primo comma, della Costituzione, poiché sarebbe " sommamente improbabile" che nel periodo di dieci giorni dal mutuo si possano verificare tutte quelle operazioni che, a cominciare dalla dichiarazione di fallimento, per finire alla stesura ed alla notifica della citazione, consentono l'effettivo esperimento dell'azione stessa. Risulterebbe così compromessa in concreto la possibilità della tutela del diritto di esercitare l'azione revocatoria, e violata quindi la garanzia di agire in giudizio, sancita dalla invocata norma costituzionale.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata e, nei termini, si é costituito il fallimento, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Bettella il quale, nelle deduzioni depositate in cancelleria ha fatto proprie le considerazioni contenute nelle ordinanze di rinvio a sostegno della non manifesta infondatezza della questione.

Si é anche ritualmente costituito l'Istituto finanziatore, rappresentato e difeso dal prof. avv. Giuseppe Guarino, sostenendo anzitutto che il giudice a quo avrebbe omesso di compiere in modo adeguato la necessaria indagine sulla rilevanza della questione. Invero, nelle proprie difese di merito, l'Istituto avrebbe a suo tempo affermato e chiesto di provare di non essere al corrente dello stato di insolvenza del Ferrato, senza però che nessuna indagine venisse espletata al riguardo dal giudice, mentre opportuni accertamenti avrebbero appurato la verità dell'assunto e resa così manifesta l'inapplicabilità nella specie dell'art. 67 della legge fallimentare che prevede la revoca degli atti costitutivi di diritti di prelazione per debiti contestualmente creati soltanto se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore.

Conseguentemente, avrebbe dovuto ritenersi inapplicabile anche l'art. 20 impugnato, e si sarebbe rivelata superflua l'indagine sulla sua legittimità costituzionale.

La questione comunque sarebbe infondata per quanto riguarda l'assunta violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione poiché la particolare disciplina dettata a favore degli Istituti di medio credito risponderebbe ad una esigenza di maggior tutela delle relative operazioni, che si svolgerebbero attraverso rischi maggiori del normale, dirigendosi verso imprese all'atto della loro costituzione o in via di ampliamento, ad un tasso non superiore al 5 per cento ed allo scopo di garantire sempre maggiori investimenti nell'interesse dell'economia nazionale.

La disparità di trattamento troverebbe, quindi, razionale giustificazione nella diversità delle condizioni in cui gli Istituti sarebbero chiamati ad operare, e ciò escluderebbe, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione del principio di eguaglianza.

Parimenti infondato sarebbe poi l'altro profilo di illegittimità denunziato per contrasto con l'art. 24 della Costituzione in quanto la garanzia di agire in giudizio nei termini ordinari per la difesa dei propri diritti rimarrebbe in ogni caso assicurata.

In particolare, la difesa osserva poi che sarebbero inesatte le considerazioni svolte nell'ordinanza circa l'inadeguatezza del termine di giorni dieci previsto dalla norma impugnata, poiché questo termine é posto solo in funzione del periodo sospetto anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento, ma non incide sulla azione revocatoria che continua a poter essere proposta nei termini ordinari.

Conclude pertanto chiedendo pregiudizialmente rinviarsi gli atti al giudice a quo per il riesame della rilevanza e, in subordine, dichiararsi la questione infondata.

Si é anche ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura formula rilievi ed osservazioni analoghi a quelli svolti nel merito dalla difesa dell'Istituto per sostenere l'infondatezza della questione sollevata sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza e pone in evidenza che la particolarità della situazione in cui verrebbero ad operare gli Istituti di medio credito risulterebbe anche dall'art. 6 della legge 30 luglio 1959, n. 623, che riserva il 40 per cento del totale dei contributi statali in conto di interessi alle piccole imprese che agiscano in zone depresse, e dispone la preferenza, a parità di capitali investiti, alle imprese che assicurino una maggiore occupazione.

Anche in relazione al secondo aspetto della questione l'Avvocatura formula osservazioni analoghe a quelle svolte dall'Istituto, per quanto attiene alla portata del termine di dieci giorni stabilito dalla norma impugnata, che tenderebbe a far rientrare nell'ambito della par condicio creditorum soltanto i crediti sorti nei confronti del fallito quando lo stato di insolvenza era ormai talmente manifesto, che ogni ulteriore credito non avrebbe potuto più ritenersi conforme ai fini della legge. Comunque, anche ammettendo la brevità del termine, che del resto rappresenterebbe un di più rispetto all'ultimo comma dell'art. 67 della legge fallimentare, secondo cui l'applicabilità della revocatoria per gli istituti ivi contemplati é esclusa senz'altro, si tratterebbe pur sempre, secondo l'Avvocatura, di un ulteriore profilo della diversità di trattamento applicata dal legislatore ai crediti speciali in esame, da ritenersi giustificata per gli esposti motivi, ed in relazione alla quale non potrebbe quindi venire in discussione il principio affermato dall'art. 24, primo comma, della Costituzione.

La difesa del fallimento alla quale si é aggiunto, con atto in data 12 giugno 1969, il prof. avv. Salvatore Satta, ha depositato nei termini una memoria illustrativa con cui riafferma le tesi già svolte e ribatte le argomentazioni addotte ex adverso.

Quanto al preteso difetto di rilevanza, osserva che l'Istituto finanziario, nel giudizio principale, avrebbe eccepito anzitutto l'inapplicabilità dell'art. 67 della legge fallimentare in forza dell'art. 20 impugnato, contestando comunque, ma solo in via subordinata, la propria conoscenza dello stato di insolvenza della ditta FEMI. Pertanto chiara emergerebbe la pregiudizialità della questione di costituzionalità sollevata rispetto alla decisione del giudizio principale.

Ribadisce inoltre le argomentazioni tendenti a negare la fondatezza della questione sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, osservando, tra l'altro, che l'esenzione accordata agli Enti finanziatori non sarebbe in alcun modo collegata con gli scopi di incentivazione propri della legge in esame, ma si atteggerebbe come un gratuito privilegio accordato agli Enti stessi, i quali in effetti opererebbero come normali istituti di credito, salvo il particolare modo di esercizio del prestito. Né a tali conclusioni osterebbe la provenienza statale dei fondi adoperati poiché lo Stato, come ente sovvenzionatore, dovrebbe sottostare alla comune disciplina del credito. E d'altra parte, l'esigenza che i finanziamenti in esame si dirigano solo verso aziende economicamente sane, la quale emergerebbe fra l'altro dalla esistenza di specifiche iniziative legislative tendenti a predisporre finanziamenti particolari per la rilevazione e la gestione di aziende e stabilimenti inattivi, escluderebbe comunque qualsiasi giustificazione della particolare disciplina di favore adottata, che in ultima analisi si risolverebbe in una garanzia a favore di eventuali abusi degli amministratori degli enti.

Anche la difesa dell'Istituto ha presentato una memoria con cui ribadisce le tesi di merito già esposte, svolgendole ampiamente.

In particolare, attraverso un esame della normativa in materia, pone in evidenza la natura pubblica dell'interesse cui sarebbero informati i finanziamenti, che assumerebbero pertanto aspetto di pubblico servizio.

La difesa, richiamando anche la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 67 della legge fallimentare, ne individua la ratio nel particolare affidamento che darebbero gli Istituti ivi contemplati (Istituti di emissione, di credito su pegno, di credito fondiario) e le operazioni da essi compiute e considerate dal legislatore come giusto motivo di esenzione dalla azione revocatoria fallimentare. La disposizione impugnata sarebbe espressione del medesimo principio su un piano normativo parallelo.

Comunque, la sottrazione alle regole dell'azione revocatoria ordinaria sarebbe pienamente giustificata dalle già illustrate finalità dei crediti in esame, che d'altra parte non escluderebbero affatto la possibilità di concedere finanziamenti anche a industrie che si trovino in qualche difficoltà, appunto per cercare di garantire la prosecuzione dell'attività produttiva, venendo in tal modo sostanzialmente incontro anche ai creditori delle imprese medesime.

Insiste infine sulla già prospettata interpretazione della portata del termine di dieci giorni di cui alla norma impugnata, precisando al riguardo che se le operazioni di finanziamento sono anteriori di meno di dieci giorni alla dichiarazione di fallimento, gli atti relativi ricadrebbero nella disciplina comune e sarebbero quindi revocabili nei limiti ed alle condizioni di cui all'art. 67 della legge fallimentare.  

Considerato in diritto 

1. - La questione di legittimità costituzionale dell'articolo 20 legge 30 luglio 1959, n. 623, sui "nuovi incentivi a favore di medie e piccole industrie, viene proposta in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Si assume che l'eccezionale limitazione del periodo sospetto da calcolare per l'esercizio dell'azione revocatoria ex art. 67 legge fallimentare, riguardo agli atti compiuti dagli Istituti di credito pel finanziamento a medio termine delle industrie predette, contrasterebbe sia col principio di uguaglianza, sia con l'esercizio normale del diritto di difesa spettante alla massa fallimentare degli altri creditori.

2. - L'Istituto di credito prospetta, anzitutto, un difetto di rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale, in quanto, avendo a suo tempo l'Istituto chiesto di provare che all'atto di concedere il finanziamento, ignorava lo stato di insolvenza della ditta FEMI, l'indagine su questo punto e la sua eventuale risoluzione favorevole all'assunto dell'Istituto "avrebbe, comunque, reso automaticamente inapplicabile alla fattispecie l'art. 67 della legge fallimentare e, conseguentemente, l'art. 20 della legge n. 263 del 1959". Pertanto, si chiede il rinvio degli atti al tribunale di Padova affinché sia completato nel senso suesposto l'esame della rilevanza.

L'istanza non é fondata.

Invero, come risulta dalla stessa ordinanza di rinvio, il tribunale ha tenuto presenti gli elementi di fatto che caratterizzano la fattispecie, ivi compresa la richiesta di prova testimoniale sulla ignoranza, da parte dell'Istituto, dello stato di insolvenza della ditta FEMI. Inoltre, dalla medesima ordinanza risulta che il giudice a quo ha valutato i detti elementi ai fini di stabilire la rilevanza della questione.

Tanto basta a rendere non censurabile in questa sede, in conformità della costante giurisprudenza della Corte, il giudizio effettuato sul punto dal giudice di merito.

3. - Per l'esame della proposta questione di legittimità costituzionale, va premesso che l'Istituto de quo é stato autorizzato testualmente come "Ente di diritto pubblico", ad esercitare i suoi compiti statutari con decreto del Ministro del tesoro 24 maggio 1955 sulla base della legge 22 giugno 1950, n. 445, particolare alla materia.

L'Istituto, i cui atti e le cui operazioni sono agevolati da esenzioni fiscali, a termini dell'art. 6 della legge ora citata e dell'art. 3 della legge n. 623 del 1959 (di cui fa parte l'art. 20 qui sottoposto a giudizio di legittimità) ha finalità così indicate nell'art. 1 di questa seconda legge: promuovere lo sviluppo di attività produttive e valorizzare risorse economiche e possibilità di lavoro. Aggiungasi che con la legge di proroga 15 febbraio 1967, n. 38, si é precisato, come altro motivo, quello di favorire lo sviluppo tecnologico delle medie e piccole imprese industriali.

Trattasi di un mezzo strumentale per l'attuazione di indirizzi di politica economica generale in tema di espansione e consolidamento della piccola e media industria, alla quale attuazione lo Stato concorre mediante contributo annuo in conto interessi (art. 4 stessa legge).

L'Istituto appartiene all'ampia categoria di quegli enti di finanziamento che, vincolati a destinare il proprio "fondo di dotazione" al conseguimento di scopi di interesse generale, traggono, da quest'obbligo di destinazione, rilevanza pubblicistica al loro operare.

Questi rilievi sono sufficienti per escludere l'esattezza di quanto si legge nell'ordinanza di rinvio che "gli istituti di finanziamento a medio termine svolgono attività sostanzialmente analoga a quella degli altri istituti di credito". V'é, invero, uno scopo specifico che li distingue dagli altri: sicché la questione di legittimità posta dall'ordinanza in relazione al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione va riguardata tenendo conto degli elementi differenziali che caratterizzano il sistema.

La norma dell'art. 20, che esclude l'incidenza dell'azione revocatoria fallimentare sugli atti di stipulazione di mutui a medio termine conclusi a favore delle piccole e medie industrie una volta che siano decorsi dieci giorni da detta stipulazione alla dichiarazione di fallimento, é assistita da motivi che i lavori preparatori (Commissioni parlamentari - Relazione ministeriale) pongono in evidenza, inquadrandoli tra i motivi generali della legge: favorire al massimo l'incremento ed il funzionamento degli Istituti mutuanti mediante "incentivi" (é il titolo della legge) idonei a dilatare i settori d'investimento.

La norma dell'art. 20 costituisce anch'essa una forma di incentivazione, in quanto, concedendo una particolare garanzia, tende ad evitare ogni remora all'operare di Istituti, meritevoli di affidamento e tali da giustificare la riduzione del cosiddetto "periodo sospetto" in relazione all'esercizio dell'azione revocatoria.

Non si tratta di disposizione anomala e singolare, bensì rispondente a direttive riconosciute valide anche in settori analoghi, in considerazione della natura e posizione del soggetto mutuante.

Valga come esempio lo stesso art. 67 della legge fallimentare, il cui ultimo comma perviene ad eccettuare dalle condizioni temporali dell'azione revocatoria gli istituti di credito fondiario, riguardo ai quali fin dal testo unico del 1905 (R.D. n. 646) erano riconosciute valide le iscrizioni ipotecarie, purché iscritte anch'esse almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento. Questa Corte, con sentenza n. 166 del 1963 ha ritenuto legittima quest'ultima norma, escludendo trattarsi di arbitraria discriminazione, contrastante con l'art. 3 della Costituzione, in danno di chi contrae mutui in genere, riconoscendo invece, alla norma una sua precisa e concreta giustificazione. Ad eguale conclusione deve addivenirsi nel caso in esame, trattandosi di normativa che regola una situazione differenziata, assistita, secondo l'apprezzamento del legislatore, dalla ragione di tutelare ed agevolare istituti, i cui interessi, per la loro funzione economica-sociale, sono da considerarsi prevalenti, nella misura prevista e consentita, sugli interessi della massa fallimentare.

4. - L'ordinanza prospetta un altro motivo di illegittimità in riferimento all'art. 24 della Costituzione, sotto il profilo dell'incongruità del termine di dieci giorni, che sarebbe assolutamente insufficiente all'adempimento degli atti occorrenti per consumare l'iter procedurale dalla declaratoria di fallimento al promovimento del giudizio in revocazione.

La questione non é fondata. Come si é indicato nel numero precedente e come risulta dalla formulazione letterale dell'art. 20, il termine di dieci giorni é disposto in funzione di determinare il periodo di compimento degli atti di diritto sostanziale che possano essere dichiarati caducabili e non già il compimento degli atti di rito, preliminari e successivi, necessari per esercitare l'azione revocatoria, per i quali atti l'ordinario diritto di difesa non risulta né eliminato né ridotto.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 30 luglio 1959, n. 623, recante "Nuovi incentivi a favore delle medie e piccole industrie e dell'artigianato", proposta, con ordinanza 21 novembre 1968 del tribunale di Padova, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 20 gennaio 1971.