Sentenza n. 203 del 1970
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SENTENZA N. 203

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 211, secondo comma, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, promosso con ordinanza emessa il 21 dicembre 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Furiosi Alberto, l'Esattoria civica di Milano e la società Lucosol, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969.

Visti gli atti di costituzione dell'Esattoria civica di Milano e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1970 il Giudice relatore Angelo De Marco;

uditi l'avv. Silvano Citi, per l'Esattoria, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel procedimento di esecuzione mobiliare promosso dall'Esattoria comunale di Milano nei confronti della società Lucosol, il sig. Alberto Furiosi proponeva opposizione, ai sensi dell'art. 619 del codice di procedura civile, sostenendo che parte dei mobili pignorati erano di sua proprietà.

L'esattore eccepiva l'inammissibilità di tale opposizione, invocando gli artt. 2759 del codice civile e 211 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, in forza dei quali i crediti dello Stato per imposta di ricchezza mobile, cat. B, dovuta per l'anno in corso ed il precedente, in dipendenza dell'esercizio di commercio, industria, arte o professione, hanno privilegio sopra i mobili che servono a tale esercizio e sopra le merci che si trovano nel locale adibito all'esercizio stesso o nell'abitazione del contribuente "ancorché appartenenti a persona diversa dal debitore".

Il tribunale di Milano, investito della cognizione di tale controversia, accogliendo analoga richiesta dell'opponente, con ordinanza 21 dicembre 1968 dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 42, commi secondo e terzo, della Costituzione, dell'art. 211 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, nell'inciso "ancorché appartenenti a persona diversa dal debitore ", in quanto il privilegio così accordato si risolve in un completo annullamento del diritto di proprietà (comma secondo), per giunta senza alcun indennizzo corrispettivo (comma terzo).

Dopo le comunicazioni, notificazioni e pubblicazioni di legge, la questione così sollevata viene ora alla cognizione della Corte.

Nel giudizio si é costituita l'Esattoria comunale di Milano, ed é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Tanto il patrocinio dell'Esattoria, quanto l'Avvocatura generale dello Stato, con memorie depositate, rispettivamente, l'11 ed il 18 aprile 1969, chiedono che la Corte dichiari infondata la sollevata questione, in quanto il contestato privilegio costituisce semplice limitazione e non soppressione del diritto di proprietà, dato che il terzo proprietario sia che paghi l'imposta dovuta, sia che subisca l'esecuzione, conserva sempre azione di regresso nei confronti del debitore principale e, comunque, subisce le conseguenze di una situazione nella quale volontariamente si é posto.

In data 24 ottobre 1970,l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato un'altra memoria con la quale, traendo argomenti anche dalla giurisprudenza di questa Corte in casi analoghi, insiste nel chiedere che la questione venga dichiarata infondata.  

Considerato in diritto 

1. - Come si é rilevato in narrativa, viene denunziato a questa Corte l'art. 211 del testo unico sulle imposte dirette, approvato con decreto presidenziale 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 2759 del codice civile, in forza dei quali i crediti dello Stato per l'imposta di ricchezza mobile, dovuta per l'anno in corso e per il precedente, in dipendenza dell'esercizio di commercio, industria, arte o professione, hanno privilegio sopra i mobili che servono a tale esercizio e sopra le merci che si trovano nel locale adibito all'esercizio stesso o nell'abitazione del contribuente, nella parte in cui l'art. 211 del T.U. dispone "ancorché appartenenti a persona diversa dal debitore".

Secondo il giudice a quo, infatti, per effetto di quest'ultima disposizione, il terzo proprietario di tali mobili, dato che, di regola, un'efficace azione di regresso é praticamente impossibile, si troverebbe esposto ad una vera e propria espropriazione, senza indennizzo, in violazione dell'art. 42, commi secondo e terzo, della Costituzione.

2. - Già questa Corte, in relazione all'art. 63, ultimo comma, del R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401, sulla riscossione delle imposte dirette ed all'art. 207, lett. b) del T.U. n. 645 del 1958, che ne riproduce il contenuto, in forza dei quali nel procedimento di espropriazione esattoriale non può essere proposta opposizione di terzo, per rivendicare la proprietà, da parte del coniuge o dei parenti ed affini, fino al terzo grado, del contribuente, contro il pignoramento dei mobili esistenti nella casa del debitore, ha affermato taluni principi che sono indubbiamente validi anche per la soluzione della presente controversia.

Si é così (sentenze n. 4 del 1960, n. 42 e n. 93 del 1964) affermato che non é illegittimo, in quanto non lede il precetto della tutela della proprietà contenuto nell'art. 42, comma secondo, della Costituzione, l'assoggettamento di taluni beni, che si trovano in una certa situazione, alla quale non é estranea la volontà del terzo proprietario, ad esecuzione forzata promossa nei confronti del debitore d'imposta.

Sia per l'interesse pubblico alla esazione delle imposte, sia per impedire troppo facili frodi, non si può, infatti, escludere che la difesa della proprietà, in certe situazioni, sia subordinata a condizioni o a presupposti o ad un particolare comportamento del proprietario.

Il che, poi, si risolve non in una espropriazione, ma in una mera limitazione, consistente nella soggezione del bene ad un potere di esecuzione forzata che soltanto eventualmente può portare ad una incidenza diretta e quantitativamente rilevante sul contenuto del diritto a tale bene.

In sostanza, in base a tali principi, l'inopponibilità all'esattore del diritto di proprietà dei beni rinvenuti nella casa di abitazione del debitore, di cui a detta disposizione, inquadrata nel sistema delle garanzie patrimoniali dell'obbligazione tributaria, giustificata da ragioni di interesse generale e fondata sul potere del legislatore di determinare i modi di acquisto e di godimento ed i limiti del diritto di proprietà, non contrasta con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione.

3. - Nella situazione disciplinata dall'art. 211 del citato T.U., ora in esame, la razionalità di quei principi risulta ancora più evidente.

Infatti, il legislatore si é preoccupato di tutelare la situazione del terzo in buona fede, escludendo dal privilegio le cose rubate o smarrite, i depositi provvisori di merci destinate al solo fine di lavorazione ed i depositi di merci non ancora nazionalizzate munite di regolare bolletta doganale.

Ma al privilegio stesso ha sottoposto, anche se di proprietà di terzi, cose che per la loro natura - mobili che servono all'esercizio dell'attività per la quale é dovuta l'imposta - o per la loro ubicazione - merci che si trovano nel locale ove viene esercitata l'attività o nell'abitazione del contribuente - chiaramente denunciano una posizione sospetta non meno di quella derivante dal vincolo di parentela preveduta dall'articolo 207, lett. b), dello stesso T.U.

Perché il terzo, invero, affidi al titolare dell'esercizio, debitore dell'imposta, mobili importanti e spesso molto costosi o merci che, del pari possono essere di valore rilevante, come quelli che di regola servono per l'attività esercitata, pur conscio dei rischi cui può andare incontro, evidentemente deve essersi posto di propria volontà in particolari rapporti, di certo non disinteressati, con detto debitore.

Tali rapporti possono essere addirittura fraudolenti perché diretti o a sottrarre i beni che ne sono oggetto all'esecuzione forzata da parte dei creditori o a dissimulare una vera e propria partecipazione all'attività del debitore (società di fatto); o possono essere bensì leciti e non dissimulati, ma consistere in negozi a titolo oneroso (nella specie noleggio), dei quali, ovviamente, quei rischi debbono trovare adeguato corrispettivo.

In qualsiasi di tali ipotesi, il privilegio in questione, con le limitazioni al diritto di proprietà che possono derivarne, alla stregua dei principi sopra richiamati, risulta pienamente giustificato, cosicché la sollevata questione si appalesa infondata.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 211, secondo comma, del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, sulle imposte dirette, proposta, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1970.