Sentenza n. 202 del 1970
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SENTENZA N. 202

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 189, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (così detta legge fallimentare), promosso con ordinanza emessa l'11 dicembre 1968 dalla Corte suprema di cassazione - sezione prima civile - nel procedimento civile vertente tra l'Istituto mobiliare italiano e la società S.A.C.E.M., iscritta al n. 113 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 98 del 16 aprile 1969.

Visto l'atto di costituzione dell'Istituto mobiliare italiano;

udito nell'udienza pubblica dell'11 novembre 1970 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito l'avv. Salvatore Satta, per l'I.M.I.  

Ritenuto in fatto 

Con decreto del 19 febbraio 1967 il tribunale di Ferrara ammetteva la società S.A.C.E.M., in accomandita semplice, alla procedura di amministrazione controllata.

Contro questo decreto, divenuto definitivo con l'approvazione dell'adunanza dei creditori, proponeva ricorso per cassazione, a norma dell'art. 111 della Costituzione, l'Istituto mobiliare italiano, creditore con diritto di prelazione, escluso dalla deliberazione circa l'approvazione della procedura suddetta e chiedeva che ne fosse dichiarata la nullità per difetto di motivazione. Eccepiva inoltre l'illegittimità, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dell'art. 189, terzo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui espressamente esclude i creditori aventi diritti di prelazione sui beni del debitore dalla approvazione della proposta del debitore di ammissione all'amministrazione controllata.

La Corte di cassazione, dichiarato con sentenza ammissibile il ricorso, con ordinanza 11 dicembre 1968 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, terzo comma, della legge fallimentare, in quanto, in relazione ai precedenti articoli 187 e 188, esclude dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori aventi diritto di prelazione sui beni del debitore.

La Corte ha motivato il giudizio di non manifesta infondatezza, adducendo che non sarebbe giustificata, nella norma denunziata, la disparità di trattamento fra creditori con diritto di prelazione e creditori chirografari, in sede di approvazione della proposta del debitore di ammissione al beneficio dell'amministrazione controllata. E ciò ancorché i creditori privilegiati abbiano un sostanziale interesse alla discussione ed alla deliberazione sulla proposta medesima, dalla cui approvazione deriverebbe, anche a loro danno, la postergazione delle azioni esecutive nei confronti del debitore.

D'altra parte, ha ulteriormente posto in rilievo l'ordinanza della Corte di cassazione, la posizione deteriore dei creditori privilegiati non troverebbe adeguato rimedio nel fatto che il tribunale, investito, ai sensi degli artt. 187 e 188 della legge fallimentare, dell'esame della domanda di ammissione del debitore all'amministrazione controllata, possa tener conto del pregiudizio eventualmente derivante ai creditori predetti.

Analogamente il diritto dei creditori privilegiati non risulterebbe tutelato attraverso il reclamo al tribunale, previsto dall'art. 190 della legge in esame, contro il decreto col quale il giudice delegato ha nominato il comitato dei creditori che assiste il commissario giudiziale.

Davanti a questa Corte si é costituito l'Istituto mobiliare italiano, con atto 28 marzo 1969, ed ha chiesto che venga dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 189, terzo comma, della legge fallimentare.

Ricordati i tratti fondamentali della disciplina dell'istituto ed in particolare la norma secondo la quale, in pendenza della procedura di amministrazione controllata, é differito di un anno l'adempimento delle obbligazioni del debitore, l'Istituto predetto assume che tutti i creditori, sia chirografari che privilegiati, hanno un eguale interesse a valutare l'opportunità di ammettere il debitore al beneficio, dal quale consegue appunto un eguale sacrificio patrimoniale. Discostandosi da tali premesse, invece, la norma impugnata escluderebbe i creditori privilegiati dalla votazione rimessa esclusivamente ai chirografari; e ciò con evidente lesione del principio costituzionale di eguaglianza.

La disparità di trattamento fra i creditori sarebbe ulteriormente aggravata dal fatto che, secondo l'interpretazione data dalla giurisprudenza all'art. 111 legge fallimentare, i debiti contratti dall'amministrazione controllata, considerati debiti di massa, avrebbero, agli effetti della liquidazione del passivo, grado anteriore a quelli garantiti da altri privilegi, il cui pagamento, quindi, verrebbe ad essere esposto all'alea di un maggior o minore " svuotamento" di garanzia.

L'esclusione dei creditori con prelazione dalla adunanza disciplinata dall'art. 189 della legge fallimentare non troverebbe, si assume, compenso in una tutela successiva del loro diritto. A questo fine in particolare, come già chiarito nell'ordinanza di rimessione, non sarebbe preordinato il reclamo al tribunale avverso il decreto di nomina del comitato dei creditori.

Con successiva memoria illustrativa la difesa dell'I.M.I. ha ulteriormente svolto gli argomenti afferenti alla tesi della incostituzionalità della norma impugnata.  

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza della Corte di cassazione ha prospettato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (così detta legge fallimentare), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, adducendo che, in sede di deliberazione sulla proposta del debitore di ammissione al beneficio della amministrazione controllata, non sarebbe giustificata l'esclusione dei creditori con diritto di prelazione sui beni del debitore "dal voto e dal computo delle maggioranze", richiesti per la relativa approvazione. Ne deriverebbe disparità di trattamento rispetto a quello più favorevole riservato ai creditori chirografari, in contrasto col principio costituzionale di uguaglianza.

Anche a favore dei creditori privilegiati dovrebbe riconoscersi, invero, sussistere un sostanziale interesse alla deliberazione circa l'ammissione del debitore all'amministrazione controllata, dalla quale deriva, a norma dell'art. 188, secondo comma, della legge fallimentare (giusta il richiamo all'art. 168), quale immediato e generale effetto, la dilazione dell'adempimento delle obbligazioni dell'imprenditore.

La difesa dell'I.M.I., parte creditrice costituita, spiega analoghe argomentazioni, mettendo in evidenza l'ulteriore danno che ai creditori privilegiati può, in sede di liquidazione, derivare dalla postergazione del proprio credito alle obbligazioni di massa sorte per la gestione dell'impresa controllata.

2. - La questione non é fondata.

L'amministrazione controllata (come risulta dalla Relazione del Guardasigilli alla legge fallimentare, n. 41) fu introdotta nella disciplina positiva dei procedimenti concorsuali perché costituisce strumento rispondente "ad un bisogno vivamente sentito, in momenti di improvvise e vaste fluttuazioni economiche", e volto a portare rimedio a temporanee crisi delle imprese. Crisi tali da rendere impossibile l'immediato ed integrale soddisfacimento delle obbligazioni per "riflesso di avvenimenti generali più forti di ogni individuale volontà" e senza che, tuttavia, si potesse delineare uno stato di insolvenza e soprattutto di incapacità obiettiva a riacquistare il normale equilibrio patrimoniale.

La disciplina dell'istituto, compresa quella dettata dall'articolo 189 della legge fallimentare, relativamente alla approvazione della proposta del debitore di ammissione al beneficio, fu informata, come anche risulta dalla ricordata Relazione (n. 42), all'intento di lasciare "il più largo campo all'iniziativa degli interessati e alla prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice".

La ricordata approvazione, ovviamente, non investe la legittimità della speciale procedura concorsuale, che é oggetto del giudizio esclusivo del tribunale fallimentare, ma é espressione soltanto di valutazione di opportunità e convenienza.

In riferimento allo spirito di detta norma, l'esclusione dei creditori aventi diritti di prelazione risponde razionalmente alla diversità di situazione nella quale essi versano, in confronto dei chirografari. Questi ultimi, non assistiti da diritti di garanzia che assicurino in via prioritaria l'adempimento delle obbligazioni anche in sede di esecuzione concorsuale, fondano sull'utile svolgimento dell'amministrazione controllata dell'impresa e dei beni dell'imprenditore l'aspettativa di soddisfazione del credito, in misura integrale o comunque maggiore di quella che potrebbe altrimenti risultare da una esecuzione immediata.

Sulla attribuzione ai soli creditori chirografari del diritto di partecipare alla deliberazione predetta, ha certamente inciso la considerazione che sul voto dei creditori con prelazione, ove fossero stati chiamati a deliberare insieme con i chirografari, avrebbe potuto essere determinante (a parte eventuali eccezioni come quelle riguardanti enti finanziatori aventi finalità pubblicistiche e non speculative) il loro presumibile interesse ad un'esatta e sollecita esecuzione della prestazione. Detto voto sarebbe valso, quindi, ad impedire il risanamento patrimoniale della impresa, non solo con sacrificio dei creditori chirografari, ma anche con elusione degli scopi dell'istituto, inteso, come si é accennato, quale provvido rimedio per risolvere temporanee difficoltà incontrate dalle imprese nella ricerca di nuovi equilibri, resi necessari da variabili dimensioni della produzione e da instabili livelli di mercato.

3. - Dalla normativa impugnata non può desumersi, peraltro, che nel sistema non abbia congruo rilievo e rimanga privo di ogni tutela l'interesse dei creditori esclusi dalla votazione.

Invero l'amministrazione controllata si svolge sotto il sindacato della autorità giudiziaria, cui é demandata in particolare ogni indagine di merito, diretta anche a contemperare l'interesse individuale di tutti i creditori con quello generale dell'economia, al fine di evitare non necessari turbamenti nei settori della produzione di beni o servizi e della occupazione dei lavoratori dipendenti.

Deve anzitutto osservasi che anche i creditori con prelazione, già legittimati, secondo il principio accolto dalla giurisprudenza, a proporre ricorso per cassazione, sia pure per motivi di sola legittimità (ai sensi dell'art. 111 della Costituzione), contro il decreto del tribunale che abbia ammesso l'imprenditore alla amministrazione controllata, possono, al pari di ogni altro interessato, reclamare al tribunale (art. 190 legge fallimentare) avverso il decreto col quale il giudice delegato, previo accertamento delle maggioranze prescritte dall'art. 189, abbia nominato il comitato dei creditori.

Agli stessi creditori, senza discriminazione (e ciò non può non apparire di massimo rilievo), é data poi facoltà di interloquire nello svolgimento della procedura, sia per il tramite del comitato dei creditori, sia mediante istanze e denunzie dirette a provocare i provvedimenti indicati negli artt. 191 e 192 della legge fallimentare. Secondo tali norme può, in qualunque momento, essere affidata al commissario giudiziale, in tutto o in parte, la gestione dell'impresa e l'amministrazione dei beni del debitore e possono venire segnalati i fatti che consiglino la revoca dell'amministrazione controllata, riducendosi di questa, in tal modo, la durata, comunque mai superiore ad un anno (art. 187, primo comma).

E nel caso risulti che l'amministrazione stessa non possa utilmente essere continuata, ai creditori medesimi (come ad ogni altro interessato) non é precluso di fare le opportune segnalazioni ed istanze al giudice delegato, onde promuova dal tribunale la dichiarazione di fallimento.

Questo complesso di disposizioni é sufficiente a ridurre il rischio, segnalato dalla difesa di parte, che i creditori privilegiati possano subire detrimento per effetto della dilazione e di eventuali nuove passività derivanti dall'espletamento della gestione controllata.

4. - Nel quadro della disciplina dell'istituto, tali ultime considerazioni valgono a rafforzare il convincimento di questa Corte che la norma dell'art. 189, terzo comma, della legge fallimentare, non contrasta con il principio costituzionale di uguaglianza.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (così detta legge fallimentare), nella parte in cui esclude i creditori aventi diritto di prelazione dalla deliberazione sulla proposta del debitore di ammissione alla amministrazione controllata: questione promossa dall'ordinanza di cui in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1970.