Sentenza n. 188 del 1970
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SENTENZA N. 188

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 164, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 21 dicembre 1968 dal pretore di Siracusa nel procedimento civile vertente tra Malfitano Salvatrice ed altro e Guagliardi Arturo ed altro, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 98 del 16 aprile 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1970 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Avverso l'esecuzione mobiliare iniziata e proseguita da Arturo Guagliardi contro Giuseppina Mauceri, convivente con i genitori, costoro proponevano opposizione di terzo davanti al pretore di Siracusa. In particolare, la madre, Salvatrice Malfitano, deduceva che i beni pignorati fossero di sua proprietà e che le erano pervenuti da Emanuela Macca in forza di atto costitutivo di dote.

L'opposto eccepiva che la convenzione matrimoniale invocata dai ricorrenti fosse simulata, ponendo in evidenza che il relativo atto pubblico era stato stipulato non solo in costanza di matrimonio e tra persone tutte conviventi, ma persino dopo la notifica di precetti alla debitrice; e chiedeva di conseguenza che il contraddittorio fosse integrato con la chiamata in causa della Macca, onde dimostrare anche nei confronti di questa la fondatezza del proprio assunto.

Il pretore sospendeva l'esecuzione limitatamente ad alcuni beni e rilevava l'inammissibilità della prova della simulazione delle convenzioni matrimonali, a sensi dell'art. 164 del codice civile.

Con ordinanza del 21 dicembre 1968 però sollevava la questione di legittimità costituzionale della norma, secondo cui ai terzi é vietato di provare la simulazione delle dette convenzioni, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Osservava che la decisione della questione fosse pregiudiziale, e riteneva la questione stessa non manifestamente infondata. A quest'ultimo riguardo dichiarava di non comprendere perché la tutela del patrimonio familiare, le cui esigenze sono giustamente tenute presenti dal legislatore, dovesse essere spinta al punto da proteggere la pura apparenza e perfino in pregiudizio di persone estranee alle convenzioni.

Ad avviso del pretore, la norma denunciata violerebbe l'art. 24 della Costituzione in quanto preclude del tutto la difesa dei diritti del creditore. Essa, infatti, nega ai terzi ogni indagine sulla simulazione delle convenzioni matrimoniali, determinando per essi un ingiusto danno. I terzi, poi, non hanno altri rimedi a loro disposizione perché in caso di frode, ad esempio, non possono esercitare l'azione revocatoria se, come nella specie, la convenzione é stipulata tra terzi, e perché non possono neppure provare, ad esempio, che i beni costituiti in dote non fossero di proprietà del costituente, dato che una prova del genere si risolve necessariamente in quella della simulazione della causa del contratto dotale e non é quindi ammissibile in base all'art. 164 del codice civile.

Sarebbe del pari violato l'art. 3 della Costituzione. Dal legislatore, invero, é di regola accordata ai terzi la massima tutela in caso di simulazione (art. 1417 cod. civ.) e sia pure come ultima ratio é agli stessi riconosciuto il diritto di agire per il risarcimento dei danni ingiusti (art. 2043 cod. civ.) derivanti dai c.d. contratti a danno del terzo. Ma sia dall'una che dall'altra tutela risultano esclusi i terzi danneggiati dalle convenzioni matrimoniali, con una norma eccezionale, completamente in contrasto con i principi.

La evidente disparità di trattamento nei confronti dei terzi, d'altra parte, secondo il giudice a quo, non troverebbe riscontro nell'esigenza di tutelare un interesse pubblico assolutamente preminente ed inderogabile. Non potrebbe, infatti, considerarsi tale l'interesse relativo all'esistenza e alla conservazione del patrimonio della famiglia. Le garanzie giurisdizionali poi operanti nei procedimenti instaurati per far valere la simulazione di un atto dovrebbero dirsi di per sé sufficienti per la tutela dell'interesse familiare. Ed infine una eventuale preminenza dello stesso interesse familiare su quello diretto a far valere la simulazione potrebbe in ipotesi giustificarsi nei confronti dei soggetti facenti parte della famiglia ma non dei terzi, che sarebbero agevolmente esposti ai comportamenti fraudolenti posti in essere attraverso il ricorso alle convenzioni matrimoniali.

2. - L'ordinanza veniva ritualmente notificata, comunicata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Davanti a questa Corte spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo della Avvocatura generale dello Stato mentre non si costituiva nessuna delle parti private.

L'Avvocatura dello Stato, a proposito della prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione, osservava che tutte le considerazioni svolte dal pretore di Siracusa non sarebbero sicuramente idonee a dimostrare la assunta disparità di trattamento.

Le disposizioni legislative circa il regime patrimoniale della famiglia sono dirette a disciplinare situazioni particolari attinenti all'istituto della famiglia, che gode di specifica ed ampia tutela costituzionale (art. 29 e segg.). E tali situazioni ben può il legislatore disciplinare diversamente da situazioni apparentemente analoghe ma sostanzialmente ed obiettivamente diverse.

Di conseguenza, le disposizioni di cui all'art. 164 del codice civile sarebbero del tutto immuni da irragionevolezza, in quanto dirette, insieme con altre, alla tutela della stabilità economica della famiglia, e sicuramente non violerebbero il principio di eguaglianza.

Né avrebbe peso il rilievo svolto dal pretore con riferimento all'art. 2043 del codice civile perché a proposito degli effetti pregiudizievoli verso i terzi, il contratto verrebbe in considerazione solo come fatto illecito e perché quindi le situazioni che si vorrebbero mettere a raffronto non sarebbero omogenee neppure apparentemente.

E da ultimo non sarebbe rilevante ai fini dell'esame da parte di questa Corte, l'assunto che la disciplina dell'art. 164 non sarebbe giustificata da un interesse pubblico assolutamente preminente ed inderogabile, perché tale assunto integrerebbe un semplice apprezzamento sul merito dell'atto legislativo.

A proposito poi del denunciato profilo di illegittimità attinente all'art.24 della Costituzione, l'Avvocatura rilevava l'erroneità di impostazione della questione, atteso che il precetto costituzionale assicura il diritto di azione e di difesa entro i limiti di estensione del diritto sostanziale riconosciuto.

Ora, l'art. 164, escludendo nel primo comma che la simulazione, anche se in ipotesi sussistente, delle convenzioni matrimoniali possa dar luogo al permanere o al sorgere nei terzi di determinati diritti, normalmente di garanzia, sui beni oggetto del negozio in ipotesi simulato, porrebbe una regola di diritto sostanziale e quindi la sua valutazione sotto il profilo della legittimità costituzionale non potrebbe essere prospettata ed effettuata in rapporto all'art. 24 della Costituzione.

All'udienza del 14 ottobre 1970, l'Avvocato dello Stato Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha insistito nelle deduzioni svolte con l'atto di intervento. Dopo di che la causa é passata in decisione.  

Considerato in diritto 

1. - Il pretore di Siracusa, con l'ordinanza indicata in epigrafe, solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 164 del codice civile che vieta ai terzi la prova della simulazione delle convenzioni matrimoniali, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

2. - Per il primo comma dell'art. 164, che é la parte effettivamente denunciata della norma, "non é ammessa alcuna prova della simulazione delle convenzioni matrimoniali, anche se risulta da controdichiarazioni scritte"

Viene, in tal modo, posto un divieto assoluto nei confronti dei terzi, nonostante che gli stessi abbiano potuto risentire un danno da quelle pattuizioni, e di contro (con il secondo comma dello stesso articolo), la stessa prova é ammessa per le parti ed entro certi limiti; ed inoltre, e nel contempo, viene apportata una deroga alla regola generale, risultante dagli artt. 1414 e segg. del codice civile, secondo cui ai terzi é dato di agire per l'accertamento della simulazione dei contratti e di giovarsi di tutti i mezzi di prova.

Così delineata e delimitata la norma oggetto della denuncia, appare fondata la questione in riferimento ad entrambe le disposizioni costituzionali di raffronto.

3. - L'Avvocatura dello Stato ritiene che l'art. 164 neghi e limiti non un diritto processuale sibbene un diritto sostanziale e cioè il diritto di garanzia dei terzi e delle parti sui beni che sono oggetto della convenzione matrimoniale simulata; e che pertanto l'art. 24 non sarebbe invocabile.

La tesi non può essere accolta, anzitutto perché la norma impugnata non arriva a disciplinare la sorte di quei beni e si ferma più a monte, negando o limitando la prova su un fatto (e precisamente sopra la simulazione della convenzione) che, solo indirettamente, di quei beni ostacola la disposizione o l'assegnazione; in secondo luogo, perché l'art. 24 si riferisce ai diritti processuali in senso stretto ed a tutti i modi di tutela giurisdizionale dei diritti; e sostanzialmente, perché, nell'ipotesi di cui all'art. 164, al credito vantato dal terzo nei riguardi di una delle parti della convenzione matrimoniale non é accordata tutela giurisdizionale.

4. - La disciplina, dettata dall'art. 164, messa a raffronto con quella risultante dagli artt. 1414 e segg., integra poi, come si é detto, un'importante deroga alle norme ed ai principi in materia di simulazione dei contratti in generale.

Si ha in particolare una evidente disparità di trattamento nei confronti dei terzi in relazione a situazioni sostanzialmente omogenee o facilmente assimilabili. Tali infatti sono quelle in cui si trovano i terzi qualora siano pregiudicati nei loro interessi da contratti in genere o da convenzioni matrimoniali in particolare, che le parti abbiano posto in essere simulatamente: in entrambi i casi il pregiudizio deriva da atti di autonomia privata ed appare astrattamente meritevole di tutela l'interesse all'accertamento della realtà dei rispettivi rapporti contrattuali.

5. - Rimane, però, da accertare se la differenziazione di trattamento giuridico, ora rilevata, non si presenti razionalmente giustificata.

Può dirsi arbitrario ed illogico che il terzo, mentre può avvalersi della simulazione di un qualunque contratto, non lo possa invece fare quando si tratti di convenzione matrimoniale (e tanto più in quanto gli autori della simulazione possono al contrario avvalersene).

Non ha pregio l'assunto che la norma abbia la sua ragione nello scopo di garantire la stabilità economica della famiglia. É esatto che la famiglia tanto nella Costituzione quanto nel codice gode di una particolare tutela. Ma questa si giustifica se tende a garantire l'intangibilità dei beni destinati effettivamente a sostenere gli oneri del matrimonio e non di quelli che solo fittiziamente abbiano una tale destinazione. Ed invece la norma impugnata, privando il terzo creditore della possibilità di provare la finzione, si traduce in una tutela di quest'ultima piuttosto che degli interessi familiari. I quali del resto, secondo i principi di ragione e di giustizia, non possono essere protetti fino al punto da sacrificare quelli del terzo, in ogni altro caso tutelati.

Il primo comma dell'art. 164, in conclusione, vietando di provare l'estraneità di certi beni alla famiglia, rivela un'eccedenza del mezzo (divieto totale di prova) rispetto al fine (tutela dell'economia familiare), e la relativa normativa appare quindi irrazionale.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 164, primo comma, del codice civile nella parte in cui non ammette i terzi a provare la simulazione delle convenzioni matrimoniali.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1970.