Sentenza n. 176 del 1970
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 176

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 144 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1969 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Stazzi Ernesto, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 23 aprile 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 ottobre 1970 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel corso di un procedimento penale, dinanzi al pretore di Roma, per violazione di domicilio a carico di Ernesto Stazzi, veniva accertato che l'imputato, fidanzato della figlia del querelante, aveva ricevuto dalla moglie di quest'ultimo il permesso di frequentare l'abitazione familiare.

Il pretore, con ordinanza del 12 febbraio 1969, riteneva rilevante e non manifestamente infondato, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 144 del codice civile, nella parte in cui dichiara il marito "capo della famiglia", in quanto integrante l'art. 614 del codice penale.

Sulla non manifesta infondatezza della questione - premesso che, per costante giurisprudenza, titolare del diritto di escludere gli estranei dal domicilio domestico é il capo della famiglia e il suo divieto non può essere sopraffatto dal consenso della moglie, mentre il consenso del pater familias prevale sul volere contrario degli altri - il pretore afferma che tale situazione, che é di evidente disparità di trattamento, si baserebbe sul citato art. 144, il quale, non giustificato dalla tutela dell'unità familiare, offenderebbe la dignità dell'altro coniuge, ridotto ad una condizione di mera subordinazione.

Al riguardo, osserva che la denunziata disposizione del codice civile, invertendo il sistema secondo il quale, ai sensi dell'art. 29 della Costituzione, la predetta tutela costituisce una deroga eccezionale al principio della parità dei coniugi, favorirebbe una situazione di discordia e, al limite, di disgregazione dell'unità familiare, che apparirebbe, invece, protetta non dal sacrificio della posizione paritetica dei coniugi, ma, anzitutto, dal contemperamento degli interessi, e, successivamente, dalla tutela della volontà che appaia meglio idonea ad assicurare tale unità.

La violazione del principio di eguaglianza viene, poi, prospettata per l'ingiusta discriminazione di sesso.

Sulla rilevanza della questione, il pretore sostiene che l'aprioristica preminenza della volontà del marito rende superflua ogni indagine sulla fondatezza e la finalità della contraria volontà della moglie, mentre l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della citata disposizione consentirebbe al giudice di dare la prevalenza a quella manifestazione di volontà più idonea a tutelare gli interessi e l'unità della famiglia, con evidenti riflessi sul profilo penalistico della questione sottoposta al suo esame.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 105 del 23 aprile 1969.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione della parte privata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto con atto depositato il 13 maggio 1969, nel quale chiede che la questione sia dichiarata non fondata.

Deduce l'Avvocatura che il contenuto effettivo della potestà maritale, conservata nel nostro ordinamento per garantire l'unità della famiglia, non si esaurisce in quei diritti che il denunziato art. 144 del codice civile attribuisce al marito, dopo averlo genericamente proclamato "capo della famiglia", ma ne comprende altri, che la giurisprudenza ha precisati e desunti dal progressivo evolversi della coscienza sociale.

Sostiene, altresì, che il pretore avrebbe potuto risolvere la questione in via meramente interpretativa, dato che le più recenti pronunzie della Cassazione hanno statuito, in piena conformità con il precetto dell'art. 29 della Costituzione e con i principi seguiti da questa Corte, che il diritto di proibire l'ingresso nell'abitazione familiare spetti, bensì, al marito, ma nell'ipotesi inversa, il consenso del marito non possa ledere il diritto di libertà domestica conferito a ciascun convivente; e, quando ciò avvenga, il divieto della moglie e dei figli prevarrebbe su quello del marito.

Per quanto, poi, attiene più direttamente alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 144 (da limitarsi alla sola parte di esso integrante l'art. 614 cod. pen.), l'Avvocatura nega che sia fondata, sia perché la regola della prevalenza del divieto del marito sul consenso della moglie non varrebbe a concretare una posizione di preminenza e, rispettivamente, di soggezione, sicché non discenderebbe necessariamente dalla di lui qualità di capo della famiglia; sia perché in ogni caso, l'eventuale discriminazione fra i coniugi avrebbe la sua giustificazione nella esigenza di garantire l'unità familiare.

Il che escluderebbe anche la violazione del principio di eguaglianza.  

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza di rimessione denunzia a questa Corte, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, l'art. 144 del codice civile, nella parte in cui definisce il marito capo della famiglia. Integrando l'art. 614 del codice penale (violazione di domicilio), detta norma conferirebbe solo al marito la titolarità dello ius prohibendi e del conseguente diritto di querela.

2. - La questione é irrilevante.

Quale che sia la decisione della Corte, essa non avrebbe alcuna influenza sul giudizio a quo: infatti, al massimo, si potrebbero riconoscere alla moglie poteri pari a quelli del marito (melius, dichiarare illegittimo l'art. 144 cod. civ. nella parte in cui non attribuisce alla moglie la stessa potestà del marito); ma anche in tal caso l'opposizione del marito basterebbe a far sì che l'ingresso di terzi nella casa coniugale, quantunque consentito dalla moglie, costituisca egualmente reato di violazione di domicilio.

Vero é che, secondo l'ordinanza di rimessione, una volta che sia riconosciuta la parità dei due coniugi, sarebbe il giudice a stabilire se prevale il consenso dell'uno o l'opposizione dell'altro; epperò una tale dichiarazione di illegittimità costituzionale non potrebbe mai essere pronunciata dalla Corte senza invadere la competenza del potere legislativo.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 144, prima parte, del codice civile, in relazione all'art. 614 del codice penale e in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

  

Depositata in cancelleria il 2 dicembre 1970.