Sentenza n. 173 del 1970

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SENTENZA N. 173

 

ANNO 1970

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

 

composta dai signori giudici:

 

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

 

Prof. Michele FRAGALI

 

Prof. Costantino MORTATI

 

Prof. Giuseppe CHIARELLI

 

Dott. Giuseppe VERZÌ

 

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

 

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

 

Dott. Luigi OGGIONI

 

Dott. Angelo DE MARCO

 

Avv. Ercole ROCCHETTI

 

Prof. Enzo CAPALOZZA

 

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

Prof. Vezio CRISAFULLI

 

Dott. Nicola REALE

 

Prof. Paolo ROSSI,

 

ha pronunciato la seguente   

 

SENTENZA 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 101, secondo comma, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario); dell'art. 2, primo comma, del d.l.lgt. 3 maggio 1945, n. 232, dell'art. 1 della legge 5 marzo 1951, n. 190, e dell'art. 63, secondo comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, concernenti le supplenze di magistrati, promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 15 marzo 1969 dal pretore di Voltri nel procedimento civile vertente tra Pesenti Arcoildo e Grasso Francesco, iscritta al n. 164 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969;

 

2) ordinanza emessa il 29 settembre 1969 dal pretore di San Ginesio nel procedimento penale a carico di Farroni Pietro, iscritta al n. 456 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 28 gennaio 1970;

 

3) ordinanza emessa il 23 gennaio 1970 dal pretore di Palombara Sabina nel procedimento penale a carico di Saluz Maria Paola, iscritta al n. 54 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 dell' 11 marzo 1970.

 

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1970 il Giudice relatore Nicola Reale;

 

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

 

Ritenuto in fatto 

 

Con ordinanza 15 marzo 1969, emessa nel giudizio civile pendente fra Pesenti Arcoildo e Grasso Francesco, il pretore di Voltri ha sollevato, in riferimento agli artt. 25, primo comma, 105 e 107, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della disciplina delle assegnazioni temporanee di magistrati per supplenze straordinarie, contenuta nell'art. 2, primo comma, del d.l.lgt. 3 maggio 1945, n. 232; nell'art. 1 della legge 5 marzo 1951, n. 190; nell'art. 63, secondo comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 (nella parte in cui richiama l'art. 2 del predetto decreto n. 232 del 1945) e, limitatamente al ricordato articolo 63, secondo comma, del d.P.R. n. 916 del 1958 anche in riferimento agli artt. 76 e 108 della Costituzione.

 

Il pretore ha premesso, in fatto, che il magistrato avente funzioni di pretore, già designato per l'istruzione della causa, ne era stato distolto a seguito di destinazione al tribunale di Genova disposta dal Primo Presidente della Corte d'appello.

 

Ha rilevato, quindi, che l'art. 2 del decreto luogotenenziale 3 maggio 1945, n. 232 (richiamato dall'art. 63, secondo comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916), che appunto prevede gli accennati provvedimenti di supplenza, sarebbe incompatibile sia con l'art. 105 della Costituzione, per cui "spettano al Consiglio superiore della magistratura le assegnazioni ed i trasferimenti nei riguardi dei magistrati", sia con l'art. 107, il quale, sancita l'inamovibilità dei magistrati, prevede che questi "non possono essere destinati ad altre sedi e funzioni, se non in seguito a decisione" del predetto Consiglio.

 

In deroga a tali principi il provvedimento in questione inciderebbe sostanzialmente sullo status del magistrato che vi sia soggetto, non avendo efficacia diversa, si assume, dalle assegnazioni e dai trasferimenti di competenza del Consiglio superiore della magistratura.

 

Dall'ampiezza del potere attribuito, in materia di supplenze straordinarie, ai capi delle corti di appello, potrebbe risultare perfino lesa la garanzia del giudice naturale (art. 25 Cost.), alla cui realizzazione é preordinata la attività stessa del Consiglio superiore.

 

In merito all'art. 63 del d.P.R. n. 916 del 1958 il giudice a quo ha ritenuto poi non infondato il dubbio di costituzionalità, alla stregua degli artt. 76 e 108 della Costituzione, in quanto nella delegazione concessa al Governo con l'art. 43 della legge 24 marzo 1958, n. 195, in materia riservata alla legge, non sarebbe compresa la facoltà di dettare norme di carattere eccezionale, ispirate a sorpassati criteri di organizzazione gerarchica della magistratura.

 

L'Avvocatura generale dello Stato costituitasi in giudizio in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, con atto 31 maggio 1969, ha dedotto essere le questioni, come sopra prospettate, infondate.

 

Ha posto in rilievo che l'art. 63, secondo comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, a prescindere da problemi attinenti alla sua natura, non avrebbe altro contenuto che di semplice rinvio alla disciplina già dettata dall'art. 2 del d.l.lgt. 3 maggio 1945, n. 232, e prorogata dalla legge 5 marzo 1951, n. 190, circa la facoltà dei capi delle corti di appello di provvedere, in casi di urgente ed improvvisa necessità, alla sostituzione di magistrati mancanti, assenti ed impediti.

 

Detta disposizione, sostanzialmente non diversa da quella dell'art. 101 dell'Ordinamento giudiziario, non integrerebbe, quindi, alcuna violazione di precetti costituzionali, né sotto il profilo della delegazione legislativa, né con riguardo alla riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario.

 

Nel merito l'Avvocatura ha osservato che, seppure non sia previsto espressamente, nell'art. 2 del decreto del 1945, un limite temporale per le supplenze, ciò non esclude la sostanziale diversità fra queste ed i trasferimenti, appartenenti alla esclusiva competenza del Consiglio superiore della magistratura.

 

D'altra parte, anche senza tale limite temporale esplicito, nel significato stesso della disposizione, imperniata sul criterio della urgenza di provvedere a necessità organizzative improvvise e inderogabili degli uffici giudiziari, sarebbe inclusa la componente della temporaneità. Ciò che porterebbe senz'altro ad escludere che l'art. 105 della Costituzione abbia voluto comprendere anche tale provvedimento di supplenza tra le attribuzioni del Consiglio superiore.

 

Con riguardo all'art. 25 della Costituzione, l'Avvocatura ha assunto, infine, che la locuzione "giudice naturale", nel contesto della norma costituzionale, si riferirebbe all'organo e non alla persona fisica del giudice, la cui mutabilità é presupposto imprescindibile di ogni provvedimento, tanto se adottato dal capo della corte d'appello, quanto se emanato dal Consiglio superiore. Non si potrebbe cioè ammettere che le parti del processo abbiano il diritto di vincolare sino alla decisione finale la persona del magistrato, cui la causa sia stata originariamente assegnata, escludendosi qualsiasi incidenza di eventi o di esigenze di ufficio.

 

Con altra ordinanza del 23 gennaio 1970, nel procedimento penale a carico di Saluz Maria Paola, anche il pretore di Palombara Sabina ha denunziato la disciplina delle applicazioni di magistrati con provvedimento del Presidente della Corte d'appello, ponendo a raffronto con gli artt. 105 e 107, prima parte, della Costituzione, l'art. 101, secondo comma, dell'Ordinamento giudiziario, oltre le disposizioni sopra ricordate dell'art. 2 del d.l.lgt. 3 maggio 1945, n. 232; dell'art. 1 della legge 5 marzo 1951, n. 190, e dell'art. 63, secondo comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916.

 

Anche questo giudice, dopo aver posto in evidenza la rilevanza della questione ai fini della verifica della legale costituzione dell'ufficio giudiziario, in riferimento alla propria posizione di magistrato supplente destinato con decreto del Presidente della Corte d'appello di Roma, ha osservato che le norme impugnate consentirebbero ad un organo diverso dal Consiglio superiore della magistratura di trasferire, mediante l'applicazione "di fatto" ad altro ufficio del distretto, per un periodo di tempo non necessariamente prestabilito, un magistrato, senza che questi ne sia previamente informato e senza il suo consenso. E ciò con il solo limite della opportunità e convenienza di provvedere, discrezionalmente, ad esigenze del servizio giudiziario degli uffici, in caso di vacanza o di impedimento dei magistrati che vi siano destinati.

 

L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso che la Corte dichiari manifestamente infondate le questioni sollevate dal pretore di Palombara Sabina e che già hanno formato oggetto della precedente pronunzia n. 156/1963 di questa Corte.

 

Con riferimento alle disposizioni impugnate e particolarmente all'art. 101 dell'Ordinamento giudiziario, ha obiettato che la garanzia costituzionale della inamovibilità dei magistrati riguarda specificamente - a norma dell'art. 107 - oltreché le dispense e le sospensioni dal servizio, i trasferimenti dei magistrati ad altre sedi o funzioni. Il che non toccherebbe, quindi, il ben più limitato campo dei provvedimenti di mera supplenza.

 

Provvedimenti che, per la accennata loro finalità, non potrebbero considerarsi devoluti, dall'art. 105 della Costituzione, al Consiglio superiore della magistratura.

 

Con ordinanza emessa il 29 settembre 1969, nel procedimento penale a carico di Farroni Pietro, il pretore di San Ginesio, destinato in supplenza a questa da altra pretura con provvedimento 11 ottobre 1968 del Presidente della Corte d'appello di Ancona, ai sensi dell'art, 101, secondo comma, dell'Ordinamento giudiziario, provvedimento poi revocato con altro successivo del 19 settembre 1969, ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale (in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 107, primo comma, della Costituzione) dell'art. 2 del d.l.lgt. 3 maggio 1945, n. 232 (prorogato con legge 5 marzo 1951, n. 190), e dell'art. 101, secondo comma, dell'Ordinamento giudiziario, nelle parti in cui consentono la revoca, ad nutum e indipendentemente dal termine precedentemente stabilito, della supplenza ordinaria e straordinaria di magistrati inamovibili.

 

Si rileva che tali disposizioni incidono negativamente sulla garanzia di inamovibilità e sono incompatibili col principio della precostituzione e certezza del giudice. L'osservanza del limite temporale prestabilito nel decreto di supplenza realizzerebbe, invero, nella materia in esame, l'esigenza di imparzialità e indipendenza del giudice, escludendo la possibilità che l'ufficio giudiziario sia costituito in vista di un singolo atto o processo, anziché per soddisfare astratte ed obiettive esigenze di organizzazione giudiziaria.

 

Davanti a questa Corte, proponeva deduzioni il sig. Pacifico Paoloni, parte civile del giudizio principale di merito, con atto pervenuto alla cancelleria a mezzo posta il 18 febbraio 1970, e cioè dopo la scadenza del termine preveduto dall'art. 3 delle Norme integrative per i giudizi incidentali di legittimità costituzionale e dell'art. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.  

 

Considerato in diritto 

 

1. - I giudizi in esame hanno ad oggetto questioni identiche o questioni fra loro connesse, e debbono quindi essere riuniti per la decisione con unica sentenza.

 

2. - Con le ordinanze dei pretori di Voltri e di Palombara Sabina, in riferimento agli artt. 105 e 107, primo comma, della Costituzione, e nelle parti in cui rispettivamente riservano alla competenza del Consiglio superiore della magistratura la materia delle assegnazioni e dei trasferimenti dei magistrati e garantiscono la inamovibilità degli stessi, sono denunziate le disposizioni che attribuiscono al capo della Corte d'appello, "al fine di assicurare il funzionamento di un ufficio o la composizione di un collegio", il potere di provvedere mediante la supplenza con magistrati appartenenti allo s tesso o ad altro ufficio del distretto, quando sorga l'improvvisa ed urgente necessità di sostituire magistrati mancanti, assenti o impediti. E deve ritenersi che la questione ha sostanzialmente la stessa latitudine in entrambe le ricordate ordinanze, ancorché dal pretore di Voltri sia specificamente denunziato soltanto l'art. 2, primo comma, del d.l.lgt. 3 maggio 1945, n. 232 (oltre alle successive disposizioni, che ne richiamano il contenuto, dell'art. 1 legge 5 marzo 1951, n. 190 e dell'art. 63, secondo comma, del d.P.R. sopracitato, n. 916 del 16 settembre 1958), mentre dal pretore di Palombara Sabina il tema della controversia é esteso all'art. 101, secondo comma, del vigente ordinamento giudiziario (approvato con r.d. 30 gennaio 1941, n. 12).

 

A quest'ultima disposizione, invero, riguardante la supplenza di magistrati aventi funzioni di pretori, in mancanza del titolare dell'ufficio assente o impedito, si riannoda sistematicamente la vigente più complessa disciplina dell'istituto, che dal ricordato art. 2 del d.l.lgt. n. 232 del 3 maggio 1945 ha avuto più ampia regolamentazione.

 

Della supplenza, permangono, tuttavia, anche in questa disciplina i caratteri peculiari della urgenza, temporaneità e provvisorietà, in riferimento ad eccezionali situazioni determinatesi negli uffici giudiziari. La ricorrenza di tali caratteri vale a distinguere la supplenza così dalle applicazioni propriamente dette, prevedute dagli artt. 110 e seguenti dell'ordinamento giudiziario e dalle successive modificazioni apportate con varie disposizioni legislative, come dalle assegnazioni e dai trasferimenti demandati al Consiglio superiore. Ciò spiega altresì, perché non rientrino nella competenza del Consiglio medesimo, i provvedimenti di supplenza, i quali, come già questa Corte ha affermato nella sentenza n. 156 del 1963, esaminando la legittimità costituzionale dell'art. 101, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario, sono da configurare, così sul piano esegetico come su quello della tradizione legislativa, quali provvedimenti che, appunto, per la loro provvisorietà, non incidono sullo stato giuridico dei magistrati.

 

E non essendo diretti a mutare stabilmente le funzioni o la sede del magistrato é di tutta evidenza che essi non possono essere condizionati neppure alla prestazione del consenso da parte dell'interessato, a garanzia della sua inamovibilità. La quale, giova ripetere, dall'art. 107 della Costituzione e nel quadro delle garanzie di indipendenza dei giudici, é espressamente posta a presidio soltanto della conservazione della "sede" e delle "funzioni", che siano state permanentemente attribuite in seguito a decisione del Consiglio superiore. Non risulta, invece, incompatibile con il potere conferito al capo della corte d'appello di destinare, solo temporaneamente, un magistrato del distretto all'esercizio di funzioni giurisdizionali in un ufficio diverso da quello che ne costituisce la sede secondo l'organico. L'esercizio di tale potere, d'altra parte, non rimane nel sistema esente da controlli, essendo, comunque, imposta dall'art. 43 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, la comunicazione del provvedimento al Consiglio superiore, quale organo cui, in ultima sede, é attribuito il governo della magistratura.

 

É da escludere quindi che la disciplina impugnata (compatibile con le disposizioni della legge circa le attribuzioni ed il funzionamento del predetto Consiglio, ai sensi dell'art. 42, primo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195) sia in contrasto con gli artt. 105 e 107 della Costituzione.

 

3. - Del pari infondata deve dichiararsi la questione sulla legittimità delle norme predette in riferimento all'art. 25 della Costituzione.

 

Come questa Corte ha ripetutamente affermato in precedenti sentenze ed anche con particolare riguardo alle supplenze prevedute dall'art. 101 dell'ordinamento giudiziario, il principio del giudice naturale non esclude, nell'interesse della continuità e prontezza della funzione giurisdizionale, che alle carenze determinatesi negli uffici giudiziari si faccia fronte, man mano che se ne riveli l'obiettiva esigenza, mediante provvedimenti temporanei e contingenti, certamente non preordinati a costituire l'organo giudicante in vista di determinati processi o controversie.

 

4. - É da escludere, quindi, che nei sensi prospettati nelle ordinanze dei pretori di Voltri e Palombara Sabina ricorra la illegittimità costituzionale della disciplina delle supplenze negli uffici giudiziari, preveduta fondamentalmente sia dall'art. 101 dell'ordinamento giudiziario e sia dall'art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale n. 232 del 1945; norma quest'ultima che, originariamente emanata in riferimento alle contingenze belliche e post - belliche, é stata prorogata sino a nuova disposizione, con l'art. 1 della legge 5 marzo 1951, n. 190.

 

Così decidendosi, resta chiaramente assorbita ogni altra questione prospettata dai giudici di merito sotto diverso profilo, e che investa disposizioni non aventi nel sistema, per il loro contenuto precettivo, autonoma rilevanza; disposizioni, come quella appunto dell'art. 63 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, il cui dettato ne indica a chiare note la funzione meramente confermativa delle precedenti norme, sulle quali sostanzialmente ha base la disciplina della materia in esame.

 

5. - Non ha fondamento, infine, alla stregua del ricordato principio del giudice naturale, in correlazione con la garanzia di inamovibilità, l'ulteriore dubbio, sollevato dal pretore di San Ginesio, sulla costituzionalità dell'art. 101, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario e dell'art. 2 del ricordato decreto legislativo n. 232 del 1945 nelle parti in cui, si assume, non escludono che il capo della corte d'appello revochi il provvedimento di supplenza prima della scadenza del termine eventualmente fissato, come nella specie, nel decreto di designazione.

 

É d'uopo osservare che la facoltà di revoca della supplenza, ancorché non espressamente preveduta dalle norme impugnate, discende dai principi generali sugli atti amministrativi, fra i quali sono da comprendere i provvedimenti adottati, nella materia in esame, dai capi delle corti. Non può negarsi, in base ai detti principi, che all'autorità competente all'esercizio discrezionale di una pubblica funzione spetti, normalmente, anche la potestà di far cessare gli effetti dell'atto già emanato, allorché ciò si reputi rispondere meglio a finalità di pubblico interesse.

 

Ma dagli stessi principi derivano altresì limiti così alla revoca come già all'emanazione dei detti provvedimenti; limiti preordinati in modo esclusivo ad obiettive esigenze dell'organizzazione dei servizi giudiziari. Né va premesso infine il dovere di una congrua motivazione, affinché di tali esigenze venga data adeguata enunciazione, ai fini di eventuale sindacato sui provvedimenti medesimi.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 101, secondo comma, dell'ordinamento giudiziario approvato con r.d. 30 gennaio 1941, n. 12; dell'art. 2, primo comma, del d.l.lgt. 3 maggio 1945, n. 232; dell'art. 1 della legge 5 marzo 1951, n. 190, e dell'art. 63, secondo comma, del d.PR. 16 settembre 1958, n. 916, concernenti le supplenze di magistrati, proposte con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 25, primo comma, 105 e 107, primo comma, della Costituzione.  

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1970.

 

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

 

Depositata in cancelleria il 2 dicembre 1970.