Sentenza n. 124 del 1970
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SENTENZA N. 124

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 314, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16 gennaio 1969 dal pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Tattini Giovanni, iscritta al n. 57 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969.

Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1970 il Giudice relatore Paolo Rossi.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento a carico di tale Tattini Giovanni, imputato del reato di cui all'art. 527 del codice penale, il pretore di Bologna, su istanza della difesa, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 314, secondo comma, del codice di procedura penale, limitatamente alla parte in cui fa divieto di perizia psicologica, per contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo, premesso che ai sensi dell'art. 133 del codice penale, per la determinazione discrezionale della pena entro i limiti edittali, deve tenersi conto dell'intensità del dolo, del grado della colpa, dei motivi a delinquere e del carattere del reo, rilevava di non essere in grado di procedere all'effettivo accertamento del complesso di tali elementi non essendo un esperto di psicologia e concludeva che sarebbe stato necessario disporre all'uopo un'apposita perizia, peraltro vietata dall'art. 314, secondo comma, del codice di procedura penale.

Il pretore di Bologna osservava che la norma impugnata, chiaramente ispirata a criteri di sospetto verso la scienza psicologica, viene a porsi in contrasto con il principio costituzionale secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, in quanto precluderebbe al giudice, almeno in taluni casi, di poter prescegliere la pena nella misura più idonea a promuovere il riadattamento sociale del condannato stesso.

Pertanto, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione sollevata dalla difesa, sospendeva il procedimento in corso e rimetteva gli atti del giudizio alla Corte costituzionale.

Non vi é stata costituzione di parti in questa sede.

 

Considerato in diritto

 

In riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione é sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 314, secondo comma, del codice di procedura penale limitatamente alla parte che vieta perizie per stabilire "la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche".

Il pretore ritiene che la norma contrasti con la funzione emendatrice della pena: infatti non consentendo la perizia psicologica impedirebbe di cogliere appieno il carattere e la personalità dell'imputato e di adattarvi la sanzione punitiva ai fini del suo ricupero sociale.

La questione é infondata. É vero che le indagini sui motivi a delinquere e sul carattere del reo sono imposte al giudice dall'art. 133 del codice penale, perché possa commisurarsi opportunamente la pena o determinarne la specie quando la legge consente l'alternativa. Sotto questo aspetto potrebbe vedersi un'incongruenza tra la norma impugnata, che esclude la perizia psicologica, e il citato art. 133 che esige, invece, un qualche esame della psiche dell'imputato; ma l'incongruenza fra le due norme di legge ordinaria, se c'é, non assurge a violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione.

Infatti il legislatore, richiedendo l'indagine del giudice sul carattere dell'imputato, é a posto col precetto costituzionale che pone tra le finalità della pena la rieducazione del condannato, ma non ha fiducia nella perizia psicologica (articolo 314 denunciato) e perciò nega l'approfondimento di quell'indagine oltre i limiti raggiungibili dalla cultura e dall'esperienza del giudice. Verosimilmente lo domina il pensiero che lo studio della personalità dell'imputato possa venir compiuto solo da chi abbia presente anche il carattere afflittivo e intimidatorio della pena, con cui la finalità di rieducazione deve essere contemperata (Corte costituzionale, sentenze n. 12 del 1966 e n. 48 del 1962).

Non si esclude che la diffidenza verso la perizia psicologica sia discutibile di fronte allo sviluppo degli studi moderni sulla psiche ed é auspicabile che la norma sia aggiornata; anche sotto questo aspetto, peraltro, il problema non é di legittimità costituzionale, ma di discrezionalità legislativa, poiché importa un giudizio di merito sull'utilizzabilità processuale di una scienza; onde l'esame della Corte non potrebbe spingersi così a fondo come si vorrebbe nell'ordinanza di rinvio.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 314, secondo comma, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, dal pretore di Bologna con ordinanza del 16 gennaio 1969, limitatamente alla parte in cui fa divieto di perizia per stabilire "la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche".

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 9 luglio 1970.