Sentenza n. 118 del 1970
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SENTENZA N. 118

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 35, secondo comma, del D.P.R. 19 maggio 1958, n. 719 (disciplina igienica della produzione e del commercio delle acque gassate), degli artt. 5, 6 e 7 del R.D.L. 15 ottobre 1925, n. 1929, sulle frodi nella torrefazione del caffé, e degli artt. 1 e 3 della legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla disciplina igienica della produzione e vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 settembre 1969 dal pretore di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento penale a carico di Di Vilio Lorenzo, iscritta al n. 419 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 311 del 10 dicembre 1969;

2) ordinanza emessa il 15 novembre 1969 dal pretore di Melito Porto Salvo nel procedimento penale a carico di Crogliano Francesco, iscritta al n. 460 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 28 gennaio 1970;

3) ordinanza emessa il 5 novembre 1969 dal tribunale di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di Loddo Andrea, iscritta al n. 60 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 76 del 25 marzo 1970.

Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1970 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 26 settembre 1969, emessa nel procedimento penale a carico di Lorenzo Di Vilio, il pretore di Santa Maria Capua Vetere ha proposto una questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 del D.P.R. 19 maggio 1958, n. 719, sulla disciplina igienica della produzione e del commercio delle acque gassate, limitatamente alla parte concernente la prima analisi dei campioni.

Il giudice a quo, richiamati i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 86 del 1968, rileva che le operazioni di prelevamento dei campioni e di analisi delle acque gassate costituiscono vera e propria attività di polizia giudiziaria, in relazione alla quale, tuttavia, non é consentito l'esercizio del diritto di difesa: di tal che l'art. 35, secondo comma, del decreto dovrebbe essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 24 della Costituzione.

2. - Ai principi enunciati nella sentenza n. 86 del 1968 si richiama anche il tribunale di Reggio Calabria - oR.D. 5 novembre 1969, emessa nel procedimento penale a carico di Andrea Loddo - nel proporre una questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6 e 7 del R.D.L. 15 ottobre 1925, n. 1929, sulle frodi nella torrefazione del caffé e degli artt. 1 e 3 della legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla disciplina igienica della produzione e vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.

Ad avviso del tribunale, le predette disposizioni, in quanto prevedono la possibilità di eseguire analisi chimiche nel corso di indagini preliminari di polizia giudiziaria e, quindi, l'esecuzione di veri e propri atti istruttori senza che in alcun modo siano rispettate le garanzie costituzionali della difesa, violerebbero gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.

3. - In base a motivi analoghi gli artt. 5, 6 e 7 del predetto decreto n. 1929 del 1925 sono stati denunziati, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal pretore di Melito Porto Salvo con ordinanza del 15 novembre 1969, emessa nel procedimento penale a carico di Francesco Crogliano.

4. - Innanzi a questa Corte nessuna delle parti si é costituita e non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, le cause vengono decise in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

1. - Poiché le tre ordinanze indicate in epigrafe propongono identiche o analoghe questioni di legittimità costituzionale, i relativi giudizi vengono riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La questione proposta dal pretore di Santa Maria Capua Vetere e relativa al D.P.R. 19 maggio 1958, n. 719, deve essere dichiarata inammissibile. Essa, infatti, ha ad oggetto disposizioni contenute in un decreto presidenziale che - emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con vari ministri, sentito il Consiglio dei ministri e previo parere del Consiglio di Stato - ha natura di regolamento (e come tale si autoqualifica nel preambolo) ed é quindi privo di forza di legge.

3. - L'art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (avente ad oggetto la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande) é già stato sottoposto a controllo di legittimità costituzionale in occasione dei giudizi definiti con sentenza n. 149 del 1969. La Corte ebbe allora ad accertare che le ispezioni, i prelievi dei campioni e la loro prima analisi "si inquadrano nella vigilanza amministrativa a tutela della salute pubblica e, in quanto intervengono prima che ci sia un indiziato di reato, non possono essere considerati atti processuali di istruttoria"; affermò, invece, che diversa é la situazione quando l'analisi abbia dato esito sfavorevole, giacché da quel momento un indiziato di reato c'é e di conseguenza, nel rispetto dell'art.24 della Costituzione, il procedimento di revisione delle analisi, i cui risultati sono certamente utilizzabili nel giudizio penale, deve essere assistito da adeguate garanzie difensive. In base a tali considerazioni l'art. 1 della legge in esame venne dichiarato illegittimo nella sola parte in cui, per la fase di revisione delle analisi, esso escludeva l'applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale.

L'attuale questione deve essere quindi dichiarata manifestamente infondata. Tale dichiarazione deve investire non solo l'art. 1, ma anche l'art. 3 della legge. Ed infatti questa seconda disposizione - che non fu formalmente esaminata nel precedente giudizio - si limita ad indicare quali pubblici dipendenti possono effettuare ispezioni e prelievi di campioni ed a riconoscere ai medesimi la qualifica di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria: essa si riferisce, dunque, ad una fase che é anteriore al sorgere di indizi di reità, ed in relazione a tale fase la Corte già riconobbe la non fondatezza della questione.

4. - Per quanto riguarda gli artt. 5, 6 e 7 del R.D.L. 15 ottobre 1925, n. 1929 (contenente "provvedimenti per combattere le frodi nella torrefazione del caffé"), denunziati in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione deve essere decisa facendo applicazione dei principi enunciati nella già ricordata decisione n. 149 del 1969. Anche a proposito delle disposizioni ora in esame si deve ribadire che le operazioni attinenti alla prima analisi rientrano nell'ambito di un'attività puramente amministrativa. La revisione, invece, interviene quando l'esito sfavorevole della prima analisi fa considerare il soggetto interessato come indiziato di reato (a maggior ragione quando, come nel caso di specie (cfr. art. 6, secondo comma), a tale esito sfavorevole segue l'immediata denuncia all'autorità giudiziaria): negargli, a partire da quel momento, ogni intervento difensivo in relazione ad accertamenti che possono essere posti dal giudice a fondamento di una pronunzia di colpevolezza equivale a negargli quel diritto che l'art. 24 della Costituzione garantisce come inviolabile.

Ciò posto, la questione deve essere dichiarata non fondata per quanto attiene all'art. 5, che indica gli istituti presso i quali i campioni devono essere analizzati, ed all'art. 6, che concerne gli adempimenti conseguenti all'esito sfavorevole della prima analisi. L'art. 7, primo comma, deve essere invece dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, per la revisione delle analisi, esclude l'applicazione degli articoli 390, 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale.

5. - Dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, del R.D.L. n. 1929 del 1925 - così come, analogamente, dalla parziale illegittimità dichiarata nella sentenza n. 149 del 1969

 a proposito del R.D.L. n. 2033 del 1925, della legge n. 283 del 1962 e della legge n. 580 del 1967 - deriva che, ferma restando la fase di revisione delle analisi che i pubblici istituti indicati dalla legge hanno l'obbligo di eseguire su richiesta degli interessati, ad essa devono applicarsi le garanzie difensive previste dalle richiamate disposizioni del codice processuale.

Tale conseguenza discende in modo non equivoco dalla struttura del dispositivo e dagli effetti che ad esso vanno collegati: effetti che - a parte la loro decorrenza - in nulla differiscono da quelli di una legge che avesse sottoposto la revisione delle analisi alla stessa disciplina che, per quanto riguarda gli interventi del difensore, il codice di procedura detta per le ordinarie perizie istruttorie.

La Corte ritiene doverosa questa precisazione di fronte alla circolare n. 53 emanata il 13 marzo 1970 dal Ministro della sanità, che, in quanto adotta una diversa qualificazione del procedimento di revisione rispetto a quella enunciata dalla Corte a fondamento delle statuizioni contenute nella sentenza n. 149 del 1969 (nell'esercizio, dunque, di sue istituzionali attribuzioni) e conferisce alla dichiarazione di illegittimità costituzionale una portata ben più ampia di quella che ad essa va riconosciuta, può avere l'effetto di paralizzare il diritto dell'interessato di richiedere la revisione; può, cioè, aver per conseguenza che al cittadino sia negata la possibilità di una difesa che la Corte, facendo applicazione di un principio costituzionale, ha statuito sia arricchita da adeguate garanzie, non certo abolita del tutto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, del R.D.L. 15 ottobre 1925, n. 1929 (contenente "provvedimenti per combattere le frodi nella torrefazione del caffé") nella sola parte in cui per la revisione delle analisi esclude l'applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 dello stesso decreto, proposta dall'ordinanza del pretore di Melito Porto Salvo in riferimento all'art. 24 della Costituzione e dall'ordinanza del tribunale di Reggio Calabria anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

c) dichiara, nei sensi di cui in motivazione, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (contenente la "disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande"), proposta dall'ordinanza del tribunale di Reggio Calabria in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

d) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 del D.P.R. 19 maggio 1958, n. 719 (contenente il "regolamento per la disciplina igienica della produzione e del commercio delle bibite analcooliche gassate e non gassate racchiuse in recipienti chiusi"), proposta dall'ordinanza del pretore di Santa Maria Capua Vetere in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1970.