Sentenza n. 116 del 1970
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SENTENZA N. 116

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 148 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge di registro), promosso con ordinanza emessa il 7 ottobre 1968 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra la società Belotti Industrie Autogru e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 10 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 12 marzo 1969.

Visti gli atti di costituzione della società Belotti e della Amministrazione delle finanze e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 1970 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione finanziaria dello Stato.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto notificato il 10 novembre 1967, la ditta Belotti Industrie Autogru S.p.A. proponeva opposizione, innanzi al tribunale di Genova, avverso una ingiunzione fiscale intimatale per tasse giudiziali, deducendo che essa opponente non era stata parte nel giudizio, nel quale era stata pronunziata la sentenza cui si riferiva l'ingiunzione.

L'Amministrazione delle finanze, nella comparsa di risposta presentata all'udienza di prima comparizione del 19 dicembre 1967, riconosceva la fondatezza dell'opposizione, facendo presente che l'ingiunzione, intimata per errore materiale, era stata revocata e chiedeva la compensazione delle spese di giudizio fra le parti, ai sensi dell'art. 148 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge di registro) per non avere la società inoltrato il preventivo reclamo in via amministrativa.

La stessa Amministrazione insisteva in tali richieste alla udienza fissata per le conclusioni, nella quale l'opponente eccepiva l'illegittimità costituzionale della disposizione su citata, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 25 e 113 della Costituzione.

Rimessa la causa in decisione all'udienza collegiale del 30 settembre 1968, il tribunale, con ordinanza del 7 ottobre, in parziale accoglimento dell'istanza attrice, riteneva rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 148 della legge di registro, in riferimento agli artt. 3, 24, primo, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione.

Sulla violazione del principio di eguaglianza, il tribunale si dà carico di rammentare la sentenza n. 38 del 1968, con la quale questa Corte, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale del T.U. della finanza locale (art. 48, secondo comma, R.D. 14 settembre 1931, n. 1175), trasse argomento anche dal minor rigore dell'art. 148 della legge di registro rispetto a quella disposizione; ma assume che un tale richiamo non varrebbe ad escludere la violazione del suddetto principio, perché la norma denunziata, comminando una conseguenza patrimoniale a disfavore di chi non abbia previamente inoltrato domanda in via amministrativa contro la pretesa tributaria, riserverebbe al soggetto creditore del tributo una posizione di privilegio.

La violazione degli altri precetti costituzionali viene, infine, prospettata in relazione alla natura amministrativa e non giurisdizionale delle commissioni tributarie. Al riguardo, si afferma che il più volte citato art. 148 apporrebbe al ricorso alla tutela giurisdizionale ingiustificati limiti e remore, anche di natura economica, specialmente quando, come nella specie, l'ingiunzione comprenda il pagamento di una soprattassa, del quale (ai sensi dell'art. 145 della stessa legge di registro) non potrebbe ottenersi la sospensione con il reclamo amministrativo, ma soltanto con l'opposizione in via giudiziaria.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 12 marzo 1969.

Nel giudizio innanzi a questa Corte si sono costituiti la società, con atto depositato il 18 dicembre 1968, ed il Ministero delle finanze, rappresentato e difeso con atto depositato il 5 febbraio 1969, dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale é poi intervenuta per il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato il 29 marzo 1969.

La difesa della parte privata chiede che sia dichiarata l'illegittimità della norma denunziata, ribadendo le argomentazioni esposte nell'ordinanza di rimessione.

L'Avvocatura generale, in entrambi i suoi atti di costituzione, chiede che la questione sia dichiarata non fondata, deducendo che, nella disposizione in esame, la deroga al principio della soccombenza nelle spese processuali troverebbe la sua piena giustificazione nell'esigenza di dare alla pubblica Amministrazione uno spatium deliberandi al fine di poter procedere all'accertamento ed alla correzione dei propri errori, nell'interesse dello stesso contribuente, al quale sarebbe risparmiata l'eventualità di una lite superflua; aggiunge che la costante giurisprudenza avrebbe introdotto un temperamento al più volte citato art. 148, ritenendolo inapplicabile quando l'azione giudiziaria, ancorché intempestivamente promossa, sia stata portata alla decisione del giudice dopo il termine di novanta giorni dalla notificazione dell'atto introduttivo, senza che l'Amministrazione abbia adottato una deliberazione conforme a giustizia.

Nel richiamare la citata sentenza n. 38 del 1968 di questa Corte, deduce, inoltre, che il minore rigore cui sarebbe ispirata la norma denunziata darebbe argomento alla sua compatibilità con i precetti costituzionali; e per quanto, infine, riguarda la disposizione contenuta nell'art. 145 della legge di registro, che, secondo l'ordinanza di rimessione, renderebbe ancor più palese la violazione dell'art. 113, si limita ad osservare che il tribunale non ha sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine a tale norma.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con la indicata ordinanza di rimessione, il tribunale di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 148 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 (c.d. legge di registro), in riferimento agli artt. 3, 24, commi primo, secondo e terzo, e 113 della Costituzione.

La norma denunziata, in deroga al principio della soccombenza contenuto nell'art. 91 del codice di procedura civile, fa divieto di condannare l'Amministrazione finanziaria, anche se soccombente, al rimborso delle spese di lite, quando la azione giudiziaria sia stata promossa contro l'imposizione di una tassa di registro, senza che sia stata presentata domanda in via amministrativa o prima che siano trascorsi novanta giorni dalla presentazione di questa.

2. - La disposizione, come é stato esattamente rilevato dall'Avvocatura dello Stato, mira a porre sull'avviso la pubblica Amministrazione e a concederle uno spatium deliberandi, onde consentirle di procedere all'accertamento ed alla correzione di eventuali errori, e ciò anche nell'interesse del contribuente, al quale potrebbe essere risparmiato l'esperimento di un giudizio (comunque oneroso, perché non tutte le spese e gli onorari sono ripetibili nei confronti della controparte).

Dato ciò e tenuto conto che la condanna alle spese secondo il principio della soccombenza non ha applicazione incondizionata nel giudizio civile (v. art. 92 cod. proc. civ.), deve riconoscersi che la norma denunciata ha una giustificazione nel suo stesso presupposto: cioè nell'inosservanza, da parte del contribuente, dell'onere di attesa di novanta giorni, che sono ben pochi e ragionevoli rispetto ai tempi di durata d'una causa civile; cosicché mentre possono aprire le porte a una più rapida definizione del contrasto, non ostacolano, né appesantiscono eccessivamente la difesa nel giudizio.

Insomma, la particolarità della disciplina si fonda su particolari esigenze, finalità e situazioni, che escludono la violazione del principio d'uguaglianza. Rilievo, questo, che é rafforzato dalla interpretazione che la costante giurisprudenza e la più autorevole dottrina danno alla norma: interpretazione (pienamente rispondente alla sua ratio e favorevole al contribuente), secondo cui il mancato ricorso in via amministrativa e l'esperimento dell'azione giudiziaria prima di novanta giorni dalla presentazione del ricorso non producono la conseguenza sancita nel citato art. 148, qualora l'Amministrazione non abbia adottato una determinazione conforme a giustizia entro novanta giorni dalla notificazione dell'atto introduttivo del giudizio: e ciò perché é in tal modo egualmente raggiunto lo scopo di offrire al fisco la possibilità di riesaminare il proprio operato e di provvedere conformemente alle legittime doglianze del contribuente.

Non a caso una precedente sentenza di questa Corte (n. 38 del 1968) ha addotto proprio la norma ora impugnata come esempio di una più giusta disciplina nella materia dei tributi erariali, rispetto a quella dell'art. 48 T.U. della finanza locale.

3. - La stessa ordinanza di rimessione ammette che la norma impugnata non impedisce al contribuente la tutela giurisdizionale del suo diritto, garantito dal primo comma dell'art. 24 della Costituzione. V'é da aggiungere, anzi, che l'espediente dello spatium deliberandi, lungi dal limitare la difesa, la rende - se sorretta da validi motivi - più rapida, più economica, più efficace. Cosicché neanche il secondo comma dell'art. 24 può dirsi violato (mentre fuori luogo viene invocato il terzo comma): e poiché il principio quivi contenuto trova applicazione, quando si contesti la legittimità degli atti amministrativi, nella norma dell'art. 113 secondo comma, la questione risulta infondata pure in riferimento all'art. 113.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 148 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge di registro), sollevata, con ordinanza del 7 ottobre 1968 del tribunale di Genova, in riferimento agli artt. 3, 24, primo, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1970.