Sentenza n. 90 del 1970

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SENTENZA N. 90

 

ANNO 1970

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

 

Prof. Michele FRAGALI

 

Prof. Costantino MORTATI

 

Prof. Giuseppe CHIARELLI

 

Dott. Giuseppe VERZI'

 

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

 

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

 

Dott. Luigi OGGIONI

 

AVV. Ercole ROCCHETTI

 

Prof. Enzo CAPALOZZA

 

Prof. Vezio CRISAFULLI

 

Dott. Nicola REALE

 

Prof. Paolo ROSSI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 18, terzo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 10 giugno 1968 dal pretore di Brindisi nel procedimento penale a carico di Mennitti Domenico, iscritta al n. 168 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 28 settembre 1968;

 

2) ordinanza emessa l'8 ottobre 1969 dal pretore di Verona nel procedimento penale a carico di Brigo Corrado e Benato Beniamino, iscritta al n. 423 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 311 del 10 dicembre 1969.

 

Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1970 il Giudice relatore Costantino Mortati.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Nel corso di un procedimento penale pendente nei confronti di tale Mennitti Domenico, imputato del reato previsto e punito dall'art. 18, terzo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, per avere preso la parola nel corso di una riunione non preavvisata, il pretore di Brindisi, con ordinanza 10 giugno 1968, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di siffatta norma incriminatrice in riferimento all'art. 21 della Costituzione.

 

Nel provvedimento si osserva, innanzi tutto, che il preavviso da dare all'autorità di pubblica sicurezza, ai sensi dell'art. 17 della Costituzione, per le riunioni che debbano svolgersi in luogo pubblico, non può essere equiparato ad una istanza di autorizzazione e che pertanto le riunioni non preavvisate non possono, in sé e per sé, essere ritenute illecite.

 

Conseguente a tali premesse risulta la previsione come reato dell'opera dei promotori di una riunione tenutasi senza preavviso, mentre priva di ogni base costituzionale risulta la punizione di coloro che abbiano soltanto preso la parola nel corso di una tale riunione. Tale norma incriminatrice, secondo il pretore, appare anzi contrastante con il predetto art. 21 che ha inteso abolire qualsiasi limitazione della libertà di manifestazione del pensiero che non trovi giustificazione nella Costituzione stessa.

 

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 28 settembre 1968, ma nessuno si é costituito né é intervenuto nel relativo giudizio.

 

2. - Analoga questione é stata sollevata altresì dal pretore di Verona con l'ordinanza 8 ottobre 1969 pronunciata nel corso del procedimento penale contro Brigo Corrado e Benato Beniamino.

 

In tale provvedimento vengono svolte osservazioni simili a quelle del pretore di Brindisi e si conclude nel senso che l'esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero nel corso di una riunione in luogo pubblico, per la quale sia stato omesso il prescritto preavviso, non può avere alcuna rilevanza in sede penale, una volta constatato che la semplice partecipazione alla riunione stessa non può essere incriminata ai sensi del citato art. 18. Ove invece il partecipante alla riunione sia incriminato soltanto per il fatto di avere manifestato il proprio pensiero - come avviene in base alla norma impugnata - chiara appare la violazione dell'art. 21 della Costituzione.

 

Anche tale ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 311 del 10 dicembre 1969, ma nessuno si é costituito nel relativo giudizio.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

Le due cause riguardano la stessa questione, sicché si rende opportuna la loro riunione e la decisione con unica sentenza, resa in camera di consiglio mancando la costituzione delle parti.

 

1. - L'interpretazione che dell'art. 17 della Costituzione danno le ordinanze in esame, nel senso che esso, pel fatto di condizionare ad un semplice preavviso le riunioni in luogo pubblico che si svolgano pacificamente e senz'armi, ha inteso escludere ogni preventivo intervento autorizzativo da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, ed invece imposto solo un onere a carico dei promotori, deve ritenersi esatta. Dal che discende che nessun illecito penale può addebitarsi a coloro che partecipino ad una riunione non preceduta da preavviso, dato che tale partecipazione si risolve nel concreto esercizio di un diritto costituzionalmente protetto.

 

L'art. 18, terzo comma, del T.U. delle leggi di P.S., che viene denunciato fa esatta applicazione del principio costituzionale (come la Corte ha riconosciuto con la sent. n. 9 del 1956) nella parte in cui sanziona penalmente solo il comportamento dei contravventori all'obbligo del preavviso e non già quello degli intervenuti alla riunione nei cui riguardi, come si é detto, nessun addebito può essere formulato. Conferma di tutto ciò può trarsi dallo stesso articolo 18 in esame che al quarto comma non impone l'obbligo, ma conferisce all'autorità di P.S. solo la facoltà di impedire che le riunioni non precedute da preavviso abbiano luogo, nonché dall'art. 28 del regolamento esecutivo del T.U. n 635 del 1940, secondo cui, nel caso di omissione dell'avviso, l'autorità stessa provvede a impedire che la riunione abbia luogo oppure a vigilarne lo svolgimento.

 

2. - Invece é da ritenere che l'articolo stesso contraddica alla Costituzione allorché commina pena contravvenzionale contro coloro i quali nelle riunioni predette prendano la parola. Se anche si dovesse ritenere che le garanzie costituzionali del diritto in parola non siano rivolte solo a quelle fra le riunioni che abbiano come proprio scopo le manifestazioni o lo scambio del pensiero, é tuttavia certo che a queste esse si rivolgono in via primaria, così da far considerare la libertà di riunione quale uno degli strumenti necessari per la soddisfazione di quell'interesse fondamentale dell'uomo vivente in società, di scambiare con gli altri le proprie conoscenze, opinioni, convinzioni: ed é perciò che la sua disciplina non può non esigere un coordinamento con quella che l'art. 21 detta per assicurare la libertà di manifestazione del pensiero. Ora appare evidente come contrasti con quest'ultima disposizione la sanzione penale irrogata contro coloro ai quali nessun altro addebito si fa all'infuori di quello di avere in una riunione preso la parola, cioè esercitata la facoltà corrispondente alla più propria ragione d'essere della riunione medesima.

 

3. - La parte dell'art. 18 qui considerata si sottrae a censura di incostituzionalità relativamente al solo caso in cui chi prende la parola sia a conoscenza dell'omissione del preavviso. Infatti la posizione che in tal caso egli viene ad assumere, di parte più spiccatamente attiva fra i convenuti, o fa presupporre un accordo con i promotori (ai quali, a tenore dell'art. 19 del citato regolamento per l'esecuzione del T.U. leggi di P.S., incombe l'onere di comunicare le generalità dei designati a prendere la parola), o comunque lo qualifica in modo particolare, così da assimilarlo ai promotori stessi, differenziandolo dai semplici intervenuti, mai punibili anche ove si dimostrasse la conoscenza da parte loro dell'irregolarità intervenuta.

 

Non si vuole, col richiedere siffatta conoscenza, aver riguardo all'elemento soggettivo (ritenuto, dall'opinione prevalente, necessario a far sorgere la responsabilità penale per i reati contravvenzionali: responsabilità che verrebbe meno allorché il prevenuto fornisca la prova della mancanza di colpa o dolo); ma invece precisare l'ambito della fattispecie contravvenzionale ex art. 18, terzo comma ultima parte, che in tanto può ritenersi conforme a Costituzione in quanto si consideri elemento costitutivo del reato addebitabile a chi prende la parola la consapevolezza dell'infrazione in cui siano incorsi i promotori.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, terzo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, nella parte in cui non limita la previsione punitiva a coloro che prendono la parola essendo a conoscenza dell'omissione di preavviso previsto dal primo comma.

 

 

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 1970.

 

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

 

 

Depositata in cancelleria il 10 giugno 1970.