Sentenza n. 57 del 1970
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SENTENZA N. 57

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 407 e 350 n. 5 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 27 luglio 1968 dal giudice tutelare presso la pretura di Milano sull'istanza di Di Prima Vincenzo per l'affiliazione di Bertozzi Simona Prima, iscritta al n. 229 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 318 del 14 dicembre 1968.

Visti gli atti di costituzione di Prima Vincenzo e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 febbraio 1970 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

uditi l'avv. Giovanni Urbani, per il Di Prima, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 27 luglio 1968 il giudice tutelare presso la pretura di Milano, in sede di esame della domanda avanzata da Di Prima Vincenzo intesa ad ottenere l'affiliazione della figlia Bertozzi Simona Prima natale da una relazione adulterina, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 407 e 350 n. 5 del codice civile in riferimento all'art. 30, commi primo e terzo, della Costituzione.

Ha osservato il giudice a quo che il divieto di affiliazione per il fallito che non sia stato cancellato dal registro dei falliti, sancito dalle norme impugnate, sebbene ispirato da apprezzabili ragioni di opportunità, appare anzitutto in contrasto col primo comma del citato precetto costituzionale che enuncia "il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli", anche se nati fuori del matrimonio.

Poiché lo scopo dell'affiliazione é quello di garantire una assistenza privata ai minori figli di ignoti, o in stato di abbandono materiale e morale nonché, secondo una certa giurisprudenza, anche ai figli adulterini dell'affiliante é evidente che l'istituto costituisce uno dei modi con cui viene concretamente realizzato l'interesse garantito dal citato precetto costituzionale. Il divieto previsto é quindi lesivo del diritto costituzionale riconosciuto all'affiliante.

Del pari violato, ad avviso del giudice, é il diritto dell'affiliato ad avere un'assistenza, diritto che risulterebbe garantito dal terzo comma dell'art. 30 secondo il quale "la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima".

L'affiliazione, invero, non lede i diritti della famiglia legittima perché non introduce l'affiliato in detto nucleo familiare, ma si risolve soltanto in una forma di assistenza.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 318 del 14 dicembre 1968.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con deposito di atto di intervento in cancelleria in data 5 dicembre 1968.

Si é anche costituita la parte privata, rappresentata e difesa degli avvocati Giovanni Urbani, Pietro D'Avack e Ugo Montella, con deposito di deduzioni in data 2 gennaio 1969.

Nelle proprie deduzioni l'Avvocatura si sofferma anzitutto sul problema della possibilità o meno dell'affiliazione di un figlio adulterino ricordando che mentre la Cassazione a sezioni unite ha negato tale possibilità, i giudici di merito, invece, l'hanno ritenuta ammissibile. Dopo avere indicato i principali argomenti addotti per la soluzione affermativa e negativa del problema osserva che, qualora la Corte ritenesse di aderire alla tesi della non affiliabilità dei figli adulterini, il contrasto tra le norme impugnate e l'art. 30 della Costituzione non potrebbe neppure ipotizzarsi.

Nell'ipotesi invece che fosse condivisa la tesi della affiliabilità la questione proposta sarebbe da dichiararsi infondata. Numerose sono le incapacità conseguenti all'iscrizione del fallito nell'apposito registro e tra esse vi é quella della esclusione dall'ufficio tutelare che la dottrina prevalente ritiene comporti una diminuzione della capacità giuridica.

Ora, se é vero che nel primo comma dell'art. 30 della Costituzione é sancito il diritto e dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, é altrettanto vero che il secondo comma della stessa norma fornisce l'interpretazione autentica della disposizione precedente chiarendo che "nei casi di incapacità dei genitori la legge provvede a che siano assolti i loro compiti".

La difesa del Di Prima sostiene, per contro, che la questione di legittimità costituzionale é pienamente fondata sotto entrambi i profili prospettati.

Sotto il primo aspetto rileva che poiché non é dubbio che l'art. 30, comma primo, riconosce il diritto dei genitori di allevare la prole anche se nata fuori del matrimonio e poiché questo diritto può essere esercitato in modo migliore e più idoneo nella affiliazione, stante le finalità ed il contenuto di questo istituto, si deve di necessità concludere che vietare per un qualsiasi motivo al genitore naturale di ottenere l'affiliazione, significa limitarlo ed ostacolarlo nell'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.

Quanto poi al secondo profilo d'incostituzionalità la difesa ricorda che il terzo comma dell'art. 30 riconosce ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Ora l'illegittimo, il figlio naturale ha diritto ad essere allevato, istruito ed educato e tutto ciò e realizzabile con l'affiliazione la quale non tocca la sfera della famiglia legittima, ma si limita ad instaurare un rapporto di natura assistenziale strettamente personale tra affiliante e affiliato.

Il divieto di affiliazione da parte del fallito non riabilitato non é posto a tutela né del minore né della famiglia legittima. Non del primo perché l'esperienza insegna che é meglio avere un padre anche se fallito piuttosto che restare nell'infelice situazione di figlio di ignoto o d'illegittimo; né della seconda perché a nulla rileva nei confronti della famiglia legittima che l'affiliante sia o non fallito.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il giudice tutelare presso la pretura di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 407 e 350 n. 5 del codice civile, concernente il divieto di accoglimento dell'istanza di affiliazione del fallito che non sia stato cancellato dal registro dei falliti, in riferimento ai commi primo e terzo dell'art. 30 della Costituzione, muovendo dal presupposto che l'affiliazione sia ammissibile anche nei confronti dei figli adulterini dell'affiliante.

Non é di competenza della Corte accertare se tale presupposto sia o meno fondato. L'ammissibilità dell'affiliazione dei figli adulterini attiene al giudizio di rilevanza della questione di legittimità costituzionale, giudizio che nella specie risulta pronunciato dal giudice a quo.

2. - La questione, nei termini nei quali é stata proposta, non é fondata.

L'istituto dell'affiliazione, così come regolato nel nostro ordinamento, ha carattere prevalentemente assistenziale; con esso il legislatore ha inteso mettere in moto quella attività privata capace, per il suo apporto, oltre che materiale dell'allevamento, anche morale dei legami affettivi, di alleviare la grave situazione di bisogno di un considerevole numero di minori dei quali non si conoscono i genitori, ovvero figli riconosciuti dalla sola madre impossibilitata a provvedere al loro allevamento, o in stato di abbandono, o ricoverati in un istituto di pubblica assistenza (art. 401). Funzione primaria dell'affiliazione é quindi il conseguimento di un fine assistenziale nei confronti di minori, moralmente e materialmente abbandonati. Di siffatto precipuo scopo dell'istituto in esame é dato trarre sicura conferma dalle disposizioni relative alla revoca ed alla estinzione dell'affiliazione. La prima infatti può aver luogo per sopravvenuta impossibilità dell'affiliante "di continuare a provvedere all'allevamento del minore" (art. 410, n. 2); mentre la seconda consegue necessariamente alla reintegrazione nella patria potestà del genitore legittimo o naturale dell'affiliato, decaduto da tale potestà o impedito di esercitarla (art. 411, comma primo).

La funzione esplicata dall'affiliazione é di interesse pubblico ed é per tal motivo che questo istituto, che non dà luogo ad un rapporto di natura familiare sebbene attribuisca allo affiliante i poteri inerenti alla patria potestà (art. 409), si ricollega a quello della tutela pur non rivestendo il carattere officioso proprio di questa. Si giustificano così le limitazioni di capacità stabilite per l'affiliante dall'art. 407 del codice civile. Tali limitazioni sono state disposte a tutela degli interessi dei minori, e, per quanto riguarda in particolare il fallito non cancellato dall'albo, il legislatore ha evidentemente ritenuto che non ricorrano in tal caso quei requisiti morali che sono necessari per poter essere affiliante.

Orbene é chiaro che, date le finalità in vista delle quali l'istituto é sorto ed é stato disciplinato, non é possibile porre a raffronto la disposizione impugnata con le norme di cui all'art. 30, primo e terzo comma, della Costituzione le quali, basandosi su un rapporto di filiazione naturale, affermano rispettivamente il diritto - dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio, ed il diritto di questi ultimi a vedersi assicurata legislativamente ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

Né giova addurre che si possono affiliare i figli nati fuori del matrimonio anche se adulterini. É agevole osservare che facendo ciò si utilizza l'affiliazione per uno scopo che può essere realizzato solo adottando le norme che regolano l'istituto compresa quella che sancisce il divieto di affiliazione per chi si trova nelle condizioni di incapacità ad assumere l'ufficio tutelare.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 407 e 350, n. 5, del codice civile proposta, con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 30, commi primo e terzo, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 15 aprile 1970.