Sentenza n. 44 del 1970
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SENTENZA N. 44

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 56, comma primo, e 58, comma secondo, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, contenente norme generali sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, promosso con ordinanza emessa il 28 maggio 1968 dal tribunale di Locri nel procedimento civile vertente tra Gioffré Domenico e l'amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968.

Visti gli atti di costituzione dell'amministrazione finanziaria dello Stato e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 gennaio 1970 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'amministrazione finanziaria dello Stato e per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 28 maggio 1968 nel procedimento civile vertente tra Gioffré Domenico e l'amministrazione finanziaria dello Stato il tribunale di Locri ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e i 13 della Costituzione, degli artt. 56 e 58 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, contenente norme generali sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie.

Si afferma nell'ordinanza che tali disposizioni - la cui applicazione ha luogo anche per le violazioni delle norme della legge 19 giugno 1940, n. 762, sull'imposta generale sull'entrata - attribuendo efficacia esecutiva all'ordinanza dell'intendente di finanza e al decreto del Ministro delle finanze contenenti condanna a pena pecuniaria, limitano enormemente i diritti di tutela del cittadino.

L'attribuzione di siffatta efficacia consentirebbe, infatti, all'amministrazione finanziaria di soddisfare la sua pretesa, procedendo ad esecuzione sui beni del preteso debitore, prima di qualsiasi accertamento, ad opera dell'autorità giudiziaria, sulla effettiva esistenza e sulla fondatezza della pretesa stessa.

Dal che conseguirebbe, ad avviso del tribunale, una evidente condizione di soggezione e disparità di trattamento per il cittadino nonché una limitazione dei suoi diritti di difesa e tutela giurisdizionale che dovrebbero condurre ad una dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 56 e 58 della legge n. 4 del 1929 in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. Nei confronti, cioè, quegli stessi precetti che giustificarono la pronuncia di incostituzionalità dell'art. 52 della legge n. 762 del 1940 che subordinava al previo pagamento dell'imposta generale sull'entrata l'esperibilità del gravame dinanzi all'autorità giudiziaria contro l'ordinanza definitiva dell'intendente di finanza e contro il decreto, anch'esso definitivo, del Ministro delle finanze (sent. 79/1961).

Nel giudizio dinanzi a questa Corte la parte privata non si é costituita. L'amministrazione finanziaria dello Stato ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, hanno, invece, depositato rispettivamente deduzioni costitutive e atto di intervento in cancelleria l'8 luglio e il 20 settembre 1968.

Nei propri scritti difensivi l'Avvocatura rileva che il tribunale di Locri muove dalla premessa dell'avvenuta abolizione della regola del solve et repete per sostenere l'incostituzionalità del principio dell'esecutorietà del provvedimento amministrativo in materia tributaria. Ha dimenticato però che nelle stesse sentenze citate nell'ordinanza di rinvio (21 e 79 del 1961) la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare che dall'abolizione della regola suddetta non viene in alcun modo intaccato il principio dell'esecutorietà dell'atto amministrativo; e che nella successiva sentenza n. 86 del 1962, in cui venne in esame l'art. 145, comma terzo, della legge di registro, la Corte, nel ribadire l'impossibilità di una assimilazione giuridica o un collegamento logico tra i due principi, ha affermato che l'esecutorietà dell'atto non impedisce né limita la tutela giurisdizionale, ma esclude soltanto che l'autorità giudiziaria possa sospendere l'effetto dell'atto amministrativo: il che é permesso dall'art. 113 della Costituzione.

In particolare, venendo alle singole censure l'Avvocatura osserva che non sussiste violazione del principio di uguaglianza non potendosi disconoscere la peculiarità del rapporto contribuente - Fisco; che neppure é a parlarsi di violazione degli artt. 24 e 113 dato che l'esecuzione iniziata dall'amministrazione non vieta al debitore di agire in giudizio e di tutelare i propri diritti e interessi.

Conclude pertanto chiedendo che la Corte voglia dichiarare non fondata la proposta questione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Gli artt. 56, comma primo, e 58, comma secondo, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, contenente norme generali sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, attribuiscono efficacia di titolo esecutivo rispettivamente all'ordinanza, non impugnata in termine dal trasgressore, con la quale l'intendente di finanza determina l'ammontare della pena pecuniaria e al decreto del Ministro delle finanze che stabilisce in misura diversa, rispetto all'ordinanza intendentizia, l'ammontare di detta pena. Il tribunale di Locri, muovendo dalla premessa che l'attribuzione di siffatta efficacia rende coercibile l'obbligo di pagare consentendo all'amministrazione di realizzare la sua pretesa sui beni del contribuente senza il previo accertamento della fondatezza della stessa ad opera dell'autorità giudiziaria, ha ritenuto che le indicate disposizioni siano in contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione e che debbano essere dichiarate incostituzionali così come é stato fatto per la disposizione contenuta nell'art. 52 della legge 19 giugno 1940, n. 762, che subordinava al previo pagamento dell'imposta sull'entrata l'esperibilità dell'azione giudiziaria contro l'ordinanza definitiva dell'intendente e contro il decreto del Ministro delle finanze (sentenza n. 79/1961

).

2. - La questione non é fondata. Le norme denunziate non hanno alcuna relazione con la regola del solve et repete che la Corte ha più volte dichiarato contrastante con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione; ma costituiscono applicazione del principio dell'esecutorietà dell'atto amministrativo nel campo tributario la cui legittimità, in riferimento agli stessi precetti costituzionali, é stata affermata in diverse occasioni (sentenze 21 del 1961, 86 e 87 del 1962).

Il principio dell'esecutorietà é di fondamentale importanza nel nostro ordinamento poiché garantisce il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato assicurandogli la pronta disponibilità di quei mezzi economici che sono indispensabili per assolvere i compiti di pubblico interesse (sentenza 13 del 1970). Gli scopi ai quali il regime giuridico dell'esecutorietà é preordinato si realizzano, peraltro, senza violazione dei precetti costituzionali che assicurano l'eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e l'intangibilità del loro diritto di agire in giudizio per la tutela dei diritti e interessi legittimi contro tutti gli atti lesivi della pubblica amministrazione.

Nei confronti del principio dell'esecutorietà, che consente la riscossione, anche in via coattiva, di una entrata senza che sia necessario il previo accertamento della legittimità dell'imposizione, tutti i contribuenti si trovano in identica situazione; mentre, per quanto riguarda il rapporto fisco - contribuente, la diversità di trattamento riservato al primo trova giustificazione, come é stato già rilevato, nell'esigenza di garantire allo Stato la percezione delle entrate necessarie al perseguimento dei suoi fini pubblici.

In ordine poi ai diritti di tutela e difesa giuridica delle proprie ragioni é di tutta evidenza che l'esecutorietà dell'atto amministrativo non esclude la proponibilità dell'azione davanti all'autorità giudiziaria, non preclude cioè al contribuente la possibilità di esperire quei gravami diretti ad ottenere l'eventuale accertamento giudiziale d'illegittimità della pretesa tributaria, né peraltro sottopone tali azioni ad alcun onere preliminare.

Queste le ragioni poste dalla Corte nelle ricordate sentenze a sostegno della legittimità costituzionale del principio dell'esecutorietà dell'atto amministrativo, ragioni che si appalesano valide e decisive anche rispetto alle norme ora in esame che tale principio riaffermano in materia di applicazione di pene pecuniarie per violazioni di leggi finanziarie.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 56, comma primo, e 58, comma secondo, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, contenente norme generali sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, sollevata, con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 1970.  

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 23 marzo 1970.