Sentenza n. 25 del 1970
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SENTENZA N. 25

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 168, capoverso, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 25 aprile 1968 dal pretore di Empoli nel procedimento penale a carico di Tonchi Paolo, iscritta al n. 154 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 gennaio 1970 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In sede di esame di ammissibilità dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 207 del codice di procedura penale, il pretore di Empoli, con ordinanza del 14 novembre 1967, dichiarava inammissibile l'appello proposto da Tonchi Paolo avverso la sentenza di condanna da lui emessa in data 10 ottobre 1967. Dopo la notificazione dell'ordinanza, che veniva eseguita nella residenza del condannato il 23 novembre 1967, mediante consegna di copie alla madre convivente, il pretore emetteva contro il Tonchi ordine di carcerazione per la esecuzione della sentenza di condanna alla pena di anni due e mesi uno di reclusione.

Avverso tale provvedimento il Tonchi proponeva incidente di esecuzione deducendo, tra l'altro, la nullità (per mancanza dell'estremo della convivenza) della notificazione dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello, eseguita ai sensi dell'art. 169 del codice di procedura penale, mentre egli era detenuto, sin dal 12 novembre 1967, in esecuzione di altro ordine di carcerazione.

Il pretore, con ordinanza emessa il 25 aprile 1968, dopo aver rilevato che le argomentazioni svolte dal condannato non avevano " alcuna possibilità di essere accolte allo stato della legislazione vigente ", in quanto, secondo l'interpretazione giurisprudenziale, aderente del resto alla formulazione letterale dell'art. 168, cpv., del codice di procedura penale, é immune da nullità la notificazione eseguita nella casa di abitazione dell'imputato a persona diversa dallo stesso, quando dagli atti non risulti lo stato di detenzione dell'imputato, né questo fu fatto presente dalla persona che ricevé la copia, proponeva d'ufficio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 168, cpv. c.p.p., nella parte in cui subordina l'obbligo della notificazione in mani proprie dell'imputato alla condizione che lo stato di detenzione risulti dagli atti del procedimento, in relazione all'art. 24 della Costituzione.

Osserva il giudice a quo che la dedotta questione di legittimità costituzionale é rilevante ai fini della decisione dell'incidente di esecuzione, perché dalla regolarità della notificazione dell'ordinanza di ammissibilità dell'appello, dipende il passaggio in giudicato della sentenza vale a dire l'esistenza del titolo esecutivo contro il condannato.

Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, rileva il pretore che le ragioni che hanno indotto il legislatore a stabilire la diversa disciplina per le notificazioni all'imputato detenuto valgono anche nel caso in cui l'imputato é detenuto per causa diversa dal procedimento per il quale deve eseguirsi la notificazione; in questa ipotesi invece l'art. 168, cpv., c.p.p., subordina la notificazione in mani proprie del detenuto alla condizione che lo stato di detenzione risulti dagli atti. Questa disposizione, in mancanza di un sistema automatico di registrazione sul casellario giudiziario di tutti i casi di detenzione, costituisce, ad avviso del pretore di Empoli, una grave limitazione del diritto di difesa, considerato diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, dall'art. 24 della Costituzione.

L'ordinanza, comunicata e notificata nelle forme di rito, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968.

2. - Con atto di intervento e deduzioni del 7 agosto 1968, si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo della Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la Corte costituzionale dichiari infondata la questione di legittimità proposta dal pretore di Empoli.

Secondo l'Avvocatura, la norma impugnata rappresenta una puntuale applicazione del principio secondo cui l'efficacia e la legittimità della notificazione vanno considerate alla stregua delle condizioni esistenti e note al giudice al momento in cui le notificazioni sono state disposte ed eseguite.

Ora, a prescindere dal fatto che nella fattispecie sottoposta all'esame del giudice a quo, il detenuto era a conoscenza del procedimento a suo carico ed aveva quindi l'onere di comunicare o far comunicare alla autorità giudiziaria competente il suo stato di detenzione, l'Avvocatura ritiene che, anche prendendo in considerazione tutti gli altri casi ipotizzabili, non possa verificarsi una violazione del diritto di difesa.

Riconosce l'Avvocatura che, in pratica, la privazione della libertà personale può risolversi nella pratica impossibilità di assicurare convenientemente la propria difesa e persino in una perdita del diritto di impugnazione e di altri diritti per decadenza; ciò non toglie però che tali eccezionali ipotesi possano essere ricondotte negli schemi della forza maggiore, per i quali la legge assicura la tutela del diritto di difesa con l'istituto della rimessione in termini, previsto dall'art. 183 bis del codice di procedura penale.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Empoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 168, comma secondo, del codice di procedura penale in rapporto all'art. 24 della Costituzione.

Argomenta il pretore che se le notificazioni all'imputato detenuto debbono essere effettuate, perché si abbia conoscenza certa da parte di lui, mediante consegna della copia dell'atto alla persona, non si giustifica l'eccezione per la quale la notifica può invece aver corso nelle forme ordinarie quando si riferisca a processo diverso da quello per cui l'imputato é detenuto e dagli atti di questo non risulti il suo stato di detenzione.

La notifica effettuata in tal modo, aggiunge il pretore, potrebbe sfuggire alla conoscenza del detenuto, e quindi il suo diritto di difesa restarne menomato.

La questione, così prospettata, può ritenersi solo parzialmente fondata.

2. - La notifica nelle forme ordinarie, nei confronti di chi sia detenuto per altro processo, non importa menomazione del suo diritto di difesa fin quando viene eseguita alle persone e nei luoghi con cui é ragionevole presumere l'imputato conservi, nonostante il suo stato di detenzione, contatti e rapporti.

Così deve ritenersi accada quanto alla notifica effettuata ai sensi dell'art. 169 del codice di procedura penale, e cioè mediante consegna della copia nei luoghi ove l'imputato ha residenza o dimora; oppure per quella effettuata ai sensi dell'art. 171 c.p.p. nei luoghi ove l'imputato, prima che il suo stato di detenzione intervenisse, aveva eletto domicilio. In entrambi i casi le persone cui la copia é consegnata, o per i vincoli e i rapporti che esse hanno con l'imputato e sono dalle leggi indicati, o per la scelta fiduciaria che egli stesso ebbe a farne, é da ritenere inoltreranno a lui l'atto notificato. In altri termini, la notifica in tal modo effettuata deve considerarsi valida a raggiungere l'imputato perché cade nel suo ambiente di vita col quale il suo stato di detenzione non ha reciso ogni legame.

Diversamente é a dirsi invece per quanto concerne la notifica eseguita ai sensi dell'art. 170 c.p.p. relativa all'imputato irreperibile.

Com'é noto, la giurisprudenza dei giudici ordinari é orientata nel senso della validità di tale forma di notificazione anche nei confronti di imputato detenuto per altro processo e il cui stato di detenzione non risulti dagli atti.

Ma, in termini di ragionevolezza e di giustizia, stridente appare il contrasto fra la dichiarata condizione di irreperibilità dell'imputato e il suo reale stato di permanente reperibilità determinato dal fatto della sua detenzione. Né la ignoranza che in realtà l'autorità procedente, per la complessità dell'organizzazione giudiziaria e il rilevante numero dei detenuti, può avere della sua condizione di ristretto in carcere, può rendere legittima una dichiarazione di irreperibilità con conseguenze così gravi per la tutela del suo diritto di difesa. E ciò tanto più che quella ignoranza, come pure é stato osservato, può essere superata, mediante opportuni strumenti d'indagine che rendano possibile e sicuro l'accertamento dello stato di detenzione nel quale può venirsi a trovare l'imputato.

Né, secondo l'Avvocatura osserva, potrebbe al caso di cui alla proposta questione di legittimità costituzionale, porre rimedio l'istituto della remissione in termini reintrodotta nell'ordinamento dall'art. 183 bis c.p.p., perché la stessa giurisprudenza ordinaria ritiene che quell'istituto non possa avere applicazione a causa di mancata notizia da parte dell'interessato di atti che siano stati a lui regolarmente notificati nelle forme previste dalla legge.

In tali limiti la questione proposta dal pretore di Empoli é da ritenersi fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 168, comma secondo, del codice di procedura penale, nella parte in cui, subordinando l'obbligo della notificazione in mani proprie dell'imputato alla condizione che lo stato di detenzione risulti dagli atti del procedimento, consente che all'imputato detenuto la notifica possa venir effettuata anche nelle forme di cui all'art. 170 del codice di procedura penale.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 23 febbraio 1970.