Sentenza n. 13 del 1970
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SENTENZA N. 13

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 98 del R.D. 15 settembre 1923, n. 2090 (regolamento per l'esecuzione della legge sulla riscossione delle imposte dirette) e dell 'art. 198 del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1968 dalla Corte di cassazione - sezione prima civile nel procedimento civile vertente tra la società Gestione appalti pubblici (S.A.G.A.P.), Gianni Livigni Giovanni ed altri e la Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 del 10 agosto 1968.

Visti gli atti di costituzione della S.A.G.A.P. e dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udito nell'udienza pubblica del 26 novembre 1969 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;

uditi gli avvocati Carmelo Fortino e Leopoldo Ermetes, per la S.A.G.A.P., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Vito Cavalli, per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 13 marzo 1968 - emessa nel procedimento civile pendente tra la società p.a. Gestione appalti pubblici (S.A.G.A.P.), Giannilivigni Giovanni ed altri e l'Amministrazione finanziaria dello Stato - la prima sezione della Corte di cassazione ha proposto di ufficio una questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 98 del R.D. 15 settembre 1923, n. 2090 (regolamento per l'esecuzione della legge sulla riscossione delle imposte dirette) e l'art. 198 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, sulle imposte dirette.

Le citate disposizioni vengono denunziate nella parte in cui esse "dispongono che nello sgravio dai ruoli sono compresi soltanto gli aggi dell'esattore, con conseguente esclusione dell'indennità di mora". Ad avviso della Corte di cassazione siffatta esclusione violerebbe il principio di eguaglianza affermato nell'art. 3 della Costituzione: poiché il legislatore - come questa Corte ha precisato in precedenti occasioni - é tenuto, nel rispetto di quel principio, a non assoggettare ad identico trattamento situazioni che siano obiettivamente diverse, l'illegittimità delle disposizioni impugnate discenderebbe dal fatto che esse stabiliscono, relativamente all'indennità di mora, una piena equiparazione fra coloro che sono effettivamente soggetti passivi del rapporto tributario e coloro che non lo sono affatto. Questa uniformità di disciplina per situazioni che sono non soltanto diverse, ma addirittura opposte non trova, secondo l'ordinanza di rimessione, alcuna giustificazione. Ed infatti la configurazione dell'indennità di mora come mezzo di coazione a carattere sanzionatorio ovvero l'efficacia costitutiva autonoma che la dottrina e talvolta anche la giurisprudenza hanno riconosciuto all'iscrizione nei ruoli non possono indurre a ritenere che quest'ultima sia svincolata dal rapporto fondamentale fino al punto da legittimare la mancata restituzione dell'indennità di mora a coloro che risultino del tutto estranei al rapporto stesso; né, d'altra parte, la regola del c.d. "non riscosso per riscosso" può costituire una valida ragione per riversare su chi abbia ottenuto lo sgravio le conseguenze degli obblighi che l'esattore ha assunto verso l'ente impositore.

2. - L'ordinanza, notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 10 agosto 1968. Innanzi a questa Corte si sono costituiti la S.A.G.A.P. (atto di deduzioni del 22 luglio 1968) e l'Amministrazione finanziaria dello Stato (atto di deduzioni del 26 agosto 1968). Si sono anche costituiti, ma fuori del termine massimo previsto dalle norme vigenti, i signori Giovanni e Giuseppe Giannilivigni, Gaetano Patinella, Salvatore, Francesco, Giovanna, Pasqua e Ninfa Puccio (atto depositato il 26 ottobre 1968).

3. - La difesa della S.A.G.A.P. sostiene che, ai fini della questione proposta dalla Corte di cassazione, importanza decisiva deve riconoscersi alla regola secondo la quale l'iscrizione a ruolo di una imposta attribuisce di per sé all'erario il diritto di esigere il pagamento del tributo, diritto fondato sulla legge e derivante da quella esecutorietà del ruolo che trova la sua ragion d'essere nel principio generale secondo il quale l'atto amministrativo é assistito dalla presunzione di legittimità: in effetti il cittadino, come é tenuto a rispettare e a dare esecuzione ad un atto amministrativo finché questo non venga sospeso o dichiarato illegittimo dal giudice competente, così é tenuto a pagare l'imposta iscritta nei ruoli ed a corrispondere, se inadempiente, l'indennità di mora. Richiamati ampiamente i principi affermati dalla Corte in materia tributaria ed esattoriale, la difesa rileva che ad essi é conforme l'obbligo del contribuente di versare il tributo e, in caso di ritardo, l'indennità di mora, sicché l'esclusione del rimborso di quest'ultima ove risulti che il primo non era dovuto é giustificata "stante il carattere di efficacia costitutiva autonoma di tale indennità rispetto al debito di imposta e dato il carattere sanzionatorio dell'indennità stessa". Ad ulteriore giustificazione delle disposizioni denunziate si deve tener conto - così concludono le deduzioni - della circostanza che l'esattore é obbligato a versare all'ente impositore anche i tributi non pagati dal contribuente moroso, di tal che é giusto che, ove venga disposto lo sgravio, egli non sia tenuto a restituire quella indennità che rappresenta il costo del danaro da lui anticipato in luogo del contribuente moroso.

In una successiva memoria depositata il 13 novembre 1969 la difesa della S.A.G.A.P., dopo aver eccepito l'inammissibilità della costituzione delle controparti private, sostiene che innanzi a questa Corte non possono discutersi questioni inerenti all'interpretazione ed all'applicazione delle norme al caso concreto; nega ogni fondamento alla tesi secondo la quale l'art. 98 del R.D. 15 settembre 1923, n. 2090 sia da considerare abrogato ed osserva che, ad ogni modo, l'art. 198 del testo unico vigente assicura di per sé il diritto dell'esattore di percepire e di trattenere l'indennità di mora anche in caso di sgravio (principio affermato dalla Cassazione ed indirettamente confermato dalla motivazione della sent. n. 58 del 1968 di questa Corte); rileva, infine, che sulla questione in esame non spiega nessuna influenza l'illegittimità costituzionale del c.d. solve et repete e che l'indennità di mora non ha carattere accessorio del tributo, ma ha natura sanzionatoria e perciò é da considerare indipendente e distinta dall'obbligazione principale, anche se da questa essa prende occasione. Dopo aver precisato che l'attuale questione di legittimità costituzionale va esaminata nei limiti in cui essa é stata proposta dal giudice a quo e che pertanto deve essere presa in corisiderazione solo la denunziata violazione dell'art. 3 della Costituzione, la difesa mette in evidenza che le disposizioni impugnate rispondono all'esigenza di non incrinare la presunzione di legittimità del ruolo e di assicurare all'erario la possibilità di imporre a tutti i contribuenti il tempestivo pagamento delle imposte.

4. - Anche la difesa dell'Amministrazione finanziaria dello Stato chiede che la questione sia dichiarata non fondata. Nell'atto di deduzioni l'Avvocatura rileva, in linea preliminare, che la disciplina normativa in esame si riferisce esclusivamente alle conseguenze del provvedimento di sgravio, sicché manca la possibilità di raffrontarla con la situazione, del tutto estranea alle norme denunziate, di chi non ha diritto al rimborso dell'imposta. Nel merito l'Avvocatura osserva che nessuna norma costituzionale garantisce al contribuente che abbia ottenuto il riconoscimento del suo diritto a non pagare l'imposta la piena reintegrazione nella posizione in cui egli si sarebbe trovato ove non fosse avvenuta l'iscrizione a ruolo: giacché si tratta di risolvere un problema di eguaglianza, é importante la circostanza che anche il codice civile, nel disciplinare la ripetizione dell'indebito, non prevede la totale restitutio in integrum di chi abbia pagato ciò che non doveva. Ad ogni modo - così prosegue l'Avvocatura - il sistema di riscossione delle imposte dirette, basato su quel principio di esecutorietà dell'atto amministrativo che nella materia in esame assicura una pronta realizzazione dei crediti tributari, comporta un dovere di prestazione che prescinde dall'accertamento definitivo ed irrevocabile dell'obbligazione: in considerazione di tale dovere l'indennità di mora trova la sua autonoma ragion d'essere nel ritardato adempimento dell'obbligo derivante dall'iscrizione nei ruoli, di tal che si tratta di una situazione che é comune sia a coloro che siano iscritti nei ruoli per imposte definitivamente accertate o che successivamente si accertino esser dovute, sia a coloro che, invece, possano successivamente esser riconosciuti non debitori. D'altra parte - conclude l'Avvocatura - il c.d. obbligo dell'esattore del non riscosso per riscosso dimostra che l'indennità di mora, compensativa di tale onere, non é accessoria al rapporto di imposta, ma é oggetto di un'obbligazione che si collega al rapporto tra esattore e contribuente, con la conseguenza che, trattandosi di un rapporto autonomo, é indifferente la sorte definitiva dell'accertamento tributario.

Tali tesi sono state ulteriormente illustrate in una memoria depositata il 6 novembre 1969. In essa, tra l'altro, si mette in evidenza che, a causa dell'esecutorietà del ruolo, la relativa iscrizione da una parte attribuisce all'Amministrazione il diritto di esigere le somme poste a carico del contribuente, dall'altra impone a quest'ultimo il corrispondente obbligo di pagamento: il sistema, dunque, necessariamente comporta un dovere di prestazione che é indipendente dall'accertamento definitivo dell'obbligazione tributaria, e perciò manca quella diversità di situazioni che avrebbe reso necessario un trattamento differenziato.

5. - Nella discussione orale la difesa della S.A.G.A.P. e l'Avvocatura dello Stato hanno esposto le argomentazioni a sostegno della tesi della non fondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta dall'ordinanza di rimessione.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 198 del testo unico sulle imposte dirette (D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645), dopo aver stabilito (primo comma) che quando risulta che siano iscritte a ruolo somme non dovute l'ufficio ne dispone lo sgravio, aggiunge (secondo comma) che in questo sono compresi - tranne i casi previsti dagli artt. 61 e 68 - "anche gli aggi di riscossione". La Corte di cassazione, muovendo dall'esatto presupposto che la disposizione debba essere interpretata nel senso che dallo sgravio é esclusa l'indennità di mora, dubita della sua legittimità costituzionale, perché, a suo avviso, essa assoggetterebbe, per quanto si riferisce alla predetta indennità, allo stesso trattamento sia "coloro che sono effettivamente soggetti passivi del rapporto tributario" sia "coloro che non lo sono affatto e risultano solo formalmente iscritti nei ruoli quali debitori di imposta": questa uniformità di disciplina per situazioni del tutto diverse determinerebbe, secondo l'ordinanza di rimessione, un contrasto fra la legge impugnata e l'art. 3 della Costituzione.

2. - L'avvocatura dello Stato preliminarmente obietta che la norma denunziata non consente un confronto fra le posizioni del contribuente al quale sia dovuto il rimborso delle somme iscritte a ruolo e pagate ed il contribuente al quale tale rimborso non sia dovuto, e ciò perché quella norma, in quanto disciplina gli effetti dello sgravio, riguarda esclusivamente la prima ipotesi.

Tale dubbio sulla corretta proposizione della questione appare privo di fondamento. Ed infatti, pur essendo vero che l'art. 198 si riferisce solo allo sgravio delle somme non dovute, l'effetto della disposizione é precisamente quello di rendere irrilevante sulla sorte dell'indennità di mora il successivo riconoscimento dell'illegittimità dell'iscrizione a ruolo: vale a dire, come in sostanza rileva il giudice a quo, di parificare, a quel riguardo, la situazione del contribuente che quel riconoscimento ottenga e la situazione del contribuente che delle somme iscritte a ruolo sia effettivo debitore.

3. - Definita la questione di legittimità costituzionale nei suddetti termini, l'indagine deve essere volta a verificare se fra le indicate situazioni ci sia quella netta diversità che renderebbe necessaria, nel rispetto del principio di eguaglianza, una disciplina corrispondentemente differenziata.

A sostegno di una conclusione negativa entrambe le parti costituite invocano in primo luogo l'esecutorietà che assiste il ruolo di imposta. In sostanza esse sostengono che se di fronte all'iscrizione a ruolo ed indipendentemente dalla legittimità di questa il contribuente deve tempestivamente pagare le singole rate di imposta e, in caso di ritardo, é tenuto a corrispondere l'indennità di mora prevista dalla legge (art. 194 t.u.), non gli si può riconoscere, in caso di successivo sgravio, il diritto al rimborso di tale indennità, perché comunque egli deve subire le conseguenze del ritardato adempimento di un obbligo che discendeva direttamente ed autonomamente dall'iscrizione nel ruolo.

La Corte ritiene che tale tesi non possa essere condivisa. Esatta nelle premesse, essa giunge a conseguenze che non appaiono conciliabili col principio di legalità che é un cardine del vigente ordinamento costituzionale.

Non c'é dubbio che il ruolo di imposte, secondo le regole proprie dei provvedimenti amministrativi, si caratterizza per gli attributi dell'autoritatività e dell'esecutorietà. Tale regime giuridico, predisposto ad assicurare alla pubblica amministrazione la pronta e regolare disponibilità dei mezzi economici necessari per far fronte ai suoi compiti, soddisfa una fondamentale esigenza della vita dello Stato e trova perciò giustificazione costituzionale in un preminente, pubblico interesse. Gli scopi ai quali esso é preordinato rendono legittimo il potere di riscuotere i tributi iscritti a ruolo senza che sia necessario un previo accertamento della legittimità della loro imposizione, ed autorizzano, in caso di mancato adempimento, l'esecuzione forzata nei modi previsti dalla legge. É perciò esatto che finché non intervenga, in via amministrativa o giurisdizionale, un riconoscimento dell'illegittimità dell'iscrizione a ruolo, non v'é da distinguere secondo che il contribuente sia o non sia effettivo debitore dell'imposta: in ogni caso egli legittimamente soggiace alla pretesa della pubblica amministrazione, alle conseguenze che si connettono al ritardo nei pagamenti, all'eventuale esecuzione. Ma l'irrilevanza della legittimità o illegittimità dell'iscrizione a ruolo deve arrestarsi a questo punto. Autoritatività ed esecutorietà dell'atto, compatibili con la Costituzione nei limiti in cui costituiscono strumento essenziale per il soddisfacimento del pubblico interesse al quale innanzi si é accennato, non sono idonee a giustificare il permanere di effetti sanzionatori a carico del soggetto nei cui confronti e nei modi previsti dall'ordinamento venga accertata l'illegittimità del ruolo. Ed invero nel momento in cui, in conseguenza di tale accertamento, si dispone lo sgravio, la situazione del contribuente a carico del quale erano state iscritte somme risultate poi non dovute si differenzia nettamente dalla situazione del contribuente che allo sgravio non abbia diritto, ed esige una regolamentazione giuridica che tenga indenne l'interessato dalle sanzioni che discendono dall'inadempimento di un obbligo che illegittimamente gli era stato imposto. A questo proposito non ha alcuna rilevanza la disputa intorno all'esatta individuazione della fonte genetica dell'obbligazione tributaria. Quel che conta é che l'amministrazione finanziaria ha il dovere di agire nell'ambito e nei limiti della legge (art. 23 Cost.), sicché, ove risulti l'illegittimità del ruolo, deve necessariamente venir meno il diritto a pretendere o a trattenere, per le rate scadute prima dello sgravio, quella indennità di mora che é sanzionatoria di un dovere di prestazione che era stato imposto fuori dei casi consentiti dalla legge.

Tale diritto non potrebbe trovare giustificazione, contro quanto sostengono le difese dell'Amministrazione finanziaria e della S.A.G.A.P., neppure in base alla considerazione che la predetta indennità svolge una funzione compensativa dell'obbligo dell'esattore di versare all'ente impositore le somme iscritte nei ruoli anche se alle scadenze fissate egli non le abbia ancora riscosse. E difatti, poiché il contribuente é terzo rispetto al rapporto di esattoria, sarebbe del tutto arbitrario, quando risulti che le somme iscritte non erano dovute, addossare a lui le conseguenze svantaggiose che all'esattore derivano da quel rapporto.

4. - In base a quanto si é detto si deve concludere che la legge impugnata, escludendo l'indennità di mora dagli effetti del provvedimento di sgravio, ha sottoposto, per quella parte, ad una medesima disciplina il contribuente effettivo debitore delle somme iscritte a ruolo ed il contribuente che risulti non esserlo: vale a dire, ha trattato allo stesso modo due situazioni nettamente differenziate ed é incorsa perciò, secondo i principi costantemente affermati da questa Corte, nella violazione dell'art. 3 della Costituzione.

L'art. 198, secondo comma, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, deve essere dichiarato, pertanto, parzialmente illegittimo.

5. - L'ordinanza di rimessione ha denunziato anche l'articolo 98 del R.D. 15 settembre 1923, n. 2090, che nel terzo comma egualmente esclude dallo sgravio "le multe per ritardati pagamenti". Ma poiché si tratta di un regolamento e, quindi, di un atto non avente forza di legge, la relativa questione deve essere dichiarata inammissibile. Rientra nei poteri del giudice ordinario, al fine dell'eventuale disapplicazione, verificarne la compatibilità con il testo della legge quale risulta a seguito della pronunzia di parziale illegittimità.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 198, secondo comma, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (contenente il testo unico delle leggi sulle imposte dirette) nella parte in cui esclude dallo sgravio l'indennità di mora;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 98 del R.D. 15 settembre 1923, n. 2090 (contenente il regolamento per l'esecuzione della legge sulla riscossione delle imposte dirette), proposta dall'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 4 febbraio 1970.