Sentenza n. 12 del 1970
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SENTENZA N. 12

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 20 maggio 1965, n. 507 (divieto di uso degli apparecchi automatici e semiautomatici da giuoco nei luoghi pubblici o aperti al pubblico e nei circoli ed associazioni di qualsiasi specie), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 24 novembre 1967 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra l'Associazione Lombarda Relax e l'Amministrazione degli interni, iscritta al n. 79 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968;

2) ordinanza emessa il 29 marzo 1968 dal pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Noventa Rinaldo, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968;

3) ordinanza emessa il 29 gennaio 1969 dal pretore di Adrano nei procedimenti penali riuniti a carico di Mazzaglia Giuseppe ed altri, iscritta al n. 143 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione dell'Associazione Lombarda Relax e di Mazzaglia Giuseppe, Pappalardo Carmelo e Nicolosi Giuseppe;

udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1969 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Carlo Majno, per l'Associazione Lombarda Relax, gli avvocati Giuseppe Talamanca e Nicola Petrelli, per Mazzaglia Giuseppe ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con atto di citazione del 4 maggio 1965 l'Associazione Lombarda Relax conveniva in giudizio davanti al tribunale di Milano l'Amministrazione degli interni; e, premesso che l'autorità di pubblica sicurezza aveva sequestrato in associazioni private e in circoli apparecchi da trattenimento e da giuoco del tipo di quelli che essa istante riteneva di avere il diritto di collocare e mettere in funzione nella propria sede, ad uso dei propri associati, chiedeva l'accertamento di codesto diritto.

Entrata in vigore la legge 20 maggio 1965, n. 507, che, modificando l'art. 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, vietava l'uso nei luoghi pubblici o aperti al pubblico e nei circoli ed associazioni di qualunque specie, degli apparecchi o congegni automatici e semiautomatici da giuoco e considerava tali quelli che possono dar luogo a scommesse o consentono la vincita di un qualsiasi premio in denaro o in natura anche sotto forma di consumazione o di ripetizione di partita, l'associazione attrice deduceva l'illegittimità costituzionale della legge perché in contrasto con gli artt. 18 e 41 della Costituzione.

L'Amministrazione degli interni eccepiva il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, la carenza di legittimazione processuale ed il difetto di interesse ad agire, e circa l'asserita illegittimità costituzionale della legge, deduceva che la relativa questione era inammissibile, irrilevante ed infondata; nel merito, sosteneva che la domanda era infondata e ne chiedeva il rigetto.

Il tribunale di Milano, dopo avere, con sentenza non definitiva, respinto le eccezioni, pregiudiziale e preliminare, avanzate dall'amministrazione convenuta, riteneva, con ordinanza del 24 novembre 1967, non manifestamente infondata l'anzidetta questione.

Dato atto, ai fini della rilevanza, che avrebbe potuto emettere la sentenza definitiva solo dopo la pronuncia della Corte costituzionale, osservava in ordine al contrasto con l'art. 41 della Costituzione, che un'associazione di svago, come consumatore, può essere lesa da una disposizione legislativa che limiti incostituzionalmente l'attività economica privata, e che con l'inclusione tra gli apparecchi o congegni automatici o semiautomatici da giuoco vietati, di quelli che possono dar luogo a scommesse o consentono la vincita di un qualsiasi premio in denaro o in natura anche sotto forma di consumazione o di ripetizione di partita, il legislatore si fosse discostato dai principi enunciati nella sentenza n. 125 del 1963 della Corte costituzionale. Questa, infatti, avrebbe escluso dal divieto gli apparecchi che in nessun caso possono stimolare attività riprovevoli, ed in particolare non vi avrebbe compreso la "ripetizione di partita" (e cioè la possibilità di giuocare un'altra partita, dopo che si é conseguito un determinato punteggio) che non potrebbe rientrare né nel concetto di giuoco né in quello di scommessa e rappresenterebbe solo una modalità di funzionamento dell'apparecchio e non costituirebbe certamente stimolo a riprovevoli attività, ma "esclusivamente svago o divertimento per chi creda di dovercisi dedicare".

Con l'ordinanza di rimessione, veniva altresì denunciata la violazione dell'art. 18 della Costituzione. Ad avviso del tribunale, "tutto quello che un cittadino può fare da solo, che può compiere senza urtare i precetti della legge penale, può essere oggetto e scopo di associazione", e pertanto sarebbe "in contrasto con la parità di capacità per tutti i soggetti, che il costituente ha voluto sancire" e si dovrebbe reputare costituzionalmente illegittima la norma contenuta nella citata legge n. 507 che impone alle associazioni divieti di azioni consentite ai singoli. D'altra parte l'estensione ai circoli e alle associazioni del divieto di usare i detti apparecchi e congegni, non può essere giustificata con considerazioni di ordine topografico, giacché i locali di un'associazione non possono equipararsi ai luoghi pubblici o aperti al pubblico.

L'ordinanza veniva notificata e comunicata e infine pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 5 luglio 1968.

2. - Dell'art. 1 della citata legge n. 507 del 1965 "nella parte in cui sancisce il divieto di qualsiasi apparecchio automatico e semiautomatico che consente la vincita di un qualsiasi premio in denaro o in natura, anche sotto forma di consumazione o di ripetizione di partita", veniva denunciata la illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, da parte del pretore di Padova con ordinanza, emessa sotto la data del 29 marzo 1968, nel procedimento penale a carico di Rinaldo Noventa rinviato a giudizio per avere tenuto nel proprio esercizio pubblico di bar a disposizione del pubblico un biliardino elettrico Flipper che consentiva il prolungamento di partita.

Il pretore riteneva, in sede di interpretazione della citata legge, che il prolungamento di partita dovesse essere equiparato alla ripetizione di partita. Si riportava alla precedente ordinanza del tribunale di Milano, ma osservava che la questione ivi sollevata andava diversamente profilata: il legislatore sarebbe incorso in un eccesso di potere, in quanto, nonostante che la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 125 del 1963, avesse voluto limitare il divieto ai giuochi pericolosi, e avesse precisato che il difetto di tale pericolosità determina il ripristino della libertà economica privata, avrebbe posto in essere inutili dannose limitazioni a tale libertà vietando l'uso di apparecchi e congegni da giuoco (flippers) con semplice ripetizione di partita per i quali la detta pericolosità non sussiste.

Sarebbero, per tal modo, violati gli artt. 3 e 41 della Costituzione, i quali "sul piano di eguaglianza, garantiscono la libertà economica individuale, col solo limite di non favorire fini antisociali".

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968.

3. - La questione di illegittimità costituzionale dell'art. 1 della ripetuta legge n. 507 del 1965, in riferimento all'art. 41 della Costituzione, veniva, infine, sollevata, con ordinanza del 29 gennaio 1969, anche dal pretore di Adrano nei procedimenti penali riuniti a carico di Giuseppe Mazzaglia, Illuminato Spitaleri, Giuseppe Zullo, Giovanni Coppolino, Giuseppe Nicolosi, Orazio Longo, Alfio Aidala, Alfio Pappalardo e Carmelo Pappalardo, tratti a giudizio per avere installato, i primi sette nei rispettivi esercizi pubblici di bar e gli ultimi due in una sala pubblica per giuochi, dei bigliardini elettrici Flippers che consentivano, raggiunti determinati punteggi, il conseguimento di un premio sotto forma di prolungamento di partita.

Riteneva il pretore che il prolungamento della partita così come la ripetizione, rientra nel concetto di premio, e quindi gli apparecchi che consentono di prolungare o di ripetere la partita, sono compresi tra quelli il cui uso é vietato dalla legge n. 507. E ravvisava in ciò la rilevanza della questione.

Circa la fondatezza, "atteso che l'art. 41 della Costituzione tutela la libertà dell'iniziativa economica privata con i soli limiti di non favorire attività che abbiano fini antisociali o che possano essere di danno alla sicurezza, libertà e dignità umana" rilevava che il legislatore, pur godendo ampia discrezionalità nell'individuazione di tali limiti, deve adottare mezzi che non siano in contrasto con i diritti costituzionalmente garantiti.

In relazione alla specie, osservava che, secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte, la proibizione degli apparecchi automatici e semiautomatici da giuoco potesse essere giustificata dalla necessità "di non favorire il giuoco puramente aleatorio, di prevenire alcune forme di delinquenza che in passato avevano accompagnato la diffusione di tali apparecchi, di tutelare la libertà messa in pericolo dal diffondersi di quelle forme di delinquenza, di impedire che la dignità umana ricevesse offesa dalla morbosa spinta all'ozio e al vizio che gli apparecchi automatici da giuoco possono determinare".

E che siffatte ragioni non potessero essere invocate nel caso dei c .d. flippers con ripetizione o prolungamento di partita che non presentano alcun pericolo per la sicurezza, la libertà o la dignità umana o non favoriscono fini antisociali, dato che "la mera possibilità di giuocare un'altra partita o di prolungare quella in corso non costituisce stimolo ad attività riprovevoli od occasione di attività delittuose, ma semplice svago o divertimento".

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969.

4. - Nel giudizio promosso dal tribunale di Milano si é costituita l'Associazione Lombarda Relax, a mezzo degli avvocati Carlo Majno e Alfredo Tamburini, con deduzioni depositate il 3 luglio 1968, ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con atto depositato il 5 detto.

Nel giudizio nascente dall'ordinanza del pretore di Padova é solo intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo della difesa erariale con atto del 28 giugno 1968.

Ed infine nel terzo giudizio, si sono costituiti, con deduzioni del 7 giugno 1969, soltanto Giuseppe Mazzaglia, Carmelo Pappalardo e Giuseppe Nicolosi, a mezzo degli avvocati Giuseppe Talamanca e Nicola Petrelli.

Sotto le date del 24 e del 25 ottobre 1969, la difesa del Mazzaglia ed altri e quella dell'Associazione Lombarda Relax rispettivamente hanno depositato memorie.

All'udienza del 12 novembre gli avvocati Majno e Talamanca hanno precisato e svolto le loro ragioni e insistito nelle prese conclusioni.

Si é del pari riportato alle precedenti richieste, svolgendo le relative ragioni, il sostituto avvocato generale dello Stato Casamassima che preliminarmente si é rimesso alla decisione della Corte a proposito del dubbio prospettato circa la proponibilità della questione sollevata dal tribunale di Milano.

5. - Secondo l'Avvocatura dello Stato, la proponibilità della questione da ultimo ricordata potrebbe essere dubbia atteso che la domanda avanzata dall'Associazione Lombarda Relax contro l'Amministrazione degli interni era inammissibile ed infondata fin dall'inizio e comunque era divenuta tale appena entrata in vigore la legge n. 507 del 1965, per mancanza di interesse nell'attrice e di un giudizio di merito con oggetto proprio e ad ogni modo della necessaria autonomia del giudizio di merito nei confronti della questione di costituzionalità, la cui decisione per altro non si sarebbe presentata in termini di pregiudizialità ed alterità.

Nel merito, con riferimento all'asserito contrasto della legge impugnata con l'art. 41 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato rilevava che l'iniziativa privata può vedersi preclusi interi settori dell'attività economica quando ciò sia richiesto dall'esigenza di garantire superiori interessi attinenti alla sicurezza, libertà e dignità umana, e che la norma in questione tende a vietare un'attività antisociale lesiva in particolar modo dell'interesse alla sana formazione dei giovani. Il legislatore si sarebbe pienamente conformato alla citata sentenza n. 125 del 1963, nella misura in cui il meccanismo di "ripetizione di partita" fa perdere al giuoco il suo carattere naturale di svago per trasformarlo in una specie di scommessa tra il giuocatore e l'apparecchio (e per esso il gestore del locale): in sostanza, la c.d. ripetizione di partita "é una peculiare forma di utilità che lo strumento conferisce in via di giuoco che é anche scommessa".

D'altra parte, sarebbe evidente il carattere di pericolosità del giuoco in esame.

Stante ciò, avendo il legislatore perseguito l'intento di evitare la diffusione di una manifestazione antisociale rispetto alla quale sono pienamente ammissibili norme limitatrici dell'iniziativa privata, non sarebbe stato violato il principio di cui all'art. 41 della Costituzione.

Non vi sarebbe - secondo l'Avvocatura - neppure l'asserito contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione, profilato, anche se in termini non chiari, con l'ordinanza del pretore di Padova. La normativa in questione, infatti, si prefigge la finalità di tutelare la dignità e la personalità umana, nel presupposto "che la multiforme possibilità di attività umane pone con ciò stesso una diversità di situazioni per cui appare legittimo che rispetto ad esse sussista una diversità di disciplina".

Circa la denunciata incostituzionalità della norma in riferimento all'art. 18, l'Avvocatura osservava che la tesi del tribunale di Milano, secondo cui tutto ciò che é lecito al singolo fare, senza violare i precetti della legge penale, può essere oggetto a scopo di associazione, non tiene conto del fatto che "ai fini dell'applicazione della legge penale ed in relazione ad una stessa attività" il comportamento del singolo "ha un diverso profilo quanto meno in relazione al luogo in cui detta attività si esplica". La detta legge del 1965 non inibisce alle associazioni l'esercizio di attività non vietate per contro ai singoli dalla legge penale "perché la legge penale inibisce l'uso di certe apparecchiature in certi locali e la inibizione in certi locali concerne anche i singoli, anzi proprio i singoli" e perché il divieto é esteso ai locali sedi di associazioni; e non distingue tra associazioni e singoli: nel porre quel divieto, si riferisce genericamente alla totalità dei consociati. Il fatto, poi, che i singoli possano nella propria abitazione collocare ed usare coteste apparecchiature non sposta i termini del problema, essendo evidente la diversa rilevanza che determinate attività assumono a seconda che si svolgano nella intimità del domicilio privato ovvero in luoghi pubblici.

L'Avvocatura dello Stato, in considerazione di tutto ciò, concludeva nel merito chiedendo che la questione sollevata dal tribunale di Milano e dal pretore di Padova fosse dichiarata infondata.

6. - L'Associazione Lombarda Relax, preliminarmente osservava che il dubbio affacciato dalla difesa del Presidente del Consiglio, circa la proponibilità della questione da parte del tribunale di Milano, non aveva ragione di essere perché esisteva un giudizio davanti al giudice a quo con un petitum ammissibile e fondato e nell'ordinanza di rimessione era stata effettuata e ampiamente motivata la valutazione circa la rilevanza della questione.

Chiedeva nel merito che la questione fosse dichiarata fondata in riferimento sia all'art. 41 (nonché all'art. 3) e sia all'art. 18 della Costituzione, ed a sostegno della richiesta deduceva:

a) Che secondo la Corte (sentenza n. 125 del 1963) si avrebbero tre categorie di giuochi: i giuochi d'azzardo, sempre illeciti, perché vietati dalla legge penale: da chiunque e dovunque praticati; i giuochi non d'azzardo, che contengono elementi di alea ed in tanto danno svago in quanto siano mezzi di giuoco (in senso tecnico) o di scommessa: vietati per ragioni di utilità sociale (e cioé per non favorire il giuoco o la scommessa) solo nei luoghi pubblici o aperti al pubblico (e non anche nei locali privati ed in quelli non aperti al pubblico); ed infine, i giuochi che non subordinano lo svago all'essere mezzo di giuoco (in senso tecnico) o di scommessa, ma che semplicemente offrono divertimento: i c.d. trattenimenti, sempre e dovunque ammissibili (anche perché non esistono ragioni di utilità sociale, per cui possono essere vietati).

Gli apparecchi automatici e semiautomatici da giuoco che consentono la vincita di un premio sotto forma di ripetizione di partita farebbero parte della terza categoria di giuochi, perché la ripetizione o il prolungamento non sono premio o remunerazione in quanto non rappresentano un'utilità adiettizia rispetto al giuoco, ma sono parte del giuoco; perché in caso di ripetizione, si ha estensione o prolungamento dello svago, in applicazione di una regola interna che influisce sulla sua durata; e perché il trattenimento resta sempre tale: lo svago rimane fine a se stesso e non se ne muta la natura. E le cose non variano se si dovesse modificare il modo di esposizione del fenomeno, e si parlasse in termini di riduzione della durata della partita anziché di aumento, e di interruzione anziché di ripetizione di partita o di punizione invece di premio.

La vicenda (prolungamento o interruzione della partita) rappresenterebbe una vicenda necessaria dei c.d. giuochi contro la macchina: questa tende ad eliminare il giuocatore, e la di costui bravura consiste nel prolungare il giuoco ed é premiata proprio dal prolungamento. Le cose starebbero diversamente se la ripetizione non fosse una regola del giuoco, ma si risolvesse nella dazione di un gettone, il cui valore fosse riscuotibile presso il gestore.

Dato che la ripetizione o il prolungamento sono una caratteristica dei c.d. trattenimenti, non potrebbero, sia l'una che l'altro, essere assunti come elemento discriminante fra i giuochi soggetti a disciplina ed i trattenimenti.

E conclusivamente, il divieto di usare gli apparecchi con ripetizione di partita (che sarebbero semplici trattenimenti o svaghi) non avrebbe a fondamento esigenze di utilità sociale ed inciderebbe invece nella sfera di indifferente liceità propria degli svaghi, e quindi con la sua previsione risulterebbe violato l'art. 41 della Costituzione.

b) Sarebbe del pari e nel contempo violato l'art. 3 della Costituzione (al quale fa esplicito riferimento solo l'ordinanza del pretore di Padova), perché la norma denunciata dà vita ad un'arbitraria equiparazione di due situazioni manifestamente diseguali, dei giuochi aleatori e degli svaghi: i primi danno luogo a scommesse o consentono vincite di premi in denaro o in natura, ed il premio é esterno al giuoco, i secondi sono giuochi di mero trattenimento e tali restano anche se qualificati (nel caso di prolungamento del giuoco) da regole che possono influire sulla loro durata.

c) Qualora si dovesse ritenere che con gli apparecchi con ripetizione di partita si pongono in essere non trattenimenti ma giuochi aleatori, la norma che ne vieta l'uso nei circoli ed associazioni di qualunque specie sarebbe in contrasto con l'art. 18 della Costituzione, perché le attività che ciascuno ha diritto di svolgere individualmente, nei limiti della legge penale, possono essere svolte anche in forma associata; perché la Corte costituzionale, con la ripetuta sentenza n. 125 del 1963, avrebbe considerato legittimo (in riferimento all'art. 41 della Costituzione) il divieto di rilasciare la licenza per gli apparecchi da giuoco aleatori per ciò che detto divieto non riguarda i locali privati né quelli non aperti al pubblico, ponendo sullo stesso piano gli uni e gli altri; perché, pur convenendo con l'Avvocatura dello Stato che la diversità della disciplina penale (per cui il singolo può usare determinati apparecchi nella propria abitazione e non nei locali pubblici o aperti al pubblico) é giustificata dal luogo in cui l'attività si svolge, e che l'attività materiale ed il suo risultato di svago appartengono ai singoli e non ai pubblici esercizi o alle associazioni, non può essere equiparato al pubblico esercizio il luogo "associazione" e deve, invece, questo essere considerato luogo privato (come imporrebbe l'art. 18), sede di attività non sindacabili se non impingano nella legge penale; e perché la materia non si presta ad essere intorbidata dalla preoccupazione che un'associazione possa - in realtà - non essere tale e possa atteggiarsi in concreto come pubblico esercizio: se ciò dovesse accadere, soccorrerebbero la sorveglianza dell'autorità di polizia ed il controllo del magistrato di merito.

d) Sarebbe infine violato, in ordine al profilo ora considerato, anche l'art. 3 della Costituzione (norma, per altro, alla quale non fa riferimento l'ordinanza di rimessione del tribunale di Milano), in quanto irragionevolmente é operata una equiparazione tra situazioni diverse, e cioè tra i circoli e le associazioni, da un lato e i locali pubblici o aperti al pubblico, dall'altro.

7. - Concludeva del pari per la fondatezza della questione in riferimento all'art. 41 della Costituzione, la difesa degli imputati tratti a giudizio dal pretore di Adrano e costituitisi in questa sede.

Dopo avere accennato alle vicende che hanno caratterizzato l'introduzione e la diffusione dei flippers nel mercato italiano, assumeva che l'iniziativa economica privata é tutelata dall'art. 41 della Costituzione sempre che non favorisca attività che abbiano fini antisociali o che possano essere di danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, che l'individuazione di codesti limiti é devoluta all'ampia discrezionalità del legislatore e che questi, però, non può adottare mezzi che siano in contrasto con i diritti garantiti dalla Costituzione o ne compromettano l'esistenza; e precisava che sarebbe illegittima costituzionalmente una legge ordinaria che ponesse limitazioni inutili e dannose per l'iniziativa economica privata. Tale ipotesi si sarebbe verificata nella specie.

La legge n. 507 del 1965 ha esteso il divieto di uso, anche ai flippers, che sono apparecchi di puro trattenimento, danno cioè solo un'onesta ricreazione non collegata a giuochi o scommesse. Essi, d'altro canto, comportano unicamente uno stimolo per l'abilità del giuocatore, che ne determina in modo esclusivo o quasi, il funzionamento.

Anche se la possibilità di ripetizione della partita quale premio per il giuocatore può sembrare un'alterazione della caratteristica di puro trattenimento, é escluso che venga posta in essere una scommessa tra l'apparecchio ed il giuocatore.

Il prolungamento della partita, poi, non é ripetizione, ma estensione dell'unica partita, prolungamento dello svago per abilità del giuocatore senza nessuna spesa o premio o scommessa.

L'anzidetto divieto non può quindi non apparire in contrasto con l'art. 41, perché i detti apparecchi (e a maggior ragione quelli con prolungamento di partita) non presentano alcun pericolo per la sicurezza, la libertà o la dignità umana e non favoriscono fini antisociali.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le ordinanze indicate in epigrafe é sollevata da parte del tribunale di Milano e dei pretori di Padova e di Adrano la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 20 maggio 1965, n. 507 (che ha abrogato e sostituito il terzo ed il quarto comma dell'art. 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773), in riferimento agli artt. 41 e 3 e 18 della Costituzione. Le relative cause vengono pertanto riunite e decise con unica sentenza.

2. - L'Avvocatura generale dello Stato ha prospettato il dubbio che, data la natura del giudizio di merito, il tribunale di Milano non avrebbe potuto proporre la questione.

La perplessità non ha però ragione di essere, perché il giudice a quo ha ritenuto che la domanda avanzata dall'Associazione Lombarda Relax fosse pienamente ammissibile e rivolta ad un petitum proprio ed autonomo. E ad ogni modo, il profilo della rilevanza della questione é, nell'ordinanza di rimessione, ampiamente motivato.

3. - Si assume, anzitutto, che l'indicata norma sarebbe in contrasto con l'art. 41 della Costituzione.

La legge n. 507 del 1965, con l'estensione del divieto di uso, nei luoghi pubblici o aperti al pubblico e nei circoli ed associazioni di qualunque specie, agli apparecchi o congegni con ripetizione o prolungamento di partita, avrebbe apportato all'iniziativa economica privata ingiustificate e dannose limitazioni.

La ripetizione e il prolungamento di partita, infatti, non rientrerebbero nel concetto di giuoco e neppure in quello di scommessa, e costituirebbero esclusivamente svago o divertimento.

E l'uso degli apparecchi o congegni che danno al giuocatore che consegua un dato punteggio, la possibilità di giuocare un'altra partita o di continuare l'unica partita, non stimolerebbe a riprovevoli attività o al giuoco d'azzardo, non favorirebbe fini antisociali e non sarebbe pericoloso per la sicurezza, la libertà e la dignità umana.

4. - Tra gli apparecchi o congegni automatici e semiautomatici da giuoco, il cui uso é vietato dalla legge n. 507 del 1965, sono compresi "quelli che possono dar luogo a scommesse o consentono la vincita di un qualsiasi premio in denaro o in natura anche sotto forma di consumazione o di ripetizione di partita".

Questi ultimi permettono al giuocatore che, dato il corrispettivo, se ne serva e consegua un certo punteggio o un dato risultato, di proseguire nell'uso. Ed in particolare i cosiddetti flippers danno la possibilità al giuocatore che si venga a trovare in quella situazione, di disporre, senza soluzione di continuità, di altre biglie fino a ripetere, per una o più volte, l'uso dell'apparecchio o congegno, originariamente consentitogli.

Potrebbe apparire improprio parlare di "ripetizione di partita" specie in contrapposto a "consumazione" di partita nei due casi (prospettati in termini opposti, ma sostanzialmente coincidenti) in cui al giuocatore, dietro corrispettivo, é consentito l'uso di un apparecchio del genere con l'originaria disponibilità, ad esempio, di cinque o di dieci biglie a seconda dei (due) casi é con la possibilità che, raggiunto un dato punteggio, gli sia rispettivamente dato o negato di disporre di altre biglie in aggiunta alle prime cinque. Ma, in sostanza, ha rilievo in entrambi i casi - ed ai fini del presente giudizio, nel primo di essi - che il giuocatore, il quale, ottenuta con la dazione di una certa somma la disponibilità, per l'uso, di un dato apparecchio o congegno, se ne serva nel modo previsto e consegua un dato risultato (ad es. un punteggio minimo), possa, senza dover dare un nuovo o diverso corrispettivo, utilizzarlo ancora o nuovamente.

Questo basta perché apparecchi o congegni del genere debbano essere considerati non da trattenimento, ma da giuoco. L'uso di essi non si sostanzia o non si risolve unicamente in uno svago per chi vi si dedica; comporta uno svago ma questo é conseguibile solo attraverso il compimento di un'attività di giuoco o di scommessa.

Nella normativa in esame sono usati termini ed espressioni (quali, apparecchi o congegni da giuoco, che possono dar luogo a scommesse o che consentono la vincita di un qualsiasi premio), che, pur non avendo lo stesso significato e la stessa portata di identici o simili termini ed espressioni adoperati a proposito di altri istituti o in altre norme, certamente stanno ad indicare, quale oggetto del divieto, un dato comportamento del giuocatore, e date utilità (immediate o mediate) che questi può conseguire e che lo inducono a servirsi dell'apparecchio o congegno.

L'uso di questo non é soltanto fine a se stesso, ma é anche rivolto al conseguimento di un risultato (che é sostanzialmente aleatorio) al quale é collegato un premio costituito dal diritto a continuare in quell'uso senza un nuovo o diverso corrispettivo.

Nella detta normativa trovasi la disciplina di una particolare attività ludica, che tale é e rimane anche se il risultato del comportamento si presta ad essere influenzato, sia pure relativamente, dal giuocatore ed anche se il premio - come si sostiene - possa avere natura "interna". L'attribuzione ed il godimento del premio non rientrano nel modo (mezzi, tempo e luogo) secondo cui il giuocatore, dato il corrispettivo, può servirsi dell'apparecchio o congegno. Codesto premio é un quid facilmente individuabile. E non importa che il godimento di esso possa avvenire (normalmente o anche) consumando o continuando la partita. Resta decisivo il fatto che al giuocatore che vince, é dato un premio, un'utilità (anche se limitata nel tempo e modesta nell'entità) immediata e diretta (e comunque suscettibile di essere equiparata ad una somma di denaro).

5. - Con l'estensione del divieto di uso agli apparecchi o congegni, automatici e semiautomatici, da giuoco e con l'inclusione nelle relative categorie di quelli con "ripetizione di partita", la norma denunciata non va contro il disposto dell'art. 41 della Costituzione.

La Corte, con la sentenza n. 125 del 1963, a proposito del divieto di concedere licenze per l'uso degli apparecchi o congegni che subordinavano lo svago alla loro utilizzazione come mezzo di giuoco o di scommessa, ha considerato meritevoli di tutela le esigenze sociali che si sostanziavano nel non favorire il giuoco puramente aleatorio anche se non di azzardo, nel prevenire i reati, nel tutelare le libertà cui accenna l'art. 41 della Costituzione messe in pericolo dal diffondersi di quei reati, e nell'impedire che la dignità umana ricevesse offesa dallo sterile impiego dell'autonomia individuale. Ed ha reputato razionale che il legislatore avesse posto quel divieto dopo aver ritenuto che tendenze antisociali sarebbero state agevolate dall'uso di quegli apparecchi nei locali pubblici o aperti al pubblico, e giudicato negativa l'esperienza del sistema anteriore fondato sulla licenza di esercizio.

Di fronte alla nuova questione, la Corte non può che confermare il suo precedente avviso.

Gli apparecchi ed i congegni da giuoco, previsti dall'art. 1 della legge n. 507 del 1965, ed anche quelli con "ripetizione di partita", nonostante che la spesa unitaria per il loro uso sia modesta e che (almeno per l'ipotesi in cui la ripetizione di partita non sia indefinitamente reiterabile) del pari modesto sia il premio e limitato il tempo per il suo godimento, possono favorire tendenze antisociali, ed il divieto di farne uso per ciò non contrasta con l'art. 41.

La libertà di iniziativa economica privata (che nella specie si atteggia come libertà di costruire, vendere o noleggiare quegli apparecchi o congegni da giuoco) risulta legittimamente limitata con il divieto di usare codesti apparecchi o congegni. Appare, infatti, quanto mai opportuno o addirittura necessario che non venga favorito il giuoco aleatorio anche se non d'azzardo e che i cittadini ed in particolare i giovani non diano vita a situazioni o comportamenti (perdita di tempo e di denaro, dedizione all'ozio, vita in comune con persone disponibili anche per attività moralmente e socialmente riprovevoli, ecc.) non del tutto compatibili con il rispetto della stessa dignità umana. Ed é giustificato e razionale che il legislatore abbia sancito il ripetuto divieto, posto che l'uso degli apparecchi e congegni di cui si discute, avrebbe potuto determinare o comunque agevolare tendenze antisociali.

Né in contrario può valere il fatto che con l'uso di quegli apparecchi o congegni si ha una limitata perdita di tempo o di denaro o si possa ad esempio migliorare la prontezza di riflessi, perché é escluso che chi giuoca, e lo faccia abitualmente, si fermi alla prima partita e non vada oltre destinandovi tempo e denaro in misura non indifferente, e perché a fronte degli ipotetici vantaggi stanno indubbiamente danni o pericoli di danno sul terreno e dal punto di vista psichico, morale e sociale.

6 - Le considerazioni sopra svolte a sostegno della legittimità costituzionale del divieto di usare apparecchi o congegni da giuoco con "ripetizione di partita" valgono egualmente per lo stesso divieto che riguarda quelli con prolungamento di partita. Il problema si presenta sostanzialmente negli stessi termini, anche se in tal caso le due utilità che si succedono nel tempo (uso normale dell'apparecchio e prolungamento di partita) possono non essere quantitativamente equivalenti. Il prolungamento di partita nell'ambito della normativa in esame costituisce pur sempre un premio (come ammette lo stesso pretore di Adrano) ed é perciò da equipararsi alla ripetizione di partita (come, da parte sua, riconosce il pretore di Padova); ed é comune alle due ipotesi l'esistenza di un premio ricollegato ad un certo risultato conseguibile mediante il funzionamento dell'apparecchio o congegno.

7. - L'anzidetta limitazione apportata alla libertà di iniziativa economica privata non determina d'altra parte alcuna violazione del principio di eguaglianza. Il pretore di Padova ha sollevato la questione prospettando codesto profilo in termini quanto mai generici. Si limita infatti ad osservare che potrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale della legge n. 507 perché gli artt. 3 e 41 della Costituzione garantiscono, sul piano di eguaglianza, la libertà economica individuale col solo limite di non favorire fini antisociali; e non va oltre nell'individuazione delle situazioni e dei trattamenti giuridici. Per cui, potrebbe pensarsi che il riferimento all'art. 3 sia puramente complementare come a disposizione avente portata generale che rilevi anche a proposito della garanzia costituzionale dell'art. 41.

E poi non ha pregio la tesi sostenuta dalla difesa dell'Associazione Lombarda Relax, secondo cui con la norma denunciata sarebbero state equiparate due situazioni manifestamente diseguali, dei giuochi aleatori e degli svaghi. La legge n. 507, come si é sopra constatato, non contiene alcuna previsione che concerna il puro svago e quindi gli apparecchi da trattenimento il cui uso, giusta la citata sentenza n. 125 del 1963, non avrebbe potuto essere vietato.

In sostanza, e l'osservazione effettuata sul punto dalla Avvocatura generale é pertinente, le attività umane si atteggiano in molti e differenti modi, ed una normativa che miri a tutelare la dignità e la personalità umana, non può disciplinare quelle attività senza tener conto dei relativi modi di essere.

8. - Il tribunale di Milano ha prospettato la questione anche sotto il profilo che la norma relativa al divieto di usare gli apparecchi o congegni da giuoco, nei circoli ed associazioni di qualunque specie sarebbe in contrasto con l'art. 18 della Costituzione, perché imporrebbe alle associazioni divieti di azioni consentite ai singoli. Per l'impostazione della questione non può essere considerata l'eventualità che alle sedi di quegli enti e per l'uso dei detti apparecchi accedano anche soggetti estranei. Una ipotesi del genere non é compresa nella previsione di cui alla norma in esame; ed il fatto che in concreto la dovesse realizzare sarebbe riservato in forza di altre norme alla cognizione e competenza degli organi di polizia o di quelli giurisdizionali.

Esaminata nei termini in cui é stata prospettata, la denunziata illegittimità costituzionale non sussiste.

É fuori dubbio che non tutti i diritti e le libertà che il singolo ha nell'ambito della propria sede, debbano spettare allo stesso soggetto ovvero dallo stesso possano essere esercitati qualora operi insieme con altri e nei locali di un organismo collettivo di cui faccia parte. Nella norma in esame non si pone una aprioristica equiparazione tra i locali dei circoli e delle associazioni di qualunque specie ed i luoghi pubblici o aperti al pubblico, ma ad essa razionalmente si perviene attraverso la detta considerazione, che dà conto, pertanto, non di un'eccezione al principio di eguaglianza o parità di trattamento nei confronti di tutti i soggetti (singoli o collettivi) ma di una logica ed inevitabile integrazione di quel principio, per cui determinati comportamenti, che siano leciti o tollerati se tenuti dal singolo nell'ambito della propria abitazione, possono non esserlo più se posti in essere (sia pure da singoli, ma) in gruppo e nei locali di un circolo o di un 'associazione. E questa particolare colorazione del comportamento lo rende idoneo a generare pericoli o danni per la società.

Con riferimento alla specifica questione sollevata dal tribunale di Milano, per ciò non rileva la circostanza che al singolo non sia vietato l'uso, nella propria abitazione, di apparecchi o congegni da giuoco. Il divieto legislativo colpisce il comportamento che tutte le persone facenti parte del circolo o della associazione, possono tenere nei relativi locali. Ed é il riflesso del giusto peso che si riconnette alla pericolosità sociale dell'uso dei ripetuti apparecchi o congegni da giuoco, da parte dei singoli operanti in gruppo, e cioè nei locali di organismi collettivi o sociali, alla presenza o con la partecipazione di una pluralità di persone.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 20 maggio 1965, n. 507 (divieto di uso degli apparecchi automatici e semiautomatici da giuoco nei luoghi pubblici o aperti al pubblico e nei circoli ed associazioni di qualunque specie), sollevata con le ordinanze in epigrafe in riferimento agli artt. 41, 3 e 18 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 4 febbraio 1970.