Sentenza n. 5 del 1970
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SENTENZA N. 5

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZI'

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 630, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 27 maggio 1968 dal pretore di Camposampiero nel procedimento per incidente di esecuzione sollevato da Zanetto Giuseppe, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 1968 é pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 26 novembre 1969 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento relativo all'incidente di esecuzione proposto con dichiarazione del 22 aprile 1968 dal detenuto Zanetto Giuseppe, il pretore di Camposampiero, con ordinanza emessa il 27 maggio 1968, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 630, capoverso, del codice di procedura penale, con riferimento agli artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, della Costituzione.

La norma impugnata accorda al condannato, che sia detenuto in luogo diverso da quello in cui risiede il giudice dell'incidente, solo il diritto di essere sentito dal giudice di sorveglianza o dal pretore del luogo in cui é detenuto; ma non anche il diritto di intervenire personalmente nella trattazione dell'incidente medesimo.

Osserva il pretore che, alla stregua di tale disposizione, dovrebbe essere disattesa l'istanza dello Zanetto, il quale, detenuto in un primo tempo nelle carceri giudiziarie di Milano e poi in quelle di Genova, aveva richiesto, dopo essere stato sentito dal pretore di Milano, di presenziare alla discussione dell'incidente da lui proposto.

Per altro, ad avviso del pretore di Camposampiero, si pone preliminarmente il problema della illegittimità costituzionale dell'art. 630, capoverso, del codice di procedura penale, dalla cui soluzione - evidentemente rilevante nel procedimento in esame -, dipende rispettivamente la possibilità o meno per l'interessato di presenziare alla trattazione dell'incidente di esecuzione.

Secondo il giudice a quo la norma impugnata sembra affetta da illegittimità costituzionale sotto un duplice profilo: nei confronti dell'art. 3, comma primo, della Costituzione, essa opererebbe una disparità di trattamento non solo tra il cittadino detenuto e quello non detenuto, ma tra gli stessi cittadini detenuti; e rispetto all'art. 24, comma secondo, porrebbe una limitazione al diritto di difesa in quanto il detenuto, sebbene abbia il diritto di essere udito dal giudice di sorveglianza e dal pretore del luogo in cui egli si trova, non avrebbe però la possibilità di essere udito dal suo giudice naturale, quello che nei suoi confronti dovrà emettere il provvedimento giurisdizionale che definisce l'incidente.

Sia la disparità di trattamento che la limitazione del diritto di difesa non potrebbero giustificarsi in sede di incidenti di esecuzione sulla base di una mera circostanza spaziale (estranea del resto alla volontà dell'interessato); circostanza che é esclusa nella fase del procedimento di cognizione e che, anche nella fase istruttoria, non impedisce all'imputato, ancorché detenuto, di presentarsi a rendere le proprie dichiarazioni al giudice competente, nonostante la facoltà di delega attribuita a quest'ultimo dalla legge.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968.

2. - Con atto di intervento e deduzioni del 23 luglio 1968, si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale chiede sia dichiarata infondata la questione di illegittimità costituzionale proposta dal pretore di Camposampiero.

Secondo l'Avvocatura, le norme processuali relative agli incidenti di esecuzione tutelerebbero ampiamente il diritto di difesa, assicurando il contraddittorio tra le parti del rapporto giuridico processuale esecutivo: in particolare, esse impongono, a pena di nullità, l'obbligo di comunicare il giorno fissato per la decisione dell'incidente, accordano al condannato la facoltà di farsi udire personalmente o a mezzo del difensore e di presentare memorie, direttamente o a mezzo di questo ultimo. Anche nel caso in cui il condannato sia detenuto in luogo diverso da quello in cui risiede il giudice degli incidenti, l'interessato può esporre al giudice di sorveglianza o al pretore le sue difese, può presentare le memorie e può munirsi di un difensore.

La mancata presenza del condannato alla trattazione dell'incidente non inciderebbe perciò sulle concrete possibilità di difesa, ove si tenga conto della natura e del particolare svolgimento della procedura incidentale, nella quale - a differenza della procedura dibattimentale - la questione da risolvere é già cristallizzata e le posizioni delle parti sono chiaramente delineate e reciprocamente conosciute.

Se quindi al condannato detenuto in luogo diverso da quello in cui risiede il giudice degli incidenti sono assicurate le stesse garanzie e le stesse possibilità difensive di tutti gli altri condannati, deve ritenersi, secondo l'Avvocatura, che neppure sussista tra di essi la disparità di trattamento denunciata dal pretore di Camposampiero.

 

Considerato in diritto

 

1.- Il pretore di Camposampiero ritiene che nel procedimento per incidenti di esecuzione, regolato negli artt. 628 a 632 del codice di procedura penale, al condannato che sia detenuto in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice avanti al quale si svolge l'incidente, sia fatto dalla legge un trattamento che lede il suo diritto di difesa e la condizione di eguaglianza. E ciò in quanto l'art. 630, col prescrivere che egli possa essere sentito soltanto dal giudice di sorveglianza o dal pretore del luogo ove é detenuto, non consente che possa essere ascoltato personalmente dal giudice competente a conoscere dell'incidente, così come é invece previsto per la parte libera e per quella che sia detenuta nella stessa sede. Dal che il giudice a quo deduce che l'art. 630, nella parte citata, sarebbe in contrasto con l'art. 24, comma secondo, e con l'art. 3, comma primo, della Costituzione.

La questione come sopra proposta é da ritenersi non fondata.

2.- Negli incidenti di esecuzione il condannato riceve dalla cancelleria del giudice competente, e con preavviso di almeno cinque giorni, comunicazione della data fissata per la deliberazione dell'incidente ed ha facoltà di provvedere alla sua difesa in uno dei seguenti modi: comparendo personalmente, assistito o no dal difensore, comparendo a mezzo del difensore, presentando memorie sia di persona sia a mezzo del difensore.

Questa così vasta possibilità di difese orali e scritte subisce una appena apprezzabile modificazione qualora il condannato che é parte nell'incidente, é detenuto in luogo diverso da quello ove ha sede l'ufficio del giudice competente. In tal caso il giudice, invece di ascoltarlo di persona, commette l'incarico di ascoltarlo al giudice di sorveglianza o al pretore del luogo ove egli é detenuto. Ma é ovvio che, anche in tal caso, il condannato oltre ad essere pur sempre sentito, benché per rogatoria, seguita a usufruire delle altre possibilità offertegli dalla legge, circa la comparizione a mezzo del difensore e la presentazione di memorie, sottoscritte da lui stesso o dal suo difensore.

Le sue possibilità di difesa rimangono quindi integre, senza che un'apprezzabile variazione la tutela di quel diritto possa ritenersi subisca dalla circostanza che l'audizione di lui non viene effettuata a mezzo dello stesso giudice che provvede poi alla decisione dell'incidente.

In questo tipo di procedimento, alla parte privata condannata, la comparizione di persona é consentita per un fine diverso da quello per cui l'imputato é convocato avanti al giudice dell'istruzione o del giudizio, e che é un fine, almeno in parte, volto all'acquisizione di elementi probatori. Nell'incidente di esecuzione invece la comparizione personale, per altro facoltativa, del condannato rappresenta soltanto un mezzo di difesa a lui offerto, congiunto ai vari altri mezzi di difesa orali e scritti a lui spettanti.

Non può quindi scorgersi nessuna compressione di quel diritto in una comparizione personale che avviene per il tramite di un altro giudice. E ciò particolarmente se si tenga conto del carattere del procedimento, che é ristretto a questioni ordinariamente di solo diritto, ben circoscritte e determinate.

É quindi da escludersi la lamentata violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

3. - Quanto alla pur dedotta violazione dell'art. 3, comma primo, relativa alla condizione di eguaglianza, deve innanzi tutto osservarsi che se l'audizione del condannato, fatta a mezzo di altro giudice, non menoma la sua possibilità di difesa, nessun rilievo può attribuirsi alla diversità di trattamento che é riservata al condannato il quale sconta la pena in altra sede ed é ascoltato nel modo anzidetto, rispetto a quella del libero, o del condannato che sconta la pena nello stesso luogo ove ha sede l'ufficiò del giudice ed é da questo ascoltato di persona.

Ma quand'anche questa differenza, appena ravvisabile, dei due modi previsti per la comparizione del condannato, secondo che egli si trovi fuori della sede o nella stessa sede del giudice dell'incidente, potesse avere sul piano giuridico un qualche rilievo, é ovvio che tale differenza non sarebbe irrazionale. Il legislatore ha giustamente ritenute prevalenti in senso ostativo le difficoltà pratiche che un trasporto in stato di detenzione presenta, di fronte alla irrilevanza che il beneficio di essere ascoltato di persona dal giudice competente a decidere rappresenta per il detenuto, garantito nella sua difesa, dagli altri mezzi a lui offerti dalla legge.

Anche la questione sollevata in rapporto all'art. 3, comma primo, deve pertanto dichiararsi non fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 630, comma secondo, del codice di procedura penale, sollevata con ordinanza del 27 maggio 1968 dal pretore di Camposampiero, in riferimento agli artt. 24, comma secondo, e 3, comma primo, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 gennaio 1970.