Sentenza n. 3 del 1970
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SENTENZA N. 3

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZI'

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 204 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promossi con due ordinanze emesse il 31 luglio ed il 3 agosto 1967 dal giudice conciliatore di Trento nei procedimenti civili vertenti tra Bertone Giovanni e l'Istituto Trentino-Alto Adige per assicurazioni e tra Melzani Fabiano ed il predetto Istituto, iscritte ai nn. 216 e 217 del registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell11 novembre 1967.

Visti gli atti di costituzione dell'Istituto Trentino-Alto Adige per assicurazioni e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1969 il Giudice relatore Costantino Mortati;

uditi l'avv. Ubaldo Prosperetti, per l'Istituto di assicurazioni, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di due giudizi promossi da Bertone Giovanni e da Melzani Fabiano contro l'Istituto Trentino- Alto Adige per assicurazioni onde opporsi ai decreti ingiuntivi da questo ultimo provocati per ottenere il pagamento dei ratei di premio previsti dai contratti di assicurazione contro gli infortuni da essi stipulati, con due ordinanze in data 31 luglio e 3 agosto 1967 il giudice conciliatore di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 204, primo e secondo comma, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che attribuisce agli artigiani soggetti all'obbligo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ai sensi del decreto medesimo la potestà di determinare, con la propria richiesta, la risoluzione a far tempo dal 1 gennaio 1966 dei contratti di assicurazione stipulati prima che essi fossero soggetti all'obbligo suddetto.

É infatti dubbio, secondo il giudice conciliatore, se con l'emanazione di tale norma, la quale investe i principi fondamentali che nel nostro ordinamento presiedono alla materia contrattuale generale, il Governo abbia osservato i limiti posti alla delegazione dall'art. 30, primo e secondo comma, della legge 19 gennaio 1963, n. 15, fra i quali é compreso quello del rispetto dei principi della legislazione previdenziale vigente.

Dopo che le due ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 282 dell'11 novembre 1967, si é costituito avanti questa Corte l'Istituto Trentino-Alto Adige, col patrocinio dell'avv. prof. Ubaldo Prosperetti, ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, assistito come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato.

Nell'atto di costituzione e deduzioni, la difesa della parte privata ha osservato che la delega concessa al Governo con l'art. 30 della legge n. 15 del 1963 era invero assai ampia, siccome comprensiva del potere di apportare "modifiche, correzioni, ampliamenti ed, ove occorra, soppressioni alle norme vigenti", ma vincolata tassativamente al rispetto di principi direttivi ben individuati, come esigevano la vastità della materia affidata al potere normativo del Governo e la correlativa necessità di rigorosa individuazione delle finalità dell'esercizio del potere medesimo.

A questo scopo tendevano le indicazioni finalistiche contenute nella legge di delegazione (ed in particolare il richiamo, contenuto nel primo comma dell'art. 30, al rispetto dei "principi che presiedono alla legislazione previdenziale vigente"), le quali avevano la comune caratteristica di essere tutte attinenti al rapporto di assicurazione sociale, così da consentire di affermare che fu intenzione del legislatore delegante di circoscrivere la delega, dal punto di vista dei principi direttivi, e conseguentemente anche dell'oggetto, all'ambito proprio del rapporto di assicurazione obbligatoria.

Tale ambito sarebbe stato invece superato allorché il Governo, nell'art. 204 del D.P.R. n. 1124 del 1965, lungi dal tendere al conseguimento di uno degli scopi sopra indicati, ha disciplinato il diverso rapporto di assicurazione privata, la cui connessione con quello di assicurazione obbligatoria é meramente estrinseco, risiedendo soltanto nella totale o parziale identità dell'oggetto (rischio assicurato e protetto) senza alcun riflesso sulla disciplina o sugli effetti dell'assicurazione sociale.

L'eccesso di delega, poi, si colorerebbe e si accentuerebbe con riferimento alla portata della disciplina in oggetto; che configura una vera rottura del principio della efficacia vincolante del contratto, mediante l'attribuzione ad una delle parti di quel potere unilaterale di risoluzione anticipata che lo stesso legislatore ha considerato con cautela e disfavore pur quando esso discende dalla volontà negoziale dei contraenti (art. 1341, secondo comma, codice civile).

La parte privata fa quindi osservare che, in epoca successiva alla legge di delegazione e con puntuale riferimento alla situazione che qui interessa, lo stesso legislatore ha adottato la soluzione opposta a quella prescelta dal Governo con la legge delegata. Con l'art. 1 della legge 15 aprile 1965, n. 413, infatti, é stata disposta la conservazione fino alla scadenza dei contratti di assicurazione in corso, stipulati da artigiani ricompresi nella tutela assicurativa obbligatoria, sotto la condizione della parità di prestazioni, conseguibile anche mediante adeguamento in congruo termine delle relative clausole contrattuali.

Donde la conseguenza che nel dettare, con l'art. 204 del testo unico del 1965, una diversa disciplina della medesima fattispecie (almeno quanto al quarto comma), il Governo ha non soltanto usato del potere delegatogli oltre i limiti prefissati, ma lo ha anche esercitato senza conformarsi alle indicazioni deducibili dal sistema legislativo vigente e riaffermate dal legislatore. Infatti dalla legge n. 413 del 1965 debbono trarsi due indicazioni: luna, relativa alla riserva legislativa nella disciplina della fattispecie, e l'altra, relativa alla recezione di un principio di conservazione in favore dei contratti di assicurazione privata in corso. Ammesso, in denegata ipotesi, che la legge di delega n. 15 del 1963 contempli principi diametralmente opposti, questi dovrebbero ritenersi superati in virtù della deroga apportata dalla legge posteriore.

Dopo aver negato che la disciplina dettata dall'art. 204 sia riconducibile ad un principio generale in materia contrattuale, non essendo equiparabile la sopravvenuta sussunzione del rischio assicurato nell'ambito della tutela previdenziale alla cessazione del rischio come causa di scioglimento del contratto (art. 1896, codice civile), l'Istituto conclude perché sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 204 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, commi primo e quarto, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione.

Nell'atto di intervento e deduzioni, l'Avvocatura ha affermato che l'art. 204 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, esattamente si inquadra nei principi generali vigenti in materia contrattuale assicurativa, quale puntuale esplicazione del ben noto criterio fondamentale dei contratti di assicurazione secondo il quale non può esservi assicurazione senza rischio (artt. 1895, 1896, 1897, codice civile), cui sarebbe riconducibile il caso particolare di cessazione del rischio assicurativo derivante dall'assunzione del medesimo ad opera degli enti pubblici che provvedono all'assicurazione obbligatoria. Ha concluso pertanto perché la questione sia dichiarata infondata.

Nella memoria depositata il 10 aprile 1969, la parte privata, dopo aver ulteriormente riaffermato la tesi secondo la quale la disciplina dei contratti di assicurazione privati, rilevante anche rispetto al principio di cui all'art. 41 della Costituzione, non rientra nei limiti della delegazione in questione, che riguarda l'assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro, osserva che anche le norme (art. 4, n. 3) che hanno esteso l'assicurazione obbligatoria ad alcuni lavoratori subordinati ed agli artigiani, senza che ciò fosse previsto nella delega, sono incostituzionali.

Nella formula usata dalla legge di delegazione l'unica espressione che può essere, in ipotesi, indicata come base per l'estensione é quella che consente di stabilire "ampliamenti e, ove occorra, soppressioni delle norme vigenti", ma tali termini non giustificano l'applicazione del sistema ad altri soggetti.

In ogni caso, non era affatto necessario, in conseguenza dell'allargamento dell'ambito soggettivo dell'obbligo assicurativo, adottare una norma come quella impugnata, innanzi tutto perché non c'é necessaria coincidenza fra i rischi coperti dall'assicurazione obbligatoria e quella privata, ed in secondo luogo perché si poteva disporre (come ha fatto la legge 15 aprile 1965, n. 413) che l'effetto delle nuove norme circa l'estensione dell'assicurazione obbligatoria ad altri soggetti decorresse dalla scadenza degli eventuali contratti di assicurazione privata in corso, anche a condizione che tali contratti privati prevedessero prestazioni non inferiori.

Infine la parte privata si sofferma ad illustrare ulteriormente la tesi secondo la quale la legge n. 413, essendo una legge formale successiva alla delega, comportava una indicazione normativa del legislatore ordinario, di cui il Governo avrebbe dovuto tener conto nell'interpretare i limiti della delega ed i criteri per adempierla.

Nella memoria depositata in pari data, l'Avvocatura generale dello Stato replica alle argomentazioni della parte privata osservando che una duplicazione di assicurazione, come quella che deriverebbe dalla mancata attribuzione al datore di lavoro, ovvero all'artigiano assicurato, del potere di risoluzione dell'assicurazione volontaria quando sia entrata in funzione l'assicurazione obbligatoria, sarebbe in contrasto non tanto con i principi della legislazione previdenziale, quanto con i principi dell'ordinamento giuridico vigente. Il richiamo fatto dalla parte privata alla legge 15 aprile 1965, n. 413, dimostra, secondo l'Avvocatura, l'inconsistenza del dubbio sollevato sulla costituzionalità della norma denunciata, giacché anche il legislatore del 1965, che la parte privata vanta quale "modello ", anche ex post, per il legislatore delegato, si é ispirato al rispetto del principio fondamentale dell'ordinamento che un "rischio" non può essere "coperto" due volte, una in via contrattuale ed una ex lege.

Con la norma denunciata l'assicurato volontario, poi divenuto assicurato obbligatoriamente, può risolvere il contratto di assicurazione, restando quindi in vita solo l'assicurazione ex lege; con la norma del 1965, quest'ultima assicurazione decorre dalla scadenza di quella contrattuale, a parità di condizioni; ma in entrambi i casi resta escluso che un rischio sia assicurato due volte, in via contrattuale ed in via obbligatoria, così come vorrebbe l'Istituto assicuratore, che pretende i premi assicurativi per un periodo coperto dall'assicurazione obbligatoria.

 

Considerato in diritto

 

Le due cause riguardano la stessa questione e pertanto vanno riunite e decise con unica sentenza.

1. - La legge n. 15 del 1963, innovando alle precedenti disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro, dispose all'art. 3 n. 3 l'estensione dell'obbligo assicurativo anche agli artigiani i quali prestassero abitualmente opera manuale nelle rispettive imprese, ma solo quando l'obbligo stesso ricorresse nei confronti dei propri dipendenti. Con l'art. 30 della stessa legge venne poi conferita delega al governo per l'emanazione di un testo unico delle norme vigenti in materia, con ampio potere di apportare ad esse modifiche, correzioni, soppressioni ed "ampliamenti".

In adempimento di tale delega venne emanato, con il decreto presidenziale del 30 giugno 1965, n. 1124, pubblicato il 13 ottobre, il testo unico, che nei riguardi degli artigiani ebbe ad innovare alle precedenti norme ampliandole nel senso di imporre, all'art. 4 n. 3, l'obbligo assicurativo a loro carico anche quando (come avviene nei due casi che hanno dato occasione alla presente controversia) alla prestazione della loro abituale opera manuale non concorresse quella di dipendenti. Tenendo poi presente l'ipotesi che i soggetti sottoposti agli obblighi assicurativi in virtù delle nuove norme avessero già stipulato un'assicurazione volontaria per i rischi di lavoro il legislatore delegato dispose all'art. 204 (e con specifico riferimento nell'ultimo comma a detta categoria) che tale assicurazione potesse risolversi, su richiesta del datore di lavoro contraente, dal 1 gennaio 1966 anno successivo alla pubblicazione del decreto, salvo restituzione proporzionale degli sconti poliennali concessi, e salvo altresì il mantenimento dei contratti per la parte riguardante rischi diversi da quelli coperti dall'assicurazione obbligatoria o per indennizzi fissati in misura superiore.

Già dall'esposizione che precede si traggono elementi sufficienti per fare ritenere non fondata la censura di eccesso di delega mossa contro la disposizione denunciata. Infatti, se é vero che l'esercizio degli ampi poteri conferiti all'organo delegato doveva essere contenuto nei limiti dei principi della legislazione infortunistica e rivolgersi alle finalità da conseguire, elencate in modo specifico nel capoverso dell'art. 30, é parimenti vero che, una volta esteso l'obbligo assicurativo ad una categoria prima non considerata, non si sarebbe reso possibile sfuggire all'esigenza di disciplinare l'ipotesi della coesistenza dell'assicurazione obbligatoria con quella volontaria. Così disponendo l'organo stesso si é uniformato a quanto era stato già disposto con il precedente testo unico 17 agosto 1935, n. 1765 (emesso su delega conferita al governo con la legge 29 gennaio 1934, n. 333) e con le successive norme integrative, di cui al R. D. 15 dicembre 1936, n. 2276. Infatti l'art. 27 di quest'ultimo stabiliva precisamente la facoltà del datore di lavoro che venisse ad essere assoggettato ex novo ad assicurazione obbligatoria di ottenere la risoluzione, a decorrere dalla data dell'entrata in vigore del testo unico stesso, dei contratti di assicurazione volontariamente stipulati anteriormente alla data predetta. Non é errato ritenere che fra i principi della vigente legislazione previdenziale cui il legislatore delegato del 1965 avrebbe dovuto uniformarsi, a tenore del citato art. 30, fosse compreso anche quello di non imporre ne la coesistenza, a copertura degli stessi rischi, di un duplice obbligo assicurativo: quello contrattuale con l'altro ex lege e neppure di sospendere l'efficacia di quest'ultimo.

Né a diversa conclusione si potrebbe giungere guardando all'incidenza della norma contestata sull'autonomia contrattuale, non essendo dubbio che la legge delegata possieda, in ordine a quest'ultima, poteri non minori della legge formale, sempreché si mantenga nei limiti della delegazione (e non può certo dirsi che per la determinazione dei limiti stessi eserciti influenza, di per sé, il fatto dei suoi effetti limitativi sulla autonomia contrattuale). Nessun pregio é da attribuire al richiamo fatto dalla difesa dell'ente all'art. 1341 capoverso del codice civile perché le limitazioni in esso previste all'esercizio del recesso unilaterale concernono clausole contrattuali e non possono condizionare l'attività del legislatore.

2. - La conclusione alla quale si é giunti non può essere influenzata dalla considerazione del disposto dell'art. 1 della legge 15 aprile 1965, n. 413, pubblicata il 10 maggio dello stesso anno (5 mesi prima dell'entrata in vigore della legge delegata) con cui si stabilisce che l'obbligo assicurativo a carico degli artigiani, quale risultante dalla citata legge n. 15 del 1963, non decorre prima della scadenza dei contratti di assicurazione volontariamente stipulati dagli artigiani, successivamente assoggettati all'obbligo stesso, ed ancora in corso al momento della pubblicazione della legge, purché essi garantiscano condizioni non inferiori a quelle dell'assicurazione obbligatoria.

Infatti nella specie si può prescindere da ogni indagine circa l'influenza, sulla determinazione dell'ambito dei poteri attribuiti al Governo dalla legge di delegazione, da assegnare alle norme materiali che siano sopravvenute in virtù di una successiva legge formale, nella materia oggetto della delega; e ciò perché dallo stesso tenore della disposizione menzionata della legge n. 413 si desume come essa rivesta una portata ben delimitata, tale da non incidere sulla soluzione della questione in esame. La legge in parola, come appare dal suo stesso titolo: "applicazione dell'assicurazione obbligatoria per gli artigiani datori di lavoro", disciplina solamente il caso della concorrenza fra l'assicurazione volontaria e quella obbligatoria, limitatamente a coloro rispetto a cui in quel momento l'obbligo era imposto (né sarebbe potuto avvenire altrimenti, non essendo ancora stata disposta l'estensione del medesimo agli artigiani senza dipendenti, quale effettuata per la prima volta con il testo unico sopravvenuto).

E poiché nella specie le cause che hanno dato luogo alla questione di legittimità costituzionale riguardano artigiani appartenenti a quest'ultima categoria la legge n. 413 non potrebbe in nessun caso trovare applicazione riguardo ad essi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice conciliatore di Trento dell'art. 204 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 gennaio 1970.