Sentenza n. 2 del 1970
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SENTENZA N. 2

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZI'

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 134, 219, 222, secondo comma, 224, 231 e 238 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 settembre 1968 dal tribunale di Livorno nel procedimento penale a carico di Briasco Sergio ed altri, iscritta al n. 230 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 318 del 14 dicembre 1968;

2) ordinanze emesse il 25 ottobre 1968 dal pretore di Scicli nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Incorvaia Giuseppe e di Mattei Alberto, iscritte ai nn. 250 e 251 del registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6 dell'8 gennaio 1969;

3) ordinanza emessa il 29 ottobre 1968 dal pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Sartori Giorgio, iscritta al n. 253 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiate della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1969.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Briasco Sergio ed altri;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1969 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

uditi l'avv. Elia Clarizia, per Briasco ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento penale innanzi al tribunale di Livorno a carico di Sergio Briasco ed altri, per contrabbando di semi oleosi ed evasione dell'imposta generale sull'entrata, la difesa di alcuni imputati sollevava, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 33 e 35 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), dell'art. 49 del D. L. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito nella legge 19 giugno 1940, n. 762 (sulla istituzione dell'I.G.E.), nonché degli artt. 222, capoverso, e 224 del codice di procedura penale, asserendo che la polizia tributaria, nel corso delle sue operazioni di verifica, aveva proceduto, in applicazione delle norme suddette, al sequestro di tutta la documentazione relativa alle presunte infrazioni, senza le garanzie previste in via generale dagli artt. 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale.

Con ordinanza del 19 settembre 1968, il tribunale riteneva rilevante la sola questione di legittimità costituzionale dell'art. 222, capoverso, del codice di procedura penale, escludendo che, nel sequestro della documentazione, fossero state applicate anche le disposizioni finanziare richiamate dalla difesa, dato che esse prevedono soltanto una generica attività di verifica della polizia tributaria, da classificare tra gli accertamenti meramente fiscali, privi di carattere penale, ben distinti dalle perquisizioni.

Motivando sulla non manifesta infondatezza della questione, il tribunale ritiene che la norma denunziata, nella parte in cui consente di procedere ad operazioni di sequestro senza le garanzie previste dagli artt. 390 e 304 quater del codice di procedura penale, contrasti con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto, col conferire alla polizia giudiziaria il potere di compiere veri e propri atti istruttori, direttamente utilizzabili nel processo, senza l'osservanza delle anzidette garanzie, determinerebbe una situazione legislativa del tutto analoga a quella dell'art. 225 dello stesso codice, già dichiarato parzialmente illegittimo con la sentenza n. 86 del 2 luglio 1968 di questa Corte.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 318 del 14 dicembre 1968. Si sono costituiti Sergio Briasco, Pindaro Carapelli, Agostino Agazzani, Aldo Benessati e Pietro Pagnari, con atto depositato il 26 dicembre 1968, nel quale, alla stregua delle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione, si chiede che la questione di legittimità sia dichiarata fondata.

Con memoria deposita il 15 ottobre 1969, la difesa degli imputati aggiunge che ragioni di simmetria sistematica impongono di adottare la pronunzia di illegittimità costituzionale. Al riguardo, ribadisce il perfetto parallelismo fra il più volte menzionato art. 225 del codice di procedura penale e la norma denunziata, osservando che alla medesima conclusione sono pervenute sia la dottrina sia le ordinanze di altri giudici di merito che, successivamente, hanno sollevato analoga questione di legittimità.

2. - Con due distinti decreti penali, il pretore di Scicli condannava Giuseppe Incorvaia e Alberto Mattei alla pena dell'ammenda, per direzione abusiva di natante ed esercizio della pesca con rete a strascico ad una distanza dalla costa inferiore a quella consentita. I provvedimenti facevano seguito a due separati rapporti della competente autorità di vigilanza sulla pesca marittima, ai quali erano stati allegati i verbali di interrogatorio degli imputati.

Nei giudizi conseguenti all'opposizione, il pretore, su istanza della difesa, con due ordinanze di identico contenuto del 25 ottobre 1968, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 219 del codice di procedura penale, nella parte in cui consente agli organi di polizia giudiziaria, senza l'osservanza delle norme contenute negli artt. 390 e 304 quater dello stesso codice, di procedere all'interrogatorio dell'imputato non detenuto.

Ad avviso del pretore, il suddetto interrogatorio da parte della polizia giudiziaria, pur non essendo espressamente considerato da alcuna norma del codice di procedura penale, troverebbe la sua disciplina nell'ultimo inciso dell'art. 219 (che annovera genericamente, tra le funzioni della polizia giudiziaria, quella di raccogliere quanto possa servire all'applicazione della legge penale), mentre, data la tassativa elencazione degli atti indicati nel successivo art. 225, non potrebbe ritenersi incluso nella previsione di quest'ultima disposizione, per la quale, a seguito della sentenza n. 86 del 1968 di questa Corte, operano ora le garanzie difensive poste dagli artt. 304 bis - quater.

La violazione del principio di eguaglianza viene dedotta dal pretore sotto il profilo dell'ingiustificata disparità di trattamento, alla quale darebbe luogo l'attuale disciplina dell'interrogatorio dell'imputato non detenuto, a seconda della natura dell'organo cui vengono presentati la denunzia, la querela ed ogni altro atto, che, ai sensi dell'art. 78 del codice di procedura penale, conferisce la qualità di imputato. Si precisa che se uno di tali atti sia presentato ad un ufficiale di polizia giudiziaria, l'interrogatorio e compiuto senza garanzie difensive, diversamente da quanto avviene se l'atto sia presentato al magistrato, che deve provvedere all'interrogatorio direttamente o avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria, ai sensi del vigente art. 232 del codice di procedura penale.

Le due ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 6 dell'8 gennaio 1969.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto in giudizio con deduzioni depositate il 28 dicembre 1968, chiedendo che la questione sollevata dal pretore di Scicli sia dichiarata non fondata.

Deduce l'Avvocatura che nella redazione del rapporto della polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 2 del codice di procedura penale, la persona in precedenza sentita può essere indicata come reo, ma una tale qualifica va attribuita soltanto dopo la delibazione di tutti gli altri elementi probatori acquisiti, espressa nella sintesi conclusiva del rapporto, e non al momento della semplice audizione dell'interrogato, che può non avere alcun interesse, quando viene sentito, a nominare un difensore ed a cui favore, pertanto, non potrebbe prevedersi l'obbligo di tale nomina.

Alle stesse conclusioni dovrebbe pervenirsi sia per l'interrogatorio di chi é indicato come presunto autore di reato nella denuncia, dato che l'attribuzione di indizi di reato al denunciato si avrebbe dopo la sua audizione, al momento della redazione del rapporto; sia per le ipotesi di referto e di querela, quando la polizia giudiziaria non si limiti alla semplice trasmissione di tale atto all'autorità giudiziaria, ma ritenga di dover procedere ad accertamenti.

Non varrebbe, poi, obiettare che l'art. 78, capoverso, del codice di procedura penale considera imputato anche chi nel rapporto, nel referto, nella denuncia e nella querela é indicato come reo o risulta indiziato di reato. Al riguardo, si ribadisce che il rapporto é successivo all'interrogatorio del soggetto, mentre, per quel che concerne i rimanenti atti, ai quali faccia seguito un interrogatorio da parte della polizia giudiziaria, si obietta che il citato art. 78 non può essere applicato a tale tipo di interrogatorio, che non avrebbe qualifica di atto processuale.

Deduce, inoltre, l'Avvocatura l'oggettiva diversità delle situazioni previste dagli artt. 225 e 232 del codice di procedura penale, dichiarate parzialmente illegittime con la citata sentenza n. 86 del 1968 di questa Corte, rispetto a quella di cui alla norma denunziata, dato che solo nelle prime sussiste un evidente interesse alla immediata nomina del difensore da parte dell'arrestato e di colui al quale, su richiesta del procuratore della Repubblica, la polizia giudiziaria, in sede di interrogatorio, contesta il reato.

Afferma, poi, che, nella sua sentenza, questa Corte avrebbe lasciato sopravvivere il secondo comma dell'art. 134 del codice di procedura penale, concernente il divieto di ricevere la nomina del difensore di fiducia da parte della polizia giudiziaria, proprio allo scopo di consentire a quest'ultima di procedere, di sua iniziativa, all'interrogatorio di persone non detenute. Sostiene, infine, che anche nell'ipotesi in cui dovessero ritenersi operanti per tale tipo di interrogatorio le norme poste a garanzia dell'esercizio del diritto di difesa, sarebbe da pervenirsi a tale conclusione in via meramente interpretativa, senza la necessità di dichiarare l'illegittimità costituzionale della disposizione denunziata, anche perché questa tra le competenze della polizia giudiziaria non annovera esplicitamente l'interrogatorio.

3. - Analoga questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 219 del codice di procedura penale, nonché degli artt. 134, 222, 224, 231 e 238 dello stesso codice, é stata sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal pretore di Bologna, con ordinanza del 29 ottobre 1968, nel corso di un procedimento penale a carico di Giorgio Sartori, imputato del delitto di insolvenza fraudolenta in danno di Giovanni Gozzi, ed interrogato dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini a seguito della querela di questo ultimo.

Il Sartori, indicato come reo nella querela, avrebbe, secondo il pretore, assunto fin da allora la qualifica di imputato, sia pure ai soli fini delle garanzie previste dall'art. 78, capoverso, del codice di procedura penale; ed il relativo atto della polizia giudiziaria dovrebbe considerarsi un vero e proprio interrogatorio, direttamente utilizzabile nel procedimento ed implicitamente previsto nella generica dizione dell'art. 219, anche al fine di consentire allo stesso imputato la conoscenza delle accuse e di dargli la possibilità di scagionarsi.

Sostiene il pretore che, interpretando estensivamente i principi già affermati da questa Corte con la sentenza n. 86 del 1968, l'interrogatorio potrebbe già ritenersi assistito dalle garanzie difensive ora operanti per le situazioni previste negli artt. 225 e 232 del codice di procedura penale; ma che é, nondimeno, opportuno sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 219, allo scopo di evitare disparità ed incertezze nella sua applicazione giurisprudenziale.

Per quanto concerne le altre disposizioni denunziate, afferma che la relativa questione, pur non interessando direttamente il procedimento a quo, viene prospettata per motivi di dipendenza logica e funzionale.

A proposito degli artt. 222 e 224 del codice di procedura penale nella parte riguardante, rispettivamente, l'assicurazione del corpo di reato e le perquisizioni personali e domiciliari, nel caso di flagranza di reato o di evasione, ad opera della polizia giudiziaria, si fa richiamo al potere discrezionale, che illegittimamente le sarebbe attribuito di osservare o meno le norme sull'istruzione formale.

Per mancanza della previsione delle garanzie difensive di cui agli artt. 304 bis, ter e quater e 390 del codice di procedura penale, si denunciano, poi, l'art. 231 del codice di procedura penale, nella parte relativa agli atti delegati dal pretore alla polizia giudiziaria, e l'art. 238, sull'interrogatorio del fermato per indizio di reato.

L'illegittimità costituzionale dell'art. 134 del codice di procedura penale, nella parte relativa al divieto posto a carico della polizia giudiziaria di ricevere la nomina del difensore, viene, infine, prospettata come conseguenza dell'illegittimità, già dichiarata, dei citati artt. 225 e 232 del codice di procedura penale, nonché di quella, che dovesse eventualmente seguire, delle altre disposizioni denunziate dal pretore.

L'ordinanza, ritualmente notificata é comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 29 gennaio 1969.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le questioni sollevate dalle quattro ordinanze attengono tutte alla legittimità di norme del codice di procedura penale (testo vigente prima della legge 5 dicembre 1969, n. 932) sulle funzioni della polizia giudiziaria - che si assumono in contrasto con le garanzie difensive statuite dalla Costituzione - sicché le cause sono state trattate congiuntamente e vengono ora riunite per essere decise con unica sentenza.

2. - Questa Corte con le sentenze n. 86 del 1968 e n. 148 del 1969 ha statuito il principio che gli atti di polizia giudiziaria - compiuti dalla polizia stessa in forza dei suoi istituzionali poteri ovvero disposti o compiuti dal pretore, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale o dal procuratore generale presso la Corte di appello in sede di indagini preliminari - devono essere assistiti dalle garanzie difensive previste dagli artt. 304 bis, ter e quater del codice di procedura penale tutte le volte in cui corrispondano agli atti ivi contemplati e si svolgano nei confronti di un soggetto che sia da considerare indiziato di reato ai sensi dell'art. 78, secondo comma, del codice di procedura penale.

Tale principio, basato su un'interpretazione dell'art. 24 della Costituzione, nel senso che il diritto inviolabile alla difesa deve trovare attuazione nella formazione di tutti gli atti che, anche se posti in essere prima dell'apertura del vero e proprio procedimento penale, possono essere assunti dal giudice a base del suo convincimento, ha condotto alla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale degli artt. 222, secondo comma, 223, primo comma, 225, 231, primo comma, 232 e 234.

3. - In conseguenza dei principi affermati nelle due precedenti decisioni e delle statuizioni in esse contenute, deve escludersi che l'art. 219 del codice di procedura penale, ora impugnato, consenta, nella genericità della sua formulazione, che la polizia giudiziaria, pur in presenza di un soggetto da considerare indiziato ai sensi dell'art. 78, secondo comma, del codice di procedura penale, possa procedere ad atti preistruttori senza l'osservanza delle disposizioni che assicurano un minimo di garanzia difensiva. In particolare, per quanto riguarda l'interrogatorio, se é vero che la polizia giudiziaria può procedervi nell'esercizio dei poteri conferitile dall'art. 219, non é altrettanto vero, come suppongono le ordinanze di rimessione, che esso possa essere compiuto, anche in presenza di un indiziato di reato, senza l'osservanza degli artt. 304 bis, ter e quater: in tale caso, infatti, l'obbligo del rispetto di dette disposizioni - quando, ripetesi, un indizio di reità si é già soggettivizzato nei confronti della persona interrogata - discende dalla dichiarazione di parziale illegittimità dell'art. 225 del codice di procedura penale. Più in generale può dirsi che l'art. 219 del codice di procedura penale necessariamente prescinde dall'applicazione degli artt. 304 bis, ter e quater, perché esso contempla tutte le attività che la polizia giudiziaria può e deve compiere fino al momento in cui le indagini preliminari si traducono in atti preistruttori aventi la funzione di predisporre prove di colpevolezza, utilizzabili come tali nel successivo processo, contro un determinato soggetto che abbia assunto la figura di indiziato di reato. E da questo momento - e solo da questo momento - che, nel rispetto dell'art. 24 della Costituzione, devono operare i meccanismi idonei ad assicurare un minimo di contraddittorio, di assistenza e di difesa (cfr. sent. n. 149 del 1969): e tale esigenza é già soddisfatta dalle statuizioni contenute nelle ricordate decisioni n. 86 del 1968 e n. 148 del 1969.

4. - Per ciò che riguarda gli artt. 222, secondo comma, 231, primo comma, e 134, secondo comma, del codice di procedura penale, le relative questioni sono assorbite dalla pronunzia di parziale illegittimità costituzionale n. 148 del 1969.

5. - Circa la questione di legittimità costituzionale dell'art. 224, primo comma, ultima parte, del codice di procedura penale, limitatamente all'inciso "per quanto é possibile", ne va pronunziata l'inammissibilità, dato che la sua irrilevanza é riconosciuta dallo stesso pretore di Bologna, non interessando direttamente il procedimento a quo.

6. - Lo stesso é a dirsi della questione di legittimità costituzionale dell'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale, sulla cui irrilevanza si é egualmente espresso il pretore di Bologna.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibili, perché irrilevanti, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 224, primo comma, ultima parte, e 238, primo comma, del codice di procedura penale;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 219 del codice di procedura penale, sollevata dalle ordinanze di rimessione, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 222, secondo comma, 231, primo comma, e 134, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevate dalle ordinanze di rimessione in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 22 gennaio 1970.