Sentenza n. 141 del 1969
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SENTENZA N. 141

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 66 del testo unico delle norme sulla finanza locale approvato con R.D. 14 settembre 1931, n. 1175 (conciliazione amministrativa per le trasgressioni in materia di imposte di consumo), promosso con ordinanza emessa il 124 aprile 1968 dal pretore di Recanati nel procedimento penale a carico di Principi Attilio, iscritta al n. 98 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 del 6 luglio 1968.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1969 il Giudice relatore Paolo Rossi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

A seguito di verbale della guardia di finanza, trasmesso direttamente all'autorità giudiziaria (ed in secondo originale a quella amministrativa), Principi Attilio veniva tratto a giudizio dal pretore di Recanati per rispondere del delitto di evasione fraudolenta dell'imposta di consumo, previsto e punito dall'art. 55 del testo unico delle norme per la finanza locale (R.D. 14 settembre 1931, n. 1175).

Prima dell'apertura del dibattimento, il Principi chiedeva d'essere ammesso all'oblazione processuale, determinandosi la somma da pagare ai sensi degli artt. 66 e 59 del citato testo unico, e il pretore respingeva tale istanza, osservando che le norme da applicarsi nella specie (art. 66 del testo unico e artt. 235 e seguenti del R.D. 30 aprile 1936, n. 1138) non consentivano l'accoglimento della richiesta, essendo riservato ogni potere in proposito all'autorità amministrativa.

Eccepita l'illegittimità costituzionale del citato art. 66 ad opera dell'imputato e del P.M., il giudice a quo dichiarava non manifestamente infondata la questione, e con ordinanza 24 aprile 1968 rimetteva gli atti alla Corte costituzionale.

Mediante atto depositato il 5 luglio 1968 interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi l'infondatezza del proposto giudizio di illegittimità.

La questione sottoposta all'esame della Corte si articola in diversi aspetti che possono così enunciarsi:

1) Se l'art. 66, in relazione agli artt. 55, 59, 90 del R.D. 14 settembre 1931, n. 1175 (T.U. finanza locale) costituendo, in ipotesi, "un esempio isolato di assoluta discrezionalità di una autorità amministrativa non soltanto nel determinare la somma da versarsi per estinguere il reato, ma in radice, nel decidere se ammettere o non ammettere all'oblazione", dia luogo ad un potere arbitrario, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, e se la norma impugnata, conferendo al Sindaco (o alla Commissione consorziale) i poteri sopraindicati, con esclusione di ogni controllo sull'esercizio dei medesimi ad opera del giudice ordinario, non contrasti con l'art. 113 della Costituzione.

2) Se la norma impugnata, consentendo all'autorità amministrativa di valutare se sussista o meno l'estremo della frode, elemento discretivo tra i delitti e le contravvenzioni in tema di imposte di consumo, dia luogo all'esercizio di funzioni giurisdizionali in contrasto con l'art. 102 della Carta, e nel contempo non possa precludere l'esercizio dell'azione penale, che é imposta al P.M. dall'art. 112 della Costituzione, qualora l'autorità locale, esclusa la frode, abbia ammesso il trasgressore alla definizione amministrativa del reato.

3) Se la norma impugnata, e lo speciale procedimento in essa previsto, disciplinato anche dall'art. 236 del relativo regolamento (R.D. 30 aprile 1936, n. 1138), assicurino convenientemente l'esercizio del diritto di difesa e se l'onere del deposito di una somma non superiore ad un quarto del massimo dell'ammenda, a garanzia dell'istanza di oblazione, non costituisca ostacolo all'esercizio di un diritto, con conseguente violazione dell'art. 24 della Carta.

Quanto al denunziato contrasto dell'art. 66 T.U. finanza locale con gli artt. 3 e 113 della Costituzione la Presidenza del Consiglio si richiama alla decisione 8 luglio 1967, n. 95, con la quale questa Corte dichiarò non fondate le questioni di legittimità costituzionale sorte in tema di oblazione per le contravvenzioni alle norme sulla caccia e ai regolamenti comunali.

Circa l'ipotizzata violazione degli artt. 102 e 112 della Carta, la difesa dello Stato osserva che l'art. 66 T.U. finanza locale, mentre non dà luogo ad un tipo di valutazione diverso da quello che viene abitualmente svolto dalla pubblica amministrazione nella definizione amministrativa delle contravvenzioni, non preclude l'esercizio dell'azione penale da parte del P.M., esercizio che rimane pieno nella ipotesi delittuosa e condizionato, invece, alla mancata conciliazione nelle fattispecie contravvenzionali.

In ordine alla denunziata violazione degli artt. 113 e 24 della Costituzione, la Avvocatura osserva che il provvedimento del Sindaco (o della Commissione consorziale) non é sottratto alla tutela giurisdizionale, in quanto può essere impugnato (art. 90 T.U. finanza locale) davanti al Consiglio di Stato.

Infine al rilievo di un possibile contrasto con il principio sancito dall'art. 24 della Costituzione derivante dall'obbligo di accompagnare la domanda di oblazione con un deposito stabilito dall'ufficio delle imposte in misura non superiore al quarto del massimo dell'ammenda (art. 236 regolamento approvato con R.D. 30 aprile 1936, n. 1138), si oppone che il denunciato, ove ritenga di non essere responsabile, non ha che da affrontare il giudizio, nulla depositando a garanzia, libero di difendersi nel modo da lui ritenuto migliore.

 

Considerato in diritto

 

Il pretore di Recanati ha sottoposto all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 66 del testo unico per la finanza locale sotto i seguenti profili: a) che il potere discrezionale attribuito all'autorità amministrativa di ammettere o meno un soggetto all'oblazione, potrebbe violare il principio costituzionale di eguaglianza nonché l'art. 113 della Carta, essendo espressamente escluso il sindacato giurisdizionale su di esso; b) che il suddetto potere, implicando la valutazione della sussistenza dell'estremo della frode, elemento discretivo tra i delitti e le contravvenzioni in tema di imposte di consumo, potrebbe dar luogo all'esercizio di funzioni giurisdizionali e alla preclusione dell'azione penale, in contrasto con gli artt. 102 e 112 della Costituzione; c) che il denunciato procedimento di oblazione, condizionando l'esame della domanda di conciliazione al previo deposito di una cauzione (art. 236 del regolamento) violerebbe il diritto di difesa.

1. - Va in primo luogo rilevato che la norma impugnata, con l'attribuire al Sindaco e alla Commissione consorziale il potere di determinare volta per volta la somma da versare a titolo di oblazione, soddisfa l'esigenza di adeguare il disposto normativo alla particolarità del caso concreto, il che é indispensabile per realizzare nei suoi veri termini il principio di eguaglianza, che si traduce, in siffatti casi, in un principio di giusta proporzione (sentenza n. 95 del 1967).

Aggiungasi, per quanto attiene al più ampio potere di decidere se ammettere o meno un soggetto alla conciliazione amministrativa, che esso non si risolve in una mera facoltà non legittimando la norma impugnata un trattamento differenziato di casi uguali. Invero l'esercizio di tale potere, regolato dai comuni principi che assicurano la legittimità dell'azione amministrativa, é suscettibile di riesame mediante i ricorsi amministrativi.

Non può tuttavia ignorarsi che la disposizione impugnata, pur ammettendo espressamente i ricorsi amministrativi contro la decisione sull'istanza di oblazione, sembra aver voluto escludere ogni forma di ulteriore tutela giurisdizionale mediante l'inciso "e non compete gravame davanti all'autorità giudiziaria".

Tale disposto contrasta con il principio costituzionale secondo cui contro gli atti della pubblica Amministrazione é sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa (art. 113 della Costituzione).

Eliminato il predetto inciso, la discrezionalità in esame, del cui esercizio la pubblica amministrazione deve dar conto, é certamente sindacabile in sede di controllo giurisdizionale di legittimità ed il privato può in tal modo far accertare l'eventuale vizio di disparità di trattamento, sicché si palesa insussistente l'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione. Esula poi dalla competenza di questa Corte l'esame dei limiti temporali entro i quali l'istanza di conciliazione amministrativa può essere presentata.

2. - Deve ancora riaffermarsi il principio che "non può dirsi esercizio di giurisdizione il potere di valutazione, che, come nel caso dell'istanza di oblazione, viene attribuito alla autorità amministrativa, potere che, pur importando una valutazione del singolo caso, rimane di natura amministrativa e si svolge prima ed al di fuori del processo giurisdizionale" (sentenza n. 95 del 1967).

Né può ritenersi che la facoltà della pubblica Amministrazione di conciliare la trasgressione in caso ravvisi l'insussistenza della frode, precluda necessariamente l'esercizio della azione penale per delitto da parte degli organi che ne sono investiti qualora ne ricorrano gli estremi. Invero l'avvenuta oblazione non può impedire l'azione penale per una imputazione a titolo di delitto, per fattispecie riconosciute diverse e delittuose dall'organo giudiziario.

Si palesa quindi insussistente anche l'asserita violazione degli artt. 102 e 112 della Costituzione.

3. - In ordine, infine, al preteso contrasto tra l'art. 24 della Carta e l'onere di versare una cauzione perché l'istanza di oblazione possa essere presa in esame, occorre osservare, da un lato, che la richiesta garanzia non incide sul diritto alla tutela giudiziale di colui che ritenga di non aver commesso alcuna infrazione, il quale potrà far valere tutte le sue ragioni, senza oneri, nel procedimento penale; dall'altro, che il versamento di una modesta somma a garanzia soddisfa l'esigenza di evitare domande meramente dilatorie e non contrasta, secondo il costante orientamento della Corte, con l'invocato art. 24 della Costituzione.

Né può ignorarsi che un eventuale conflitto tra la norma di legge impugnata e la disposizione regolamentare, che prevede la suddetta cauzione (art. 236 citato RD.), rientra nella competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 66 del RD. 14 settembre 1931, n. 1175 (T.U. delle norme per la finanza locale), limitatamente all'inciso "e non compete gravame davanti all'autorità giudiziaria".

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 20 novembre 1969