Sentenza n. 137 del 1969
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SENTENZA N. 137

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito in legge 6 luglio 1939, n. 1272, come modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (determinazione dell'ammontare della pensione annuale nell'assicurazione obbligatoria per invalidità e vecchiaia), promosso con ordinanza emessa il 21 marzo 1968 dal tribunale di Arezzo nel procedimento civile vertente tra Lippi Elena, Gerioni Maria e l'I.N.P.S., iscritta al n. 74 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 1 giugno 1968.

Visti gli atti di costituzione di Lippi Elena, di Gerioni Maria e dell'I.N.P.S.;

udita nell'udienza pubblica del 18 giugno 1969 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;

uditi l'avv. Franco Agostini, per Lippi e Gerioni, e l'avvocato Giorgio Cannella, per l'I.N.P.S.

 

Ritenuto in fatto

 

Lippi Elena e Gerioni Maria convenivano l'Istituto nazionale della previdenza sociale dinanzi il tribunale di Arezzo, sostenendo che la pensione di anzianità loro spettante a norma dell'art. 13 della legge 21 luglio 1965, n. 903, doveva essere liquidata nella stessa misura prevista per i lavoratori, e non secondo le aliquote dell'art. 12 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, fissate per le donne lavoratrici in misura inferiore a quelle degli uomini. Qualora dal tribunale fosse stata ritenuta applicabile la detta norma dell'art. 12, ne denunziavano la illegittimità costituzionale in quanto essa stabilendo per la donna lavoratrice un trattamento pensionistico diverso da quello contemplato per il lavoratore, violerebbe il principio di parità di diritti in materia di lavoro di cui agli artt. 3 e 37 della Costituzione.

Con ordinanza del 21 marzo 1968, il tribunale - dopo di avere riconosciuta la applicabilità dell'art. 12 suindicato - ha rilevato che, poiché i contributi, calcolati sulla base delle retribuzioni percepite, vengono corrisposti nella stessa misura sia dagli uomini che dalle donne, non é affatto giustificato il trattamento differenziato nella pensione, che dovrebbe essere uguale a parità di contribuzione; ed ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del ripetuto art. 12, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione.

L'ordinanza é stata notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 1 giugno 1968. Nel giudizio innanzi questa Corte si sono costituiti la Lippi, la Gerioni e l'I.N.P.S.

Con la comparsa di costituzione, la difesa delle due donne osserva che, con la riforma pensionistica prevista dalla legge 18 marzo 1968, n. 238, il Governo é delegato a modificare il sistema di determinazione della pensione, stabilendo un rapporto diretto, per i lavoratori di entrambi i sessi, tra la retribuzione contributiva ed il trattamento previdenziale; ma solo nel caso che questo ultimo sia liquidato con decorrenza dal 1 marzo 1968. Tale legge, inoltre, dà facoltà di opzione tra il vecchio ed il nuovo trattamento. Perciò, per coloro i quali siano andati in pensione anteriormente a tale data, continua ad essere rilevante la questione di legittimità costituzionale, così come sollevata nel giudizio principale.

L'I.N.P.S. ritiene invece che sia giustificato il differente trattamento, in quanto le situazioni oggettive non sono identiche. La donna, infatti, consegue il diritto a pensione cinque anni prima dell'uomo (art. 9 del regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 636) e ciò, se può tradursi in uno svantaggio nella liquidazione della pensione, é tuttavia un vantaggio compensatore, sotto il profilo dell'anticipato conseguimento della medesima.

In ogni caso, ove la donna, come é in sua facoltà (art. 12 del R.D.L. n. 636 del 1939) differisce la liquidazione della pensione dal 55 al 60 anno di età, percepirebbe, a parità di contribuzione con un uomo, una somma maggiore di quella spettante a quest'ultimo, pur essendo diverse le modalità di calcolo.

Osserva, infine, che la legge 18 marzo 1968, n. 238 ha modificato il sistema di determinazione della pensione, e che il D.P.R. n. 488 del 1968 ha abrogato (art. 41) l'art. 13 della legge 21 luglio 1965, n. 903, e cioè ha abolito la pensione di anzianità. Ciò posto, sarebbe quanto meno frustraneo dichiarare la illegittimità della norma impugnata per una questione sorta ai fini della determinazione della pensione di anzianità, prevista da una norma non più in vigore.

Nelle more del presente giudizio é stata pubblicata la legge 30 aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) la quale dispone che la pensione va rapportata alla retribuzione media annua pensionabile. Viene così eliminata la denunziata disparità di trattamento tra uomo e donna.

Con memoria depositata il 4 giugno 1969, la difesa di Lippi Elena e Gerioni Maria rileva che la nuova legge, avendo realizzato la parificazione nel trattamento tra uomini e donne, costituisce riconoscimento della ingiustizia perpetrata in precedenza ai danni delle donne lavoratrici, ed implicita conferma della fondatezza della questione sollevata. Tuttavia, le nuove disposizioni non fanno venir meno la rilevanza della questione, perché: 1) la parificazione ha effetto soltanto dal 10 gennaio 1969, e, pertanto, poiché le attrici nel giudizio principale vantano il diritto alla maggiore pensione dalla data della costituzione di essa, il problema resta rilevante per i periodi di godimento antecedente a detta data; 2) la parificazione stessa ha per oggetto soltanto le pensioni di anzianità, di vecchiaia ed invalidità, con esclusione delle pensioni di riversibilità. La nuova legge, modificando i criteri delle pensioni dirette influisce sulle future pensioni di riversibilità, ma non già su quelle precostituite, che restano pertanto inferiori, nel caso di decesso di donna pensionata, rispetto agli aventi causa per morte di un uomo, antecedente al 1 gennaio 1969.

 

Considerato in diritto

 

1. - La legge 18 marzo 1968, n. 238, che ha fissato nuovi termini per la emanazione dei provvedimenti delegati di cui all'art. 39 della legge 21 luglio 1965, n. 903, per l'avviamento alla riforma e per il miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale; il D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, relativo all'aumento ed al nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, e la legge 30 aprile 1969, n. 153, per la revisione degli ordinamenti pensionistici, hanno modificato interamente la disciplina delle pensioni della previdenza sociale. Hanno stabilito, fra l'altro, che:

a) l'importo annuo delle pensioni, da liquidare con decorrenza posteriore al 30 aprile 1968 a carico dell'assicurazione generale dei lavoratori dipendenti é rapportato alla retribuzione contributiva media annua pensionabile desumibile dalle ultime 156 settimane di contribuzione effettiva in costanza di lavoro o figurativa (art. 6, lett. b, legge n. 238 del 1968);

b) le pensioni di anzianità, vecchiaia ed invalidità da liquidare alle donne lavoratrici assicurate in base alle disposizioni vigenti anteriormente al 1 maggio 1968 sono determinate con gli stessi criteri di calcolo stabiliti per i lavoratori, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge. Quelle già liquidate sono riliquidate con effetto dal 1 gennaio 1969 (art. 10 della legge n. 153 del 1969).

Non essendo più applicabili le aliquote stabilite dall'art. 12 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, é stata eliminata, per le pensioni della donna lavoratrice, la disparità di trattamento denunziata dalla ordinanza di rimessione.

Tuttavia, la questione di legittimità costituzionale, nei termini in cui é stata prospettata, é tuttora rilevante per le pensioni liquidate in base alle disposizioni vigenti anteriormente al 1 maggio 1968, dal momento che il nuovo sistema di calcolo per la riliquidazione delle pensioni spettanti alle donne lavoratrici, si applica con effetto dal 1 gennaio 1969.

2. - La questione non é fondata.

Secondo la norma impugnata, tanto per le donne quanto per gli uomini, l'ammontare della pensione annua é determinato ugualmente nella misura del venti per cento dello importo quasi totale dei contributi versati: una differenza si verifica soltanto sulle prime 3.000 lire di contribuzione (45 per cento per gli assicurati e 33 per cento per le assicurate sulle prime 1.500 lire; 33 per cento e 26 per cento sulle altre 1.500 lire).

Questa normativa, sorta originariamente per la pensione di vecchiaia e di invalidità, si é estesa a quella di anzianità. Per effetto del criterio di determinazione fissato dalla suindicata norma, allorquando, all'età di 55 anni la donna lavoratrice acquista il diritto alla pensione di vecchiaia, percepisce una somma annua inferiore a quella spettante all'uomo che abbia raggiunto l'età del pensionamento di 60 anni. Tuttavia occorre tener conto della importanza che, nella liquidazione della pensione, assume il maggiore periodo di tempo di prestazione d'opera, in quanto per la donna si tratta di pensione percepita a 55 anni e per l'uomo di pensione percepita a 60 anni, cioè dopo altri 5 anni di lavoro. Pur conseguendo anticipatamente il diritto a pensione, la donna può continuare a lavorare differendo la liquidazione ed usufruendo di una maggiorazione, che, dal 55 al 60 anno, é calcolata in ragione di percentuale progressiva, dal 3 al 22 per cento. Per effetto di tale maggiorazione, al 60 anno di età ogni disparità scompare; e successivamente, dal 60 al 65 anno le due pensioni aumentano in condizioni di parità, sulla base di eguali percentuali. Quindi, il meccanismo di siffatto calcolo, elimina la iniziale disparità, dovuta soltanto al fatto che la donna anticipa al pensionamento ed il lavoratore si inserisce nella scala degli importi di pensione a 60 anni. Ma l'ordinanza di rimessione non muove lagnanza alcuna rispetto all'anticipato pensionamento della donna, mentre la Corte ne ha già esaminata, sia pure indirettamente, la legittimità con la sentenza n. 123 del 1969.

Comunque, non avendo l'uomo alcun diritto alla pensione di vecchiaia dal 55 al 60 anno di età, il legislatore era libero di fissare per la donna l'importo che riteneva più razionale, senza alcun riferimento ad un analogo diritto non ancora sorto per l'uomo. E, per di più, al diritto della donna ad un pensionamento anticipato di cinque anni, corrisponde una obbiettiva diversa situazione, che rende pienamente legittimo al minore importo della pensione.

3. - Valutati in tal modo i rapporti fra i diritti della donna lavoratrice e quelli del lavoratore, rispetto alla pensione di vecchiaia, che é l'evento di maggiore rilievo nella assicurazione generale obbligatoria, siccome quello che normalmente si verifica più spesso e maggiormente incide nell'equilibrio fra disponibilità di mezzi economici e bisogni da soddisfare, la Corte ritiene di pervenire alle medesime conclusioni anche per quanto riguarda le pensioni di anzianità e di invalidità.

Ed invero, la posizione dell'uomo e della donna nella assicurazione obbligatoria generale non va valutata in funzione di ogni singola prestazione, ma va considerata globalmente per tutti gli eventi protetti: come esattamente osserva l'I.N.P.S., il rapporto assicurativo della previdenza sociale ha la caratteristica fondamentale della unitarietà, in quanto la tutela si realizza attraverso una unica assicurazione obbligatoria generale ed una uniforme disciplina rispetto alle obbligazioni contributive.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito in legge 6 luglio 1939, n. 1272, così come modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218 (determinazione dell'ammontare della pensione annua nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e vecchiaia) proposta in riferimento agli artt. 3 e 37, primo comma, della Costituzione, con ordinanza del tribunale di Arezzo del 21 marzo 1968.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

 

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1969.