Sentenza n. 126 del 1969
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SENTENZA N. 126

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIEACIO

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAEULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 31 luglio 1954, n. 570 (restituzione dell'imposta generale sull'entrata sui prodotti esportati ed istituzione di un diritto compensativo sulle importazioni), promosso con ordinanza emessa il 5 gennaio 1968 dalla Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile vertente tra la società Fratelli Masturzo e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 86 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 6 luglio 1968.

Visti gli atti di costituzione della società Fratelli Masturzo e dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 3 giugno 1969 la relazione del Giudice Nicola Reale;

uditi l'avv. Lucio Castelli, per la società Masturzo, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

La società in nome collettivo Fratelli Masturzo proponeva, contro l'Amministrazione finanziaria dello Stato, azione per ripetere la somma di lire 2.200.569, che si assumeva indebitamente riscossa dalla dogana di Napoli a titolo di imposta di conguaglio su partite di olii greggi vegetali, importati per la raffinazione presso stabilimenti nazionali, secondo una delle tabelle approvate con decreto del Presidente della Repubblica 14 agosto 1954, n. 676, emanato in esecuzione della legge 31 luglio 1954, n. 570.

La Corte di Napoli, in sede di gravame, sollevava, con ordinanza 5 gennaio 1968, la questione di costituzionalità degli artt. 1 e 3 della legge predetta in riferimento all'art. 23 della Costituzione, per cui nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Premesso che nell'art. 1 della detta legge, a favore degli esportatori di taluni prodotti industriali, é disposta la restituzione dell'imposta sull'entrata (primo comma), mentre sui prodotti importati dall'estero é istituita, nel secondo comma, un'imposta di conguaglio "rapportata all'imposta generale sull'entrata che gli stessi prodotti avrebbero assolto durante la loro fabbricazione in Italia", la Corte, ritenuta la questione rilevante ai fini della controversia, osservata, circa la non manifesta infondatezza, che la formazione degli elenchi dei prodotti soggetti agli speciali regimi sopra accennati e compresi nelle apposite tabelle, é demandata, dall'art. 3 della legge in esame, non al Governo quale organo responsabile del potere esecutivo, ma al Presidente della Repubblica autorizzato a provvedere con decreto, su proposta del Ministro per le finanze, di concerto con i Ministri per il bilancio, per il tesoro, per l'industria e il commercio e per il commercio con l'estero, sentito il Consiglio dei Ministri.

Da ciò si desumeva che non ricorressero nella specie gli estremi della delegazione legislativa, ai sensi dell'art. 76 della Costituzione, ma che fosse stato attribuito all'autorità amministrativa il potere di determinare, mediante l'elenco dei prodotti colpiti dall'imposta di conguaglio, l'oggetto stesso della fattispecie tributaria, in contrasto col precetto dell'art. 23 della Costituzione, il quale, secondo varie pronunzie di questa Corte, se non esige che tutti i presupposti e gli elementi della prestazione siano determinati dalla legge, consente che ciò avvenga, "in base alla legge", mediante provvedimenti amministrativi, quali espressione di discrezionalità tecnica, purché sussistano garanzie atte ad escludere che la discrezionalità stessa si trasformi in arbitrio.

Senonché, nella specie, la stessa circostanza che fra tutti i prodotti suscettibili di importazione la pubblica Amministrazione sia chiamata a compiere una scelta politica, alla quale consegue l'imposizione in taluni casi e l'esclusione del tributo negli altri, porrebbe in evidenza, l'attribuzione del potere di emanare disposizioni circa l'esistenza della imposizione; potere avente contenuto identico a quello spettante al Parlamento in materia tributaria.

A maggior conforto di tale assunto l'ordinanza del giudice a quo traeva argomento infine dal fatto che al riordinamento della materia, ed in particolare alla formazione di nuove tabelle dei prodotti soggetti ad imposizione di conguaglio, il Governo, in base alla successiva legge 7 luglio 1960, n. 633, ha provveduto a seguito di formale delegazione legislativa.

Ritualmente notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, l'ordinanza, iscritta al n. 86 del registro ordinanze dell'anno 1968, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 170 del 6 luglio 1968.

Nel giudizio davanti a questa Corte si é costituita la società Fratelli Masturzo, la quale con l'atto 24 luglio 1968, uniformandosi agli argomenti dell'ordinanza di rimessione, ha concluso per la incostituzionalità degli artt. 1 e 3 della legge n. 570 del 1954.

Per l'Amministrazione finanziaria l'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi con atto 5 luglio 1968, ha dedotto, in via principale, che l'autorizzazione contenuta nell'art. 3 a formare e ad approvare le tabelle previste dall'art. 1 della legge impugnata, integra una delegazione legislativa al Governo, ancorché impropriamente indicata. In tale senso ha ritenuto determinanti le seguenti circostanze:

1) la previsione della previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, quale espressione della unità organica del Governo;

2) la mancata previsione del parere del Consiglio di Stato, richiesto invece per la legalità formale degli atti regolamentari dell'Autorità amministrativa;

3) l'indicazione del termine entro il quale il provvedimento delegato doveva essere emanato;

4) il puntuale riferimento ai criteri direttivi per l'esercizio della potestà normativa delegata.

L'Avvocatura, procedendo poi all'esame del provvedimento presidenziale emanato in ottemperanza della norma impugnata, ha rilevato che esso é, nel preambolo, conforme alla prassi, sia nella parte in cui richiama l'art. 3 della legge n. 570 del 1954 contenente "la delega a formare e approvare le tabelle"; sia in quelle che richiamano l'art. 87 della Costituzione e la proposta del Ministro competente, sia infine nella formula "sentito il Consiglio dei Ministri" equivalente alla previa delibera consiliare.

Elementi formali che sarebbero identici a quelli che figurano nei successivi provvedimenti presidenziali emanati nella stessa materia, in base a nuova delegazione legislativa, ai sensi della legge 7 luglio 1960, n. 633.

Ciò premesso l'Avvocatura ha concluso contestando che nella specie si riscontrerebbe violazione del principio della riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione.

In via subordinata, per l'ipotesi che si acceda alla tesi che il provvedimento "autorizzato" abbia natura amministrativa e propriamente quella di regolamento delegato, e non di legge delegata, l'Avvocatura ha prospettato la tesi che anche in tal caso sussisterebbe violazione del ricordato precetto costituzionale, in quanto il potere demandato al Governo di formare gli elenchi dei prodotti esclusi dall'imposta di conguaglio, involgerebbe indagini tecnico-amministrative scevre da valutazioni di discrezionalità politica.

Le accennate conclusioni i difensori delle parti hanno illustrato anche nella pubblica udienza di discussione del 3 giugno 1969.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione sollevata con l'ordinanza sopra riferita della Corte d'appello di Napoli ha per oggetto gli artt. 1 e 3 della legge 31 luglio 1954, n. 570, concernente la disciplina dei due diversi regimi tributari dei prodotti industriali indicati in apposite tabelle: la restituzione, all'atto della loro esportazione, dell'imposta generale sull'entrata (art. 1, primo comma) e l'istituzione di una imposta di conguaglio dovuta al momento della importazione (art. 1, secondo comma).

L'art. 3 dispone poi che alla formazione ed approvazione delle tabelle predette, quella riguardante l'elenco dei prodotti per i quali é stabilita la restituzione dell'i.g.e. (all. A) e quella concernente, invece, le merci colpite da imposta di conguaglio (all B), é autorizzato "Il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, emanato su proposta del Ministro per le finanze, di concerto con i Ministri per il bilancio, per il tesoro, per l'industria e commercio e per il commercio con l'estero sentito il Consiglio dei Ministri", "entro tre mesi dalla entrata in vigore della legge stessa" ed osservati i criteri stabiliti nell'art. 2.

In quest'ultimo articolo, non impugnato, i prodotti soggetti agli speciali regimi sopra accennati sono classificati in quattro categorie, con riguardo alla corrispondente incidenza della imposta generale sull'entrata e sono determinate le aliquote, rispettivamente del rimborso e del conguaglio, per ciascuna di esse.

Le tabelle, riguardanti tali prodotti, sono state poi approvate con D.P.R. 14 agosto 1954, n. 676, emanato appunto in virtù della autorizzazione contenuta nel citato art. 3.

La Corte d'appello, in riferimento al caso in esame, nel quale si controverte circa l'applicazione, all'atto della loro importazione, della imposta di conguaglio a quantitativi di olii vegetali destinati alla raffinazione, in conformità della tabella B (parte IV) allegata al decreto del Presidente della Repubblica summenzionato, muove dalla premessa che nella specie non sia da ravvisarsi una delega legislativa, a norma dell'art. 76 della Costituzione.

Il ricordato art. 3 non attribuirebbe testualmente l'esercizio di potere legislativo al Governo, ma conterrebbe l'autorizzazione ad emanare un provvedimento amministrativo (di cui l'ordinanza non indica la natura), volto a stabilire in quali casi l'introduzione di un prodotto industriale nel territorio dello Stato legittimi la pretesa dell'amministrazione finanziaria di esigere l'imposta di conguaglio e determinando così, in definitiva, un presupposto sostanziale dell'imposta.

Un provvedimento, cioè, che sarebbe esercizio non di "mera discrezionalità tecnica amministrativa" nella specificazione delle modalità del tributo, ma di una scelta politica riservata invece agli organi legislativi, ai sensi dell'art. 23 della Costituzione.

La questione non é fondata.

2. - L'art. 3 della legge in esame deve essere infatti interpretato come norma di delegazione legislativa e non come autorizzazione ad emanare un provvedimento di natura diversa, tale da giustificare le ulteriori illazioni della Corte d'appello.

Si deve premettere che alla configurazione della delega non osta il principio della riserva legislativa in materia tributaria.

La garanzia stabilita nell'art. 23 della Costituzione non vieta che, con l'osservanza dei limiti stabiliti dall'art. 76 della stessa Carta costituzionale, possa essere demandata al Governo l'emanazione di atti normativi in materia di imposte aventi lo stesso valore della legge ordinaria, purché la volontà del Parlamento a delegare l'esercizio della funzione legislativa, trovi essa stessa espressione nella legge formale, a conclusione della "normale procedura" di esame ed approvazione della legge, come nella specie é appunto avvenuto, in conformità dell'art. 72, ultimo comma, della Costituzione.

Né può dubitarsi che con l'art. 3 della legge n. 570 del 1954 il Governo sia stato legittimamente delegato ad emanare un provvedimento avente valore di legge nella materia in esame.

Non vale obiettare in contrario, come si fa nell'ordinanza di rinvio, che l'autorizzazione a formare gli elenchi dei prodotti soggetti ad imposta di conguaglio sarebbe diretta non al Governo, così come richiesto dall'art. 76 della Costituzione, ma all'autorità amministrativa.

La formulazione dell'art. 3 della legge in esame, invece, se pur non indica espressamente il Governo quale destinatario della "autorizzazione" ad emanare l'atto delegato, si riferisce sostanzialmente al Governo della Repubblica attesa la puntuale indicazione degli organi che, a norma dell'art. 92, primo comma, lo compongono.

Tanto la legge attributiva del potere, quanto il decreto emanato sulla base di esso, contengono la formula "sentito il Consiglio dei Ministri": formula non raramente usata nella prassi per indicare la deliberazione del Consiglio dei Ministri, necessaria all'esercizio della delega.

L'intento del Parlamento di conferire al Governo la delegazione legislativa per la formazione delle tabelle, indicate nell'art. 1 della legge, ed in ispecie quella dei prodotti soggetti ad imposta di conguaglio, emerge d'altra parte, senza possibilità di equivoco, dai lavori preparatori della stessa legge impugnata.

É inoltre confermato, e ciò vale anche ad integrare la piena osservanza del disposto dell'art. 76 della Costituzione, dal concorso, nell'art. 3, dei requisiti univoci, che condizionano la legittimità della delegazione stessa: la determinazione, cioè, dei criteri e princìpi direttivi contenuti nell'art. 2 della legge, la definizione dell'oggetto e, in ultimo la prefissione del termine di tre mesi per l'esercizio del potere-dovere delegato. Elemento quest'ultimo che riveste particolare rilievo in riferimento alla disposizione dell'art. 11 della legge impugnata, subordinante alla entrata in vigore del decreto presidenziale delegato l'efficacia della legge medesima.

É poi significativo che nel preambolo del decreto delegato non risulta l'audizione del parere del Consiglio di Stato, quale organo di consulenza obbligatoria in materia regolamentare: parere, del resto, nemmeno richiesto dalla legge impugnata. Del pari nello stesso decreto non é ad esso attribuita alcuna qualificazione di regolamento od altra analoga. Ciò, anche su questo punto, in piena aderenza alla legge delegante.

Di fronte a tali concordanti e decisivi rilievi rimangono privi di importanza gli argomenti che la Corte d'appello ha voluto trarre dalla successiva legge, anch'essa di delegazione, 7 luglio 1960, n. 633, il cui testo, malgrado qualche diversità di formulazione, non é, nel suo contenuto, diverso da quello della legge in esame, come, del resto, si opinò nel corso dei lavori preparatori della suddetta legge e precisamente nella relazione della Commissione finanza e tesoro del Senato all'analogo disegno di legge n. 979, comunicato alla Presidenza dell'Assemblea il 9 giugno 1960. In tale documento si accennò, infatti, alla legge ora impugnata come caso aderente a prassi costante di delegazione al Governo di attività legislativa nella materia in oggetto, all'esercizio del quale potere delegatorio il Parlamento era nuovamente chiamato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge 31 luglio 1954, n. 570 (restituzione dell'imposta generale sull'entrata sui prodotti esportati ed istituzione di un diritto compensativo sulle importazioni), proposta, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, con ordinanza 5 gennaio 1968 della Corte d'appello di Napoli.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

 

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1969.