Sentenza n. 117 del 1969
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SENTENZA N. 117

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI 

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ 

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI 

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO 

Dott. Luigi OGGIONI 

Avv. Ercole ROCCHETTI 

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI 

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge 2 agosto 1897, n. 382, contenente provvedimenti per la Sardegna, promosso con ordinanza emessa il 1 febbraio 1968 dal pretore di Sassari nel procedimento penale a carico di Pirastru Antonio Maria Giorgio, iscritta al n. 48 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 dell'11 maggio 1968.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 maggio 1969 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con verbale del 5 luglio 1966 i carabinieri di Nulvi elevavano a carico di Pirastru Antonio Maria Giorgio la contravvenzione prevista e punita dagli artt. 10 e 15 del regio decreto 14 luglio 1898, n. 404, che approva il regolamento per la repressione dell'abigeato e del pascolo abusivo in Sardegna, per aver omesso di esibire agli agenti della forza pubblica, che ne avevano fatto richiesta, i bollettini relativi ad alcuni capi di bestiame ovino e bovino da lui condotti al pascolo. Con sentenza istruttoria del 7 giugno 1967 il pretore di Sassari dichiarava non doversi procedere contro il Pirastru in ordine alla contravvenzione contestata ritenendo che il fatto non costituisse reato. E ciò in quanto il citato regolamento é da considerarsi atto amministrativo illegittimo nella parte in cui (art. 15) prevede la sanzione di cui all'art. 434 del Codice penale (Zanardelli) per la violazione di norme create dallo stesso regolamento; l'art. 3, n. 3, della legge di delega 2 agosto 1897, n. 382, invero, non prevedeva la sanzione di cui all'art. 434, ma solo le pene indicate dagli articoli 424 e 426 dello stesso Codice, si che il Governo aveva ecceduto dai limiti della delega conferitagli.

Contro tale sentenza proponeva appello il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Sassari sostenendo, per contro, la piena legittimità del regolamento.

Con sentenza del 17 agosto 1967 il giudice istruttore, in accoglimento dell'appello, annullava la sentenza ordinando la restituzione degli atti allo stesso pretore per l'ulteriore corso del procedimento a carico dell'imputato.

Con ordinanza 1 febbraio 1968, pronunciata in udienza, il pretore - in accoglimento dell'eccezione sollevata dalla difesa dell'imputato - ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge delegante del 1897 in riferimento all'art. 25, comma secondo, della Costituzione osservando, in punto di rilevanza della proposta questione, che l'applicabilità del regolamento esecutivo di cui al regio decreto n. 404 del 1898 dipende dalla legittimità costituzionale della legge autorizzativa. Rileva poi l'ordinanza che la norma impugnata sarebbe in contrasto col precetto costituzionale che riserva esclusivamente al legislatore l'esercizio della potestà punitiva sia perché attribuì all'esecutivo un potere discrezionale in materia penale delegandogli la facoltà di emanare con regolamenti precetti penalmente sanzionati senza dettare alcun criterio al quale l'esecutivo dovesse attenersi in ordine alla specificazione dei singoli elementi della fattispecie di reato che avrebbero dovuto essere configurate; sia perché conferì al Governo la facoltà di emanare regolamenti che prevedessero illeciti configurabili come delitti e come contravvenzioni, ma nel far ciò, lasciò arbitro il Governo, per quanto attiene ai delitti, di scegliere discrezionalmente tra le pene previste dall'art. 424 e quelle contemplate dall'art. 426 del Codice Zanardelli, mentre, per quanto riguarda le contravvenzioni, non fissò alcun criterio, neppure di massima, che delimitasse il potere del Governo in ordine alla determinazione della misura della pena.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 dell'11 maggio 1968.

Nel presente giudizio la parte privata non si é costituita. É, invece, intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con deposito di atto di intervento in cancelleria in data 23 marzo 1968.

Osserva l'Avvocatura, che le disposizioni di cui al regolamento del 1898 non hanno l'asserita natura esecutiva, ma appartengono alla cosiddetta categoria dei regolamenti delegati, cui era riconosciuta, prima della riforma costituzionale repubblicana, l'intrinseca potenzialità di innovare le norme fissate con disposizioni primarie. In base all'ordinamento costituzionale del tempo in cui fu emanato il regolamento in esame deve quindi, ritenersi atto avente forza di legge e conseguentemente, ove la Corte ne fosse stata investita, avrebbe potuto occuparsi dell'esame di costituzionalità delle sue norme. Riguardo all'imputazione contestata al Pirastru - omessa esibizione agli agenti della forza pubblica della ricevuta o dei bollettini relativi al bestiame (art. 10) - l'Avvocatura nota che trattasi di ipotesi contravvenzionale, consistente nell'inosservanza di un provvedimento legalmente dato dall'autorità competente per ragioni di pubblica sicurezza, già prevista dall'art. 434 del Codice del tempo. Anche prescindendo dalla delega contenuta nell'art. 3, n. 3, della legge n. 382 del 1897, l'ipotesi contravvenzionale contestata si sarebbe potuta ravvisare in ogni caso, in base alla semplice sussistenza del precetto dell'art. 10 del regolamento, precetto la cui formulazione appariva indipendente da qualsiasi attribuzione di facoltà da parte del legislatore al Governo.

Passando poi all'esame della questione di costituzionalità nei termini proposti dal giudice a quo, l'Avvocatura osserva che trattasi di questione che va riguardata dall'angolo visuale dell'ordinamento del tempo in cui fu emanata la legge delegante.

Prima dell'entrata in vigore della Costituzione, pur essendo affidata al legislativo, come facoltà originaria, la potestà di stabilire reati e pene, si poteva con i cosiddetti regolamenti delegati attribuire all'esecutivo la competenza permanente di regolare una data materia con norme prevalenti alle leggi di emanazione parlamentare. Nel caso di specie il legislatore confermando al Governo la potestà di creare norme giuridiche ne ha limitato però la sanzione entro certe pene poste a disposizione dall'esecutivo e quindi a maggior ragione deve riconoscersi la legittimità della norma impugnata.

Conclude, pertanto, l'Avvocatura chiedendo che la Corte voglia dichiarare infondata la proposta questione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza in epigrafe viene sollevata, in riferimento all'art. 25, comma secondo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge 2 agosto 1897, n. 382, portante provvedimenti per la Sardegna, con il quale fu "data facoltà al Governo di provvedere con speciali regolamenti alla repressione dell'abigeato, del pascolo abusivo e dei danneggiamenti alle private proprietà, con facoltà di comminare sia la confisca degli animali trovati in contravvenzione, come le pene stabilite dagli artt. 424 e 426 del Codice penale". Secondo il giudice a quo la norma impugnata avrebbe violato il principio della riserva di legge in materia penale per aver lasciato all'esecutivo larghi poteri, sia in ordine alla configurazione dei singoli reati, sia in ordine alla scelta e determinazione delle pene che avrebbero dovuto essere comminate per le trasgressioni delle norme regolamentari emanande. E in conseguenza di ciò, il Governo, con il regolamento approvato con il regio decreto 14 luglio 1898, n. 404, poté arbitrariamente scegliere, per quanto attiene ai delitti, tra le sanzioni previste dagli artt. 424 e 426 del codice del 1889 e far ricorso, per ipotesi di reati contravvenzionali, alla pena stabilita dall'art. 434 non citato nella legge di autorizzazione. In punto di rilevanza dell'indicata questione il pretore di Sassari osserva che nel giudizio dinanzi ad esso pendente deve stabilirsi se l'imputato debba o meno rispondere della contravvenzione prevista e punita dagli artt. 10 e 15 del regolamento del 1898, emanato in forza della ripetuta delega, e pertanto l'applicabilità di dette norme dipende dalla legittimità costituzionale della legge autorizzativa.

2. - La questione sottoposta all'esame della Corte é analoga a quella decisa con sentenza n. 73 del 1968 sicché i motivi esposti in quella occasione valgono a risolvere puntualmente l'attuale giudizio.

Anche nel presente caso sia la legge impugnata, sia il regolamento che da essa ha tratto origine sono stati emanati in epoca anteriore all'entrata in vigore della vigente Carta costituzionale, e la questione non verte sul punto se la norma denunciata, in quanto attribuisce all'esecutivo un potere normativo in materia penale, abbia o non violato il sistema di competenze previsto dall'ordinamento costituzionale del tempo, ma se possa o meno considerarsi conforme al precetto della riserva di legge sancito dalla nuova Costituzione.

Nei termini indicati, e in relazione allo scopo per il quale figura proposta, la questione é manifestamente irrilevante. Quand'anche la Corte ritenesse che la norma autorizzante contenuta nella legge n. 382 del 1897, avuto riguardo alla ampiezza dei poteri conferiti all'esecutivo, sia in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale non produrrebbe quegli effetti in considerazione dei quali la questione é stata proposta.

Si tratterebbe invero d'illegittimità sopravvenuta e per conseguenza la pronuncia d'incostituzionalità non potrebbe avere alcuna incidenza sulla validità o legittimità di atti che siano stati emanati - e tale é il caso del regolamento n. 404 del 1898 - nell'esercizio del potere conferito alla norma autorizzante in epoca anteriore all'entrata in vigore della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge 2 agosto 1897, n. 382, "portante provvedimenti per la Sardegna" sollevata dal pretore di Sassari con ordinanza 10 febbraio 1968, in riferimento all'art. 25, comma secondo, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1969.