Sentenza n. 115 del 1969
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SENTENZA N. 115

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, n. 2, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, istitutiva dell'Ente nazionale per l'energia elettrica (E.N.E.L.), e dell'art. 2 del D.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138, recante norme relative agli indennizzi da corrispondere alle imprese assoggettate a trasferimento all'E.N.E.L., promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 1967 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra la società "Casauria di elettricità" e l'E.N.E.L., iscritta al n. 172 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 2 settembre 1967.

Visti gli atti di costituzione della società Casauria e dell'E.N.E.L., e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del Giudice Angelo De Marco;

uditi gli avvocati Arturo Carlo Jemolo e Domenico Passeri, per la società Casauria, l'avv. Mario Nigro, per l'E.N.E.L., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1963, n. 1096, veniva disposto il trasferimento all'E.N.E.L. della impresa "Casauria di elettricità", con sede in Roma, società con il capitale sociale di lire 64.000, tenuta alla formazione del bilancio ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, le di cui azioni non erano quotate in Borsa.

Con deliberazione 29 ottobre 1964, n. 1753, il Consiglio di Amministrazione dell'E.N.E.L. determinava in L. 2.933.456 l'indennizzo spettante alla società, in applicazione del criterio fissato dall'art. 5, n. 2, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, sulla nazionalizzazione delle industrie elettriche.

Esperito senza successo il ricorso in via amministrativa, preveduto dall'art. 5, n. 5, della legge n. 1643 del 1962, la società "Casauria" conveniva l'E.N.E.L. davanti al tribunale di Roma, chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di lire 38.000.000, in via principale, a titolo di indennità di espropriazione, in via subordinata a titolo di indennizzo "per l'ingiustificato arricchimento dell'E.N.E.L. per il trasferimento in suo favore del patrimonio aziendale... con l'irrisorio indennizzo presso che inesistente".

Il tribunale adito, con ordinanza 14 aprile 1967, accogliendo analoga istanza del patrocinio della società "Casaria", ritenuta rilevante ai fini del giudizio davanti ad esso instaurato e non manifestamente infondata, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, n. 2, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e dell'art. 2 del D.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138, in riferimento agli artt. 42, terzo comma e 3, primo comma, della Costituzione.

Rilevava al riguardo il tribunale:

che era premessa inoppugnabile di fatto l'avvenuta liquidazione dell'indennizzo complessivo - per il trasferimento dell'impresa elettrica in questione - in una somma (lire 2.933.456) di poco superiore a quella di lire 2.585.509 trovata in cassa al momento dell'esproprio e passata all'E.N.E.L. insieme con gli impianti e con ogni altro bene, i quali avrebbero un valore effettivo non inferiore a lire 40 milioni;

che la normativa riguardante la liquidazione della indennità di espropriazione per le imprese che siano tenute alla formazione del bilancio, ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, indiscriminatamente riferita a tutte le società che vi rientrano e, quindi, anche a quelle di dimensioni economiche minime può condurre - a danno di questa categoria di società - a risultati sommamente iniqui, in sede di liquidazione dell'indennizzo, riducendole (come nel caso di specie é avvenuto) a livello meramente simbolico;

che il rilevato inconveniente induce a dubitare della legittimità costituzionale delle indicate norme, in quanto esse - - non ponendo alcuna discriminazione per la società di proporzioni minime - appaiono in contrasto con il precetto costituzionale che vieta di espropriare i beni senza indennizzo (é noto che tale non può essere considerato un indennizzo irrisorio e simbolico) ed anche con l'altro precetto che impone la parità di trattamento giuridico (che é uno degli aspetti dell'eguaglianza di tutti di fronte alla legge).

Dopo le pubblicazioni, notificazioni e comunicazioni di legge, il giudizio, come sopra promosso, viene ora alla cognizione della Corte.

Si sono costituiti da un lato la società "Casauria" e dall'altro l'E.N.E.L. ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Con la memoria di costituzione, il patrocinio della società "Casauria", richiamandosi alle argomentazioni dell'ordinanza di rinvio, chiede che venga dichiarata fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale.

Alla sua volta, il patrocinio dell'E.N.E.L. chiede che tale questione venga dichiarata non fondata, deducendo, in sostanza, quanto segue:

Il tribunale si é manifestamente lasciato suggestionare dalla premessa "inoppugnabile" di fatto che il patrocinio della società "Casauria", molto abilmente ha posto a base della sollevata questione di legittimità costituzionale.

Non ha, così, indagato sulle vere cause che, nella specie, hanno determinato la liquidazione di una indennità di espropriazione apparentemente irrisoria.

Se, invece, a tale indagine avesse proceduto, avrebbe accertato che il criterio di liquidazione di tale indennità adottato dal legislatore, oggettivamente considerato, é ineccepibile e non può dar luogo agli inconvenienti lamentati.

Se nella specie si é pervenuti ad un risultato che può apparire irrazionale e iniquo, ciò é dipeso dal fatto che la società non aveva curato di aggiornare i propri connotati sociali e le proprie scritture contabili per il semplice fatto che la forma societaria era ritenuta una semplice e comoda (soprattutto per fini fiscali) etichetta dietro la quale si celava, prima l'unica proprietà dell'ing. Salvatore Passeri e poi la comunione familiare tacita esistente tra i di lui figli ed eredi.

Infine anche l'Avvocatura generale dello Stato, con memoria d'intervento, chiede, nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri, che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata infondata, in quanto, non dal criterio di determinazione fissato con le norme impugnate, ma dalla voluta insincerità del bilancio é dipesa la "irrisorietà" della indennità di espropriazione liquidatale, che la società "Casauria" lamenta.

Con un'ampia e dettagliata memoria, depositata il 27 febbraio 1969, integrata ulteriormente con nota depositata il 21 aprile 1969, il patrocinio della società "Casauria" insiste nel sostenere la fondatezza della questione sollevata con l'ordinanza di rinvio.

Attraverso un'analisi approfondita dei particolari tecnici dei bilanci della società, con azioni non quotate in borsa, si giunge alla conclusione, convalidata anche dall'allegato parere di un tecnico della materia, che tali bilanci per la loro strutturazione non sono assolutamente idonei a fornire gli elementi necessari per una attendibile determinazione del valore patrimoniale effettivo dell'azienda, cui si riferiscono.

Poste in rilievo le notevoli differenze che esistono con i bilanci delle società con azioni quotate in borsa, attraverso i quali, sulla base della concreta quotazione delle azioni stesse si può avere uno specchio fedele della reale consistenza patrimoniale delle società cui si riferiscono, si sostiene che l'aver posto a base, per la determinazione dell'indennità di espropriazione, tanto per le società con azioni quotate in borsa, quanto per quelle con azioni non quotate in borsa, i relativi bilanci, le cui risultanze sono tanto difformi, basta a porre in essere una grave disparità di trattamento, che si risolve in una violazione del principio di eguaglianza.

Non solo, ma per la inidoneità a fornire attendibili elementi di valutazione i bilanci delle società con azioni non quotate in borsa, rendono normalmente possibili la determinazione di indennità di espropriazione talmente irrisorie, da rendere palese la violazione del principio sancito dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Né tale disparità di trattamento va eliminata con l'applicazione a favore delle società non quotate del coefficiente di rettifica 1,31037. A parte il fatto che il predetto coefficiente é stato determinato da una media statistica, inidonea a dare il valore degli elementi patrimoniali delle imprese dai dati delle quali la media stessa é stata ricavata, é da considerare che, in sostanza, le non "quotate" vengono in tal modo livellate ad un comune denominatore: a parità di capitale netto tutte le imprese sono indennizzate nella stessa misura. Onde, al posto di valutazioni da effettuarsi caso per caso viene introdotta una valutazione per categoria che é contraria non soltanto ad ogni principio estimativo, ma allo stesso principio della parità di trattamento.

Giacché le altre imprese vengono, infatti, valutate singolarmente, e dalla borsa se "quotate" o dall'ufficio tecnico erariale se indennizzate a stima.

Che ciò avvenga di regola e che quello della società "Casauria" non rappresenti un caso limite, sarebbe dimostrato dal fatto che già da tempo autorevoli parlamentari si sono resi promotori di una proposta di legge, attualmente all'esame del Parlamento, con la quale si dovrebbe provvedere alla adozione di criteri di valutazione, che meglio rispecchino il reale valore delle aziende del genere, soggette ad espropriazione.

A confutazione, infine, delle argomentazioni al riguardo del patrocinio dell'E.N.E.L. e dell'Avvocatura dello Stato, si deduce che, ben lungi dall'essere stato comunque falsato, il bilancio della società "Casauria" é stato formato con l'esatta e scrupolosa osservanza delle norme di legge e senza alcun intendimento e tanto meno realizzazione di frode fiscale.

Alla sua volta, il patrocinio dell'E.N.E.L., con le memorie depositate il 27 febbraio 1969 e il 24 aprile 1969 - questa ultima confortata dalla collaborazione di altro esperto - insiste nel chiedere che la sollevata questione di legittimità costituzionale venga dichiarata infondata.

Alle già riportate argomentazioni, se ne aggiungono altre attraverso le quali si tende a dimostrare che anche per le società con azioni non quotate in borsa, attraverso un bilancio veritiero, si può giungere ad una determinazione esatta del valore aziendale, che costituisce elemento pienamente soddisfacente per addivenire ad una equa liquidazione della indennità di espropriazione.

Si ripete, quindi, che se nella specie ciò non é avvenuto lo si deve al comportamento dei soci che hanno ritenuto più comodo un bilancio addomesticato.

Altrettanto, in sostanza, deduce l'Avvocatura dello Stato, con una memoria depositata anche il 27 febbraio 1969, con la quale, nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri, si chiede che la proposta questione di legittimità costituzionale venga dichiarata non fondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Come si é posto in rilievo in narrativa, con l'ordinanza di rinvio viene sottoposta all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, n. 2, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643 ("Istituzione dell'Ente nazionale dell'energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche") e dell'art.2 del D.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138 ("Norme relative agli indennizzi da corrispondere alle imprese assoggettate al trasferimento all'E.N.E.L.") sotto il duplice profilo della violazione del principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione) e della violazione del principio di indennizzo per le espropriazioni per pubblico interesse (art. 42, terzo comma, della Costituzione).

Più precisamente il giudice a quo: ritenuto essere "premessa inoppugnabile di fatto" quella sulla quale poggiava la prospettazione della questione da parte della Società attrice e cioé "dell'avvenuta liquidazione dell'indennizzo complessivo - per il trasferimento della sua impresa elettrica - in una somma (lire 2.933.456) di poco superiore a quella di lire 2.585.509, trovata in cassa al momento dell'esproprio e passata all'E.N.E.L. insieme con gli impianti e con ogni altro bene, i quali avrebbero un valore effettivo non inferiore a lire 40.000.000"; ritenuto, altresì, che la normativa riguardante l'indennizzo per le imprese assoggettate a trasferimento, tenute alla formazione del bilancio ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, ma con azioni non quotate in borsa e le modalità di determinazione, per le medesime imprese, del coefficiente di rettificazione dell'indennizzo, indiscriminatamente riferita a tutte le società rientranti nella classificazione e, quindi, anche a quelle minime, può condurre a danno di questa categoria di società a risultati sommamente iniqui in sede di liquidazione di indennizzo, riducendolo (come nel caso di specie é avvenuto) a livello simbolico;

tanto ritenuto, il detto giudice a quo, considerato che il segnalato inconveniente induceva a dubitare della legittimità costituzionale delle indicate norme, sotto i profili sopra specificati, dichiarava non manifestamente infondata la prospettata questione.

2. - Così chiariti i termini della controversia, non si può non osservare, in via preliminare, senza con ciò anticipare la soluzione definitiva, che il convincimento del giudice a quo é stato indubbiamente ed in modo decisivo determinato dalla suggestiva impostazione di quella che nella ordinanza di rinvio é definita "inoppugnabile premessa di fatto" e che in termini poveri, ma altrettanto suggestivi, può tradursi nei seguenti drastici termini: in sostanza l'E.N.E.L. con l'esborso di una cifra lievemente superiore a quella trovata in cassa, al momento del trapasso di possesso, si é appropriata di una azienda del valore di circa 40 milioni!

Ora, in primo luogo, l'importo del fondo di cassa, esistente all'atto dell'effettivo passaggio di proprietà, non ha, indubbiamente, quella suggestiva rilevanza, che, prima facie, é sembrato potervisi attribuire:

a parte la considerazione che la voce "cassa" rappresenta soltanto una posta del bilancio, precisamente un elemento attivo della consistenza patrimoniale, e non é certamente da confondere con qualsiasi altro termine - "utile" "avanzo", "reddito", "attivo", risultante dalla differenza tra gli elementi attivi e passivi che compongono il bilancio, sta di fatto che L'E.N.E.L., nell'ultima memoria difensiva, in base alle sue scritture contabili, ha eccepito che di fronte a quel fondo di cassa, esistevano ed ha dovuto assumere a suo carico passività di gran lunga superiore (lire 13.532.186).

É significativo che nulla, al riguardo, ex adverso é stato opposto e che, anzi, l'argomento, cui pure tanto rilievo era stato attribuito, non soltanto nell'ordinanza di rinvio, ma anche nella memoria di costituzione, nella memoria conclusiva e nella discussione orale é completamente ignorato. D'altra parte il valore di lire 40.000.000 dell'azienda in questione, che nell'ordinanza di rinvio sembra quasi un dato certo, non solo non é affatto dimostrato, neppure con i normali criteri di stima, ma, sempre nella sopra richiamata memoria dell'E.N.E.L., in base alle risultanze di bilancio, appare ridimensionato nei limiti corrispondenti all'indennità liquidata.

3. - Ricondotta così la questione nei suoi termini giuridici, resta da accertare se la normativa, contenuta nell'art. 5 della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e nell'art. 2 del D.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138, violi il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione) e quello di indennizzo (art. 42, terzo comma, della Costituzione), avvertendo che, pur essendo stato denunziato con l'ordinanza di rinvio il solo n. 2 dell'art. 5 della legge n. 1643 del 1962, é tutto il sistema della legge che, in sostanza, viene messo in discussione e che, in conseguenza, tale sistema va esaminato nel suo insieme, al quale fine appare opportuno iniziare l'esame del profilo della violazione del principio di eguaglianza, in quanto tale profilo, come si vedrà, finisce con l'assorbire quello della violazione del principio di indennizzo, anzi, addirittura ad identificarsi con esso.

4. - Il sistema adottato dal legislatore, con l'art. 5 della legge n. 1643 del 1962, per determinare l'indennizzo da corrispondere dall'E.N.E.L. agli aventi diritto, nelle sue linee generali é il seguente:

a) per le imprese assoggettate a trasferimento, appartenenti a società con azioni ammesse alle quotazioni in borsa, l'indennizzo é determinato in misura pari alla media dei valori del capitale della società, quale risulta dai prezzi di compenso delle azioni nella borsa di Milano, oppure, se ivi non sono quotati, nella borsa più vicina alla sede della società emittente, nel periodo dal 1 gennaio 1959 al 31 dicembre 1961 (art. 5, n. 1);

b) per le imprese assoggettate a trasferimento, che non abbiano azioni quotate in borsa, ma siano tenute alla formazione del bilancio, ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, l'indennizzo é determinato in misura pari all'importo del capitale netto risultante dai bilanci al 31 dicembre 1960, rettificato in base ai coefficienti dedotti dalle valutazioni dei capitali delle società con azioni quotate in borsa (art. 5, n. 2);

c) per le imprese assoggettate a trasferimento, diverse da quelle sub a) e sub b) l'indennizzo é determinato in base al valore di stima (art. 5, n. 4).

Questo sistema é, poi, integrato dal decreto del Presidente della Repubblica 25 febbraio 1963, n. 138, con il quale si statuisce:

a) che la media del valore del capitale delle società con azioni quotate in borsa, di cui all'art. 5, n. 1, della legge n. 1643 del 1962, si determina tenendo conto delle rettifiche per operazioni di aumento di capitale a pagamento e di rimborso di capitale od altre operazioni che possano avere avuto incidenza sul valore del capitale stesso, intervenute nel periodo 1 gennaio 1959-31 dicembre 1961 (art. 1);

b) che, per le imprese assoggettate a trasferimento di cui all'art. 5, n. 2, della legge n. 1643 del 1962 il coefficiente di rettificazione del capitale netto ai sensi di detto art. 5, n. 2, risulta dal rapporto tra la somma dei valori dei capitali delle imprese determinati come sub a) e la somma dei capitali netti delle imprese stesse quali si rilevano dai bilanci al 31 dicembre 1961, redatti in conformità con la legge 4 marzo 1958, n. 191 (art. 2);

c) che per le imprese ed i beni non contemplati sub a) e sub b) l'indennizzo é liquidato in relazione al valore di stima determinato dagli uffici tecnici erariali, competenti per territorio, che debbono tener conto dei valori desumibili dalle scritture contabili al 31 dicembre 1960, regolarmente tenute, in conformità con le vigenti disposizioni legislative nonché dei criteri adottati per le imprese di cui al n. 2 dell'art. 5 della legge n. 1643 del 1962 e che, in mancanza di scritture contabili, si tiene conto di ogni altro elemento di valutazione (art. 3).

Dall'insieme delle riportate norme si può ben ritenere che risulti, con sufficiente certezza, come il legislatore, distinti, con criteri obbiettivi, che non lasciano alcun margine di dubbio, in quanto ne riflettono le caratteristiche giuridiche ed organiche, in tre categorie i soggetti aventi diritto ad indennizzo, abbia avuto cura di adottare un criterio di liquidazione di tale indennizzo che, sia pure con opportuni adattamenti, assicurasse, nei limiti del possibile, un trattamento uniforme alle tre suddette categorie di soggetti.

Poiché di queste categorie, due, che sono poi le più importanti e numerose, hanno l'obbligo di redigere il bilancio annuale, bilancio in base al quale, si noti bene, sono effettuati gli accertamenti fiscali, e la terza ha, quanto meno, l'obbligo di regolare tenuta dei libri e delle relative scritture contabili, appare evidente come il criterio, che, prima facie, si presentava quale il più adatto e razionale, fosse proprio quello di porre a base, per la determinazione degli indennizzi, appunto le risultanze dei bilanci e, comunque, delle scritture contabili.

D'altra parte, poiché é innegabile la differenza giuridica ed economica tra società con azioni quotate in borsa, società con azioni non quotate in borsa ed altri soggetti diversi dai precedenti e, comunque, non aventi obbligo di redigere il bilancio, per meglio assicurare la uniformità di trattamento tra le suddette categorie di aventi diritto all'indennizzo si é adottato quel coefficiente di rettificazione di cui all'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 138 del 1963, applicabile ai sensi dell'art. 3 dello stesso decreto legge anche ai soggetti per i quali la determinazione dell'indennizzo é effettuata attraverso stima da parte dell'ufficio tecnico erariale.

Che, in astratto, il sistema adottato dal legislatore risulti idoneo ad assicurare uniformità di criterio di liquidazione dell'indennizzo e, in conseguenza, parità di trattamento per tutti i soggetti che vi abbiano diritto, a qualunque delle tre categorie sopra distinte essi appartengano, non può seriamente essere contestato.

Non é, al riguardo, fuor di luogo rilevare che, in sostanza, quel sistema non é nuovo nella nostra legislazione in quanto risulta già adottato dall'art. 2437 del Codice civile del 1942, che, disciplinando l'esercizio del diritto di recesso da parte dei soci, contempla le due ipotesi di società con azioni quotate in borsa e società con azioni non quotate, disponendo, per questa seconda ipotesi, che al socio recedente compete il rimborso delle proprie azioni, in proporzione al patrimonio sociale risultante dal bilancio dell'ultimo esercizio.

Né si opponga che la regola dell'art. 2437 ha un suo particolare fine di compromesso e non é applicabile come regola generale, argomentando l'art. 11 della legge n. 1643 del 1962, che disciplina l'esercizio del diritto di recesso del socio di una società assoggettata a trasferimento, per la quale entro il 30 giugno 1964 l'assemblea straordinaria dei soci abbia deliberato il cambiamento dell'oggetto.

Proprio l'art. 11 sopracitato, infatti, conferma la persistente validità di quella regola, essendo manifestamente diretto ad evitare soltanto la immediata ed integrale esigibilità di un credito, che per l'avvenuto trasferimento, é condizionato al pagamento dell'indennizzo da parte dell'E.N.E.L. alla società espropriata.

D'altra parte, sempre in astratto, ammesso e non concesso che potesse concepirsi, nonostante il coefficiente di rettificazione di cui sopra si é detto, una disparità di trattamento tra le tre diverse categorie di aventi diritto all'indennizzo, non é concepibile - e l'ordinanza di rinvio non lo spiega - che tale disparità possa verificarsi tra grandi e piccole imprese, appartenenti alla stessa categoria, per le quali assolutamente identici sono i criteri di liquidazione; in tal caso infatti - e ciò va detto con particolare riguardo alle imprese di cui all'art. 5, n. 2, della legge del 1962, n. 1643 - proprio applicando un unico criterio si attua la parità giuridica di trattamento, giacché l'ammontare dell'indennizzo verrà a determinarsi, in concreto, sulla base delle risultanze di ogni singolo bilancio, nel senso che variando queste varierà, di conseguenza, quello.

Può, dunque, escludersi che nel sistema sopra descritto ed esaminato possa ravvisarsi violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione.

5. - Resta, quindi, da accertare se nell'applicazione concreta di quel sistema si possa pervenire alla determinazione di indennizzi talmente esigui da risultare addirittura irrisori o simbolici; comunque tali da risultare in contrasto con il terzo comma dell'art. 42 della Costituzione, in forza del quale "la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e, salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale".

Che l'indennizzo debba essere effettivo e non meramente simbolico é chiaro, ma é chiaro altresì, che, specie quando ci si trova di fronte ad espropriazioni di vasta portata e che riguardano numerosi soggetti il legislatore debba fare ricorso a criteri di valutazione generali ed obbiettivi, dai quali esula, bensì, ogni discrezionalità, ma che, per la stessa loro natura, non possono condurre alla determinazione di un indennizzo che rispecchi integralmente il valore del bene espropriato (vedi: legge 15 gennaio 1885, n. 2892 sul risanamento della città di Napoli; legge 12 maggio 1950, n. 230: Provvedimenti per la colonizzazione dell'altopiano della Sila e dei territori jonici contermini; legge 18 aprile 1962, n. 167: Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare, quale risulta modificata dalla legge 21 luglio 1965, n. 904).

Il concetto di indennizzo in tali ipotesi, alle quali quella in esame ben può essere parificata, é venuto, quindi, a qualificarsi con le espressioni di "congruo", "equo" e simili, che stanno a significare come non debba essere tale da reintegrare completamente il patrimonio dell'espropriato, al quale, nell'interesse generale, ben può essere imposto un certo sacrificio, ma non rappresenti, d'altra parte una mera lustra.

Chiarito, in tal modo, quale debba essere il concetto di indennizzo conforme al precetto costituzionale, deve escludersi che, nonostante le contrarie e contrastanti opinioni dei tecnici della materia, un bilancio, compilato con la esatta osservanza delle norme di legge, non possa consentire una valutazione della consistenza patrimoniale dell'ente, cui si riferisce, che rientri in quei limiti di congruità o di equità, cui sopra si é accennato.

D'altra parte tutti gli enti aventi l'obbligo di bilancio, in base al bilancio stesso sono soggetti all'accertamento del reddito da sottoporre alle imposte dirette.

Imputet sibi, quindi, chi avendo compilato un bilancio non veritiero ed avendo, in base a quel bilancio, subito l'accertamento fiscale, si vede, poi, sempre in base a quello stesso documento, da lui proveniente, valutare, eventualmente ad altri fini, il suo patrimonio in misura inferiore a quella da lui ritenuta esattamente rimunerativa.

A ciò aggiungasi che nella specie la determinazione dell'indennizzo non é stata effettuata sulla base dei bilanci presentati ai fini fiscali, ma di quelli compilati ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, nei quali le imprese potevano contabilizzare plusvalenze di capitale anche oltre i limiti di quelle ammesse agli effetti fiscali a titoli di riserva per conguaglio monetario (v. prospetto "Stato patrimoniale al 31 dicembre 19..." allegato alla citata legge n. 191). E se é vero che la contabilizzazione di quelle plusvalenze non era obbligatoria é altrettanto vero che essa non era vietata: con il che si vuole dire, in sostanza, che gli effetti derivanti e derivati dalla compilazione dei bilanci sono imputabili, se non favorevoli, esclusivamente alle imprese interessate.

Le considerazioni che precedono circa il concetto di congruo indennizzo bastano anche a dimostrare l'inconsistenza delle critiche mosse al coefficiente di integrazione ed alla sua effettiva capacità di raggiungere, in misura eguale per tutti, lo scopo voluto dal legislatore.

Si tratta, invero, di un coefficiente desunto da una media, come tale insuscettibile di fornire una integrazione completa ma non perciò inidoneo alla funzione perequativa, per la quale é stato istituito.

Comunque, in concreto, tale coefficiente é valso a fare aumentare di un terzo l'indennizzo liquidato, in base al suo bilancio, alla Casauria.

Anche sotto il profilo del contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, la sollevata questione risulta, quindi, infondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, n. 2, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, recante "Istituzione dell'Ente nazionale dell'energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche", e dell'art.2 del decreto del Presidente della Repubblica 25 febbraio 1963, n. 138, contenente "Norme relative agli indennizzi da corrispondere alle imprese assoggettate al trasferimento all'E.N.E.L.", proposta con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo comma e 42, terzo comma della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1969.