Sentenza n. 77 del 1969
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SENTENZA N. 77

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 del regio decreto legge 29 luglio 1927, n. 1509 (provvedimenti per l'ordinamento del credito agrario), convertito in legge 5 luglio 1928, n. 1760, e successive modificazioni, e degli artt. 15, primo e secondo comma, e 16, secondo, terzo e quarto comma, della legge 21 luglio 1960, n. 739 (provvidenze per le zone agrarie danneggiate da calamità naturali e provvidenze per le imprese industriali), promosse con ordinanza emessa il 27 giugno 1967 dal tribunale di Matera nel procedimento civile vertente tra Torre Angela e altri ed il Banco di Napoli e altri, iscritta al n. 193 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del 14 ottobre 1967.

Visti gli atti di costituzione di Torre Angela ed altri e del Banco di Napoli, e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 12 marzo 1969 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;

uditi l'avv. Giuseppe Tosatti, per Torre ed altri, l'avv. Leopoldo Piccardi, per il Banco di Napoli, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albissini, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Angela Torre e altri avevano concesso in locazione, nel 1961, a Giuseppe Dilengite un fondo rustico denominato Matina Soprana in tenimento di Grottale (Matera) per la durata di due anni; in seguito al decesso del Dilengite, la locazione era stata convenzionalmente prorogata con gli eredi fino al 15 agosto 1964. Cessato il rapporto coi Dilengite, una parte del fondo veniva data in locazione ad Antonio Leone e altri, e la restante parte a Nicola Ludovico, per la durata di sei anni.

Con citazione notificata il 12-14 giugno 1965 i predetti proprietari Torre ed i locatari Leone e Ludovico, premesso di essere venuti a conoscenza che i Dilengite avevano ottenuto da vari istituti esercenti il credito agrario, in relazione al fondo Matina Soprana, prestiti di conduzione per ingenti importi ed anche con scadenza successiva alla durata del rapporto locativo di cui erano titolari, rilasciando cambiali agrarie rimaste in gran parte insoddisfatte, convenivano in giudizio i detti istituti di credito, per sentir dichiarare la inesistenza di qualsivoglia privilegio sui frutti del fondo, ad essi opponibile ai sensi dell'art. 8 del decreto legge 29 luglio 1927, n. 1509, convertito in legge 5 luglio 1928, n. 1760, modificato col decreto legge 29 luglio 1928, n. 2085, e disposizioni connesse. In linea subordinata si eccepiva l'illegittimità costituzionale delle dette disposizioni legislative, in riferimento agli artt. 3, 23 e 42 della Costituzione.

Il tribunale di Matera, con ordinanza 27 giugno 1967, riteneva non manifestamente infondata la questione solo rispetto all'art. 42 della Costituzione. Si osserva nell'ordinanza che, per effetto delle impugnate disposizioni, il proprietario, per il comportamento di un altro soggetto e senza il concorso della propria volontà, vede assoggettati i propri beni a un vincolo reale, e ristretta la sua facoltà di godimento, che, per l'art. 42 della Costituzione, può essere soppressa quando ricorrano "motivi di interesse generale", ma non può essere compressa o annullata per effetto del comportamento di un soggetto diverso dal proprietario. Se si ammette, anche alla stregua degli artt. 15 e 16 della legge 21 luglio 1960, n. 739, che ha consentito la rateizzazione dei prestiti, che il privilegio possa gravare sui frutti che, per l'avvenuta cessazione del rapporto locativo, non appartengono più al conduttore, non sembra infondata la tesi della violazione dell'art. 42 della Costituzione. L'ordinanza rimetteva pertanto a questa Corte la questione di legittimità costituzionale del citato art. 8 del regio decreto legge 29 luglio 1927, n. 1509, e degli artt. 15, primo e secondo comma, e 16, secondo, terzo e quarto comma, della legge 21 luglio 1960, n. 739, in riferimento all'art. 42 della Costituzione.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata.

Si sono costituiti nel presente giudizio i signori Torre, Leone e Ludovico, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Tosatti, con deduzioni depositate il 28 agosto 1967. In esse si premette che la giurisprudenza ritiene che il privilegio in questione può avere una durata superiore a quella del rapporto locativo che fa capo al debitore, con la conseguenza che può gravare su frutti che non appartengono più a quest'ultimo, senza che il proprietario possa impedire tali effetti. In ciò si ravvisa la violazione non solo dell'art. 42, ma anche degli artt. 3 e 23 della Costituzione.

Si é anche costituito il Banco di Napoli, rappresentato e difeso dall'avv. Leopoldo Piccardi, con deduzioni depositate il 28 agosto 1967, nelle quali si rileva preliminarmente che gli artt. 15 e 16 della legge 739 del 1960 non possono formare oggetto di sindacato sotto il profilo precisato dall'ordinanza, perché il loro contenuto é estraneo alla censura da questa presa in considerazione. Quanto all'art. 8 del regio decreto legge n. 1509 del 1927 si osserva che esso non viola l'art. 42 della Costituzione, il quale prevede limiti alla proprietà, allo scopo di assicurarne la funzione sociale, e va inteso in correlazione con le altre norme della Costituzione relative ai rapporti economici, nel cui quadro rientra la legislazione sul credito agrario.

Tali argomenti sono stati svolti in successiva memoria, nella quale si osserva che il proprietario si arricchirebbe ingiustamente se potesse far propri i frutti ottenuti con l'impiego di capitali anticipati da altri, senza sopportare alcun onere per il rimborso di essi. A sostegno della tesi della legittimità delle norme impugnate, in quanto incidono su un rapporto contrattuale, si ricorda la giurisprudenza della Corte relativa all'avviamento commerciale, alla proroga dei contratti di locazione, alla risoluzione di canoni e via dicendo. Per quanto riguarda la legge n. 739 del 1960 si insiste nel rilevare che non ha formato oggetto di autonoma impugnativa, e comunque, l'eccezione di illegittimità costituzionale sarebbe infondata, perché la ragione della legge, emanata per far fronte alle conseguenze di calamità naturali, giustifica i maggiori oneri che i proprietari sono chiamati a sostenere. É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'avvocato generale dello Stato, con atto depositato il 3 novembre 1967, in cui si rileva che la legislazione sul credito agrario investe un rilevante interesse pubblico, di stimolo e incentivo alla coltivazione dei terreni. L'art. 8 impugnato si armonizza con la funzione sociale della proprietà, essendo giustificabile che il privilegio, nel caso di mancata realizzazione del credito sui frutti dell'anno, si estenda sui frutti dell'anno successivo, alla cui realizzazione le somme erogate hanno contribuito. Ancora più evidente é questa giustificazione per la legge n. 739 del 1960, emanata in presenza di eccezionali momenti, e con esclusivo riferimento a zone agricole danneggiate da calamità naturali.

Nella discussione orale i difensori delle parti hanno sviluppato i rispettivi argomenti.

 

Considerato in diritto

 

1. - Per precisare i termini del giudizio, va osservato che l'ordinanza del tribunale di Matera ha rimesso a questa Corte la questione di legittimità costituzionale delle norme impugnate con riferimento all'art. 42 della Costituzione, ritenendola invece manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3 e 23 della Costituzione. Vanno perciò disattese le considerazioni svolte dalla difesa Torre, nell'atto di costituzione, a proposito di questi ultimi articoli.

Così determinato il thema decidendum, é da premettere che la legge 5 luglio 1928, n. 1760 (di conversione del D.L. 29 luglio 1927, n. 1509), regola le operazioni di credito agrario di esercizio, riguardanti: "1) i prestiti per la conduzione delle aziende agrarie e per la utilizzazione, manipolazione e trasformazione dei prodotti" (art. 2; le altre operazioni ivi considerate non concernono il presente giudizio). Per tali prestiti é stabilito che "avranno scadenza rispettivamente alla epoca del raccolto o della completa utilizzazione o trasformazione del prodotto" (art. 5). A garanzia dei detti prestiti, l'art. 8 dispone che essi "sono privilegiati sopra i frutti pendenti e quelli raccolti nell'anno della scadenza del prestito e sopra le derrate che si trovano nelle abitazioni e fabbriche annesse ai fondi rustici e provenienti dai medesimi". Tale privilegio compete all'Istituto mutuante "in confronto di chiunque possegga, coltivi e conduca il fondo entro l'anno in cui scade il prestito o la singola rata di esso. In caso di mancato o insufficiente raccolto il privilegio si trasferisce sui frutti dell'annata successiva; purché il debitore continui nella conduzione del fondo" (secondo comma dell'articolo, modificato dal decreto legge 29 luglio 1928, n. 2085).

Dalle riportate norme si evince che beneficiario del prestito é il conduttore dell'azienda, sia o non proprietario del fondo, e che formano oggetto del privilegio i frutti dell'anno di scadenza del prestito: scadenza che, per l'art. 5 innanzi riportato, si ha "all'epoca del raccolto o della compiuta utilizzazione del prestito". La garanzia del prestito é pertanto costituita, come esattamente si afferma nelle deduzioni del Banco di Napoli, da beni che sono stati prodotti con l'attività del debitore e con l'utilizzazione del prestito. La norma impugnata trova rispondenza nella norma generale dell'art. 2757 del Codice civile, per la quale i crediti per le somministrazioni e per i lavori di coltivazione e di raccolta dell'annata agricola hanno privilegio sui frutti, alla cui produzione abbiano concorso.

Trattasi di un privilegio di carattere reale, costituito per legge, rispetto al quale, per questa sua natura, non può invocarsi il principio della irrilevanza della res inter alios acta, e che può essere esercitato contro chiunque, per il diritto di seguito, proprio dei privilegi reali.

Non sussiste pertanto l'asserita violazione dell'art. 42 della Costituzione.

Né, a giudizio della Corte, può ravvisarsi violazione di tale articolo ove si ritenga, con la prevalente giurisprudenza, che la durata del privilegio corrisponda all'anno di calendario successivo alla scadenza del prestito, e che quindi possa essere esercitato sul raccolto di tale anno, anche nel caso che il debitore abbia precedentemente cessato la conduzione del fondo.

Va in proposito osservato che la disciplina del credito agrario é intesa al conseguimento dei fini di utilità sociale della produzione agricola e del suo incremento, rispetto ai quali si legittimano i limiti ed i vincoli della proprietà privata, inerenti alla "funzione sociale" di essa, e preordinati, per quanto riguarda la proprietà terriera, al fine di "conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali" (art. 44 della Costituzione).

La possibilità di far valere il privilegio nei confronti del terzo (proprietario o nuovo conduttore del fondo) corrisponde agli indicati scopi di interesse generale, di favorire il credito agrario, giacché, se la si escludesse, la garanzia del prestito potrebbe essere inoperante, e d'altronde l'utilità del suo impiego non si esaurisce con la produzione dei frutti dell'annata, potendo derivare da esso un vantaggio per la valorizzazione del fondo e la realizzazione dei frutti successivi.

É anche da tener presente che la legge contiene norme dirette ad assicurare che il prestito sia utilizzato per gli scopi per cui é concesso (artt. 7 e 10), e il regolamento di esecuzione stabilisce i mezzi idonei perché l'istituto di credito, nel concedere il prestito, accerti il titolo al quale il richiedente coltiva il fondo, con riferimento ai contratti che lo comprovino (d.m. 23 gennaio 1928, art. 1, lett. b).

2. - Gli artt. 15 e 16 della legge n. 739 del 1960 sono impugnati, sia nell'ordinanza che nell'atto di costituzione dei signori Torre, in quanto fanno riferimento all'art. 8 del decreto legge n. 1509 del 1927, e pertanto valgono per essi le ragioni innanzi esposte.

Va comunque considerato che la legge del 1960, riguardante determinate zone agricole, fu emanata per far fronte alle conseguenze di calamità naturali verificatesi in quell'anno, e ciò legittima, come questa Corte ha ritenuto in casi analoghi (sentenze n. 7 del 1956 e n. 8 del 1962), l'eventuale limitazione che da esse possa derivare ai diritti dei proprietari, anche in conformità al principio costituzionale della solidarietà sociale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 del regio decreto legge 29 luglio 1927, n. 1509 (Provvedimenti per l'ordinamento del credito agrario), convertito in legge 5 luglio 1928, n. 1760, e successive modificazioni, nonché degli artt. 15, primo e secondo comma, e 16, secondo, terzo e quarto comma, della legge 21 luglio 1960, n. 739 (Provvidenze per le zone agrarie danneggiate da calamità naturali e provvidenze per le imprese industriali), proposta con l'ordinanza del tribunale di Matera in epigrafe indicata, in riferimento all'art. 42 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria l'11 aprile 1969.