Sentenza n. 76 del 1969
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SENTENZA N. 76

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma secondo, del contratto collettivo nazionale 23 dicembre 1939, tuttora in vigore ex art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369, promosso con ordinanza emessa il 15 giugno 1967 dal tribunale di Belluno nel procedimento civile vertente tra Tisot Antonio e l'I.N.A.M., iscritta al n. 161 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 2 settembre 1967.

Visti gli atti di costituzione di Tisot Antonio e dell'I.N.A.M. e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 12 marzo 1969 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi gli avvocati Ugo Novelli e Agostino Perale, per il Tisot, l'avv. Arturo Carlo Jemolo, per l'I.N.A.M., ed il sostituto Avvocato generale dello Stato Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso d'un giudizio civile, proposto dal signor Antonio Tisot nei confronti dell'I.N.A.M., il tribunale di Belluno, con ordinanza 15 giugno 1967, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma secondo, del contratto collettivo nazionale 23 dicembre 1939, tuttora in vigore ex art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369. La norma non consente ai familiari degli impiegati dell'industria il ricovero a spese dell'I.N.A.M., per malattie nervose o mentali e ad andamento cronico. Perciò contrasterebbe con l'art. 38 della Costituzione, che vuole l'assicurazione, da parte di organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato, di mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di malattia e non può non riferirsi ai familiari del prestatore d'opera: se restassero a carico del lavoratore proprio le spese di spedalità per le malattie più costose che colpiscano la sua famiglia, verrebbe meno quella garanzia d'un'esistenza "libera e dignitosa" che riposa nell'art. 36 della Costituzione.

La difesa del Tisot, nelle deduzioni depositate il 9 settembre 1967, sostiene innanzi tutto la proponibilità della questione (il contratto collettivo 23 dicembre 1939 ha forza di legge in virtù dell'art. 7 legge Il gennaio 1943, n. 138, istitutiva dell'I.N.A.M., o del citato art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 1944, n. 369, che mantiene in vita i contratti collettivi resi obbligatori erga omnes dalla legge 3 aprile 1926, n. 563); afferma tuttavia che il contratto impugnato (art. 6, comma secondo) non sarebbe applicabile al caso di specie (e che perciò la Corte potrebbe emanare una sentenza interpretativa di rigetto) poiché i limiti e le modalità relative alla assistenza dei familiari dovevano ricavarsi (secondo la legge istitutiva dell'I.N.A.M. del 1943) non dai contratti collettivi preesistenti, come quello denunciato, ma dai contratti futuri (che mancano); conclude infine chiedendo che, se non si accetta questa interpretazione, l'art. 6 sia dichiarato illegittimo per i motivi espressi nell'ordinanza di rinvio: che l'art. 38 della Costituzione garantisca anche l'assistenza ai familiari del lavoratore, sarebbe provato perfino dalla precedente, citata legge istitutiva dell'I.N.A.M., che soccorre anche costoro.

2. - L'I.N.A.M., nelle deduzioni presentate il 1 agosto 1967, premette che un antico contratto collettivo, qualora gli si riconosca forza di legge, resta sempre un contratto: impegni o rinunce, che contenga, potranno rivelarsi contrastanti con la Costituzione, emanata successivamente, e perciò inefficaci; ma non si potrà dichiarare l'incostituzionalità dell'accordo solo perché una parte avrebbe ora maggiori diritti di quanto esso le attribuiva: se questi maggiori diritti derivassero da una legge ordinaria o dalla Costituzione, avrebbero efficacia automatica senza bisogno d'una dichiarazione di incostituzionalità del contratto.

Comunque, secondo la difesa dell'I.N.A.M., né la legislazione ordinaria, né l'art. 38 della Costituzione estendono le misure assistenziali alle malattie mentali o croniche. La norma costituzionale enuncia solo un principio che dovrà realizzarsi con leggi future, un ideale che non ha trovato finora piena attuazione. L'assistenza malattie ha incontrato e incontra ancora limiti che sono direttamente connessi con la misura dei contributi corrisposti dai datori di lavoro: limiti che inoltre hanno una propria giustificazione per le malattie mentali, dato che queste, a differenza delle altre, non costituiscono un semplice episodio della vita del lavoratore e non consentono le normali forme d'assistenza, per così dire, "di massa"; tanto che in tutta la nostra tradizione legislativa esse hanno sempre avuto un capitolo a parte. La norma, che s'é adeguata a questa realtà, non violerebbe perciò la Costituzione.

3. - Nell'atto d'intervento del Presidente del Consiglio, depositato il 21 settembre 1967, l'Avvocatura dello Stato argomenta in modo analogo alla difesa dell'I.N.A.M.

4. - Le parti hanno presentato memorie: quella della Avvocatura dello Stato richiama la sentenza 1963 n. 1 della Corte costituzionale, che ha negato forza di legge alle norme corporative.

5. - Nella discussione orale si sono riassunte e chiarite le difese scritte.

Considerato in diritto:

É stato denunciato, per contrasto con l'art. 38 della Costituzione, l'art. 6, comma secondo, del contratto collettivo nazionale 23 dicembre 1939, tuttora vigente ex art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369.

La questione é inammissibile, come risulta anche dalla precedente sentenza 1963 n. 1 della Corte costituzionale.

Notoriamente i contratti collettivi, come gli altri atti normativi previsti nell'art. 5 delle disposizioni sulla legge in generale, non ebbero forza di legge nel sistema in cui sorsero, tanto che non potevano derogare neanche alle disposizioni imperative dei regolamenti (art. 7 delle disposizioni sulla legge in generale). Caduto questo sistema, il decreto legislativo luogotenenziale 1944 n. 369 (art. 43) non dette forza di legge alle norme corporative, ma si limitò a mantenere inalterata la loro originaria efficacia: non "legificò" tali norme, ma riconobbe agli atti che le avevano poste la permanenza dell'antico vigore. Non a caso nuovi contratti collettivi possono "modificarle" con effetto per gli iscritti alle associazioni che li stipulino: ciò proprio in virtù dello stesso decreto legislativo luogotenenziale 1944, n. 369, che verosimilmente non lo avrebbe consentito se avesse inteso attribuire forza di legge all'insieme delle norme corporative mantenute in efficienza; rispetto alle quali pertanto non si possono sollevare questioni di legittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione, sollevata, con ordinanza 15 giugno 1967 del tribunale di Belluno in riferimento all'art. 38 della Costituzione, sulla legittimità costituzionale dell'art. 6, comma secondo, del contratto collettivo nazionale 23 dicembre 1939 in vigore ex art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria l'11 aprile 1969.