Sentenza n. 60 del 1969
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SENTENZA N. 60

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 21, primo comma, n. 1, e 36 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, contenenti norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, promosso con ordinanza emessa il 3 marzo 1967 dal tribunale di Salerno sull'opposizione di Amato Giuseppe avverso un decreto penale dell'Intendente di finanza di Salerno, iscritta al n. 98 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 157 del 24 maggio 1967.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 20 novembre 1968 la relazione del Giudice Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il signor Giuseppe Amato, condannato con decreto penale dell'Intendente di finanza di Salerno al pagamento dell'ammenda di lire 5.000 per la contravvenzione preveduta dagli artt. 43 e 44 del R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito con modifiche nella legge 5 giugno 1939, n. 973, propose opposizione davanti al tribunale di Salerno. Ma nel corso degli atti preliminari al dibattimento veniva eccepita l'illegittimità costituzionale degli artt. 21, n. 1, e 36 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, concernenti l'attribuzione all'Intendente di finanza della potestà giurisdizionale penale, esercitabile con la pronuncia di decreto penale di condanna, in materia di contravvenzioni finanziarie punite con la sanzione dell'ammenda.

In accoglimento di tale eccezione, il tribunale di Salerno, con ordinanza 3 marzo 1967, ha ritenuto rilevante e ha sollevato la questione di costituzionalità delle norme predette in relazione agli artt. 101 e 108, secondo comma, della Costituzione.

Ha espresso quindi l'avviso che non sia manifestamente infondato l'assunto della violazione del precetto costituzionale della indipendenza del giudice nell'ipotesi di attribuzione di potestà giurisdizionale ad un organo amministrativo, in posizione di dipendenza gerarchica dal potere esecutivo, e privo delle garanzie che la Costituzione estende ai giudici speciali.

Nella specie, ha osservato il tribunale, per escludere l'indipendenza dell'Intendente di finanza nell'esercizio della funzione giurisdizionale deve essere ricordato altresì il potere dovere che allo stesso é affidato di intervenire, quale rappresentante dell'amministrazione finanziaria, parte offesa dal reato, nel successivo eventuale giudizio di opposizione davanti all'autorità giudiziaria ordinaria. Né potrebbe obiettarsi, ha aggiunto il Collegio, che la successiva fase di cognizione devoluta al giudice ordinario assicura all'imputato le garanzie volute dalla Costituzione, giacché tale fase é soltanto eventuale e l'imputato può incorrere nella dichiarazione di esecutività del decreto penale.

L'ordinanza, iscritta al n. 98 del Registro ordinanze del 1967, é stata ritualmente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri; é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 157 del 24 giugno 1967.

2. - L'Avvocatura generale chiede che la questione sia dichiarata non fondata per le considerazioni seguenti.

L'affidamento all'Intendente di finanza di funzioni giurisdizionali, nella materia dei reati contravvenzionali, preveduti da leggi finanziarie e punibili con la sola ammenda, sarebbe giustificato dalla speciale natura della materia suddetta e dalla esigenza che il giudice possegga particolari nozioni ed esperienze tecnico giuridiche nel campo della pubblica finanza.

Il necessario requisito dell'indipendenza, non configurabile peraltro in termini precisi ed uniformi nei riguardi di ciascun giudice speciale, come già affermato da questa Corte con la sentenza n. 108 del 1962, sarebbe garantito dalla estensione all'Intendente della stessa disciplina che il codice di diritto processuale penale detta per il pretore. Il che sarebbe sufficiente per escludere qualunque vincolo di subordinazione gerarchica del detto funzionario nei confronti di altri uffici nell'esercizio della giurisdizione penale, mentre il carattere della imparzialità troverebbe, anche nei di lui riguardi, espressione nel principio generale della soggezione soltanto alla legge.

Secondo questi principi, osserva l'Avvocatura dello Stato, da parte dell'autorità ministeriale superiore non sarebbe lecita alcuna ingerenza nell'attività dell'Intendente, quale giudice penale, posto che i provvedimenti pronunziati in tale veste non sono suscettibili di alcun controllo o sindacato gerarchico, con la conseguenza della esclusione del potere di annullamento, che del principio gerarchico costituisce una rilevante emanazione. Ed invero tutte le norme, che prima della legge 7 gennaio 1929, n. 4 e del decreto 24 settembre 1931, n. 1473 (concernente disposizioni di coordinamento della legge ricordata con le singole leggi finanziarie), prevedevano interferenze dell'Amministrazione finanziaria nella competenza penale dell'Intendente, sarebbero state tacitamente o espressamente abrogate, nell'intento di realizzare, anche per il caso in esame, quella indipendenza funzionale riconosciuta da questa Corte nei confronti di altri giudici speciali (sent. n. 132 del 1963).

D'altra parte, la disciplina del procedimento penale intendentizio, risultante dalla citata legge n. 4 del 1929, garantirebbe la tutela del diritto di difesa dell'individuo, in particolare mediante lo strumento della opposizione al decreto di condanna, con il conseguente deferimento della cognizione del reato contestato dall'Intendente alla autorità giudiziaria ordinaria.

Non avrebbe quindi rilievo, ai fini della questione di costituzionalità, la considerazione che l'opposizione é mezzo eventuale di difesa, il cui esercizio costituisce onere a carico di coloro che subiscono la condanna da parte dell'Intendente, dovendosi ritenere valide, anche nei riguardi dello speciale procedimento in oggetto, le ragioni addotte da questa Corte, nella sentenza n. 27 del 1966, per legittimare sul piano delle guarentizie di cui all'art. 24 della Costituzione, la disciplina processuale del decreto pretorile.

Oltre il particolare, rilevantissimo, che il giudizio in primo grado, sul fondamento della opposizione ed anche sulla ammissibilità di essa, é affidato a giudice diverso da quello che ha emanato il decreto, e ciò a differenza di quanto é previsto nel procedimento ordinario, il giudizio di opposizione di cui alla legge n. 4 del 1929 offre per gli interessati ulteriori vantaggi rispetto al primo, quali il termine di proposizione triplo rispetto a quello per l'opposizione al decreto del pretore, la sufficienza di una procura generale anziché speciale, l'effetto estensivo incondizionato della opposizione anche ai non opponenti.

Circa poi la possibilità, affermata dal tribunale, che l'Intendente intervenga quale rappresentante della parte offesa (Amministrazione finanziaria) nella fase dibattimentale, l'Avvocatura rileva che l'affermazione non é esatta, se riferita al disposto dell'art. 41, terzo comma, della legge n. 4 del 1929, perché il funzionario eventualmente delegato dall'Intendente, per essere sentito nel dibattimento, lo é unicamente per fornire chiarimenti e delucidazioni di natura essenzialmente tecnico-tributaria, senza peraltro assumere la veste né di testimone né di perito.

E l'affermazione sarebbe inesatta anche se volesse alludere ad una eventuale costituzione dell'Intendente quale parte civile, giacché la valutazione della legittimità e della convenienza di tale costituzione viene effettuata, in piena indipendenza, dall'Avvocatura dello Stato, unico organo abilitato dalla legge alla costituzione di parte civile anche per conto dell'Amministrazione finanziaria e, rispetto a questa, autonomo.

La stessa Avvocatura non manca di far rilevare le conseguenze pratiche di una eventuale pronunzia di illegittimità costituzionale.

Col deferimento della materia delle contravvenzioni tributarie punibili con la sola ammenda all'autorità giudiziaria ordinaria, sarebbero annullati i vantaggi di ordine generale e tecnico che consigliarono a suo tempo di attribuirla all'Intendente di finanza; e, se si volesse conservare l'applicabilità del decreto penale, essa andrebbe deferita al pretore, unico organo giudiziario che nel sistema processuale vigente decide per decreto penale e conosce in primo grado dell'opposizione, laddove la competenza in primo grado, in materia tributaria, é per tradizione legislativa costante attribuita al tribunale: art. 6, terzo comma, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, artt. 21, n. 2 e secondo comma e art. 22 della stessa legge in contestazione n. 4 del 1929.

3. - Con memoria depositata il 7 novembre 1968, la Avvocatura si é richiamata agli argomenti già addotti.

Ma riportandosi alla precedente sentenza n. 58 del 1965, con la quale questa Corte ha ritenuto applicabile all'Intendente il principio della sopravvivenza delle giurisdizioni speciali di cui all'art. 102 della Costituzione, fin quando non siano sottoposte a revisione da parte del Parlamento (VI disp. trans.), ha sostenuto che gli artt. 21 e 36 della legge n. 4 del 1929, ora impugnati, come non furono dichiarati incompatibili con il citato art. 102 della Costituzione, così non lo sono in rapporto agli artt. 101 e 108 della Costituzione, giacché il secondo comma di quest'ultimo articolo: "la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali", va considerato una norma di massima contenente una affermazione di principio, destinata a trovare concreta attuazione mediante i provvedimenti legislativi da adottarsi ai sensi della citata VI disposizione transitoria.

Ne discenderebbe che anche l'esame dell'art. 108 sarebbe precluso dalla temporanea sopravvivenza, secondo tale disposizione, della disciplina vigente.

Nella stessa memoria, per suffragare l'assunto che l'Intendente di finanza nelle attribuzioni giurisdizionali é organo sostanzialmente imparziale e rappresenta anzi una spiccata garanzia per lo stesso contribuente, l'Avvocatura ha ricordato che l'Intendente, dal punto di vista amministrativo, non é mai organo accertatore di tributi, ma organo gerarchicamente preposto per la revisione dell'operato degli organi accertatori ed é quindi, per la sua speciale competenza tecnica, in grado di assicurare al contribuente una adeguata tutela contro eventuali atti arbitrari.

Ha concluso, quindi, per la non fondatezza della questione.

Nella discussione orale l'Avvocatura si é riportata alle conclusioni scritte.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione di legittimità costituzionale della legge 7 gennaio 1929, n. 4, contenente norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, nelle parti in cui si attribuiscono all'Intendente di finanza le funzioni di giudice speciale per le contravvenzioni finanziarie punibili con la sola ammenda, é stata dichiarata infondata da questa Corte, con la sentenza n. 58 del 1965, unicamente sotto il profilo della compatibilità con l'art. 102 della Costituzione e con la disposizione VI transitoria, in ordine al regime di sopravvivenza delle giurisdizioni speciali, fintanto che alla revisione di esse non proceda il Parlamento in sede legislativa ordinaria.

Il tribunale di Salerno, solleva ora dubbi sulla costituzionalità degli artt. 21, n. 1, e 36 della predetta legge n. 4 del 1929, concernenti rispettivamente la sopra richiamata competenza penale dell'Intendente e la potestà a questo attribuita di pronunziare decreto penale di condanna, suscettibile di opposizione avanti al tribunale ordinario.

Ciò sotto il ben diverso profilo del precetto costituzionale di cui all'art. 101, secondo comma: "I giudici sono soggetti soltanto alla legge", e di quello di cui all'art. 108, secondo comma: "La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali".

Va subito rilevato che non si tratta della enunciazione, in queste norme, di principi di massima, destinati a trovare concreta applicazione in sede della futura revisione delle giurisdizioni speciali, come ha sostenuto l'Avvocatura nelle sue ultime difese, ma di precetti di immediata attuazione: il che é stato costantemente ritenuto da questa Corte tutte le volte che ha esaminato la sussistenza dei requisiti della indipendenza e della imparzialità in rapporto a giurisdizioni speciali, anche alla stregua della disciplina risultante da norme già esistenti prima dell'entrata in vigore della Carta costituzionale.

Occorre quindi procedere all'esame della questione. Il tribunale l'ha ritenuta non manifestamente infondata assumendo, con argomenti vivamente contrastati dall'Avvocatura dello Stato, essere incompatibile con i citati articoli della Costituzione l'attribuzione di potestà giurisdizionale ad un organo della pubblica Amministrazione, in posizione di dipendenza gerarchica dal potere esecutivo, amovibile e investito della rappresentanza dell'Amministrazione stessa, quale parte offesa dal reato, nell'eventuale giudizio di cognizione.

La questione é fondata.

2. - L'indipendenza é dal legislatore costituente voluta anche per i giudici speciali in vista della completa attuazione del richiamato precetto, comune ad essi ed ai magistrati ordinari, che li vuole soggetti soltanto alla legge.

Il principio dell'indipendenza é volto ad assicurare la imparzialità del giudice o meglio, come é stato osservato, la esclusione di ogni pericolo di parzialità, onde sia assicurata al giudice una posizione assolutamente super partes.

Va escluso nel giudice qualsiasi anche indiretto interesse alla causa da decidere, e deve esigersi che la legge garantisca l'assenza di qualsiasi aspettativa di vantaggi, come di timori di alcun pregiudizio, preordinando gli strumenti atti a tutelare l'obiettività della decisione.

Con particolare riferimento ai giudici speciali, nella giurisprudenza di questa Corte sono già stati messi in evidenza i requisiti essenziali di una effettiva indipendenza, almeno per tutto il periodo nel quale tali giudici esercitano le loro funzioni e con riguardo a tutte le attività che concorrono alla retta applicazione di esse.

La sentenza n. 92 del 1962, ha affermato la necessità che nell'organo giudicante non sussistano vincoli di soggezione formale o sostanziale ad altri organi.

Con la sentenza n. 103 del 1964 si é richiamata l'esigenza dell'inamovibilità, non gia in stretta analogia con quella che copre il giudice ordinario, ma quale risulta dalla predeterminazione legislativa della durata dell'ufficio e dalla espressa previsione delle cause obiettive di incompatibilità o di decadenza, non subordinate a valutazioni discrezionali compiute nell'esercizio di poteri disciplinari ed organizzativi di superiori gerarchici.

Le sentenze nn. 132 del 1963 e 103 del 1964 hanno riconosciuta, nei casi di incompatibilità, la necessità che l'ordinamento consenta l'astensione o la ricusazione con la possibilità di reintegrare l'organo giudicante.

Né va omesso che anche nella sentenza n. 133 del 1963, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della configurazione del Ministro per la marina mercantile come giudice speciale in materia di indennità di requisizioni di navi, questa Corte affermò che il Ministro, al vertice del dicastero, pur avendo piena libertà di decidere secondo scienza e coscienza, non avrebbe potuto sottrarsi alle risultanze degli atti provenienti da quegli stessi uffici che avevano predisposto il provvedimento.

3. - Orbene, nel complesso sistema legislativo finanziario, all'Intendente di finanza spetta, fuor d'ogni dubbio, la qualificazione di organo periferico dell'Amministrazione. Fondamentale, fra le molte che sono stabilite dalle numerose disposizioni legislative concernenti i tributi e le altre entrate finanziarie dello Stato (trovando minuziosa disciplina nelle circolari ed istruzioni delle autorità centrali), é la competenza, che all'Intendente é data (art. 2 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639), di vigilare sulle pubbliche entrate, riferendo al Ministero delle finanze sull'andamento dell'attività tributaria che si esplica nell'ambito della provincia. Tale competenza, oltre a riguardare le varie attribuzioni previste dalle leggi e dai regolamenti, importa la vigilanza su tutti gli uffici finanziari, che hanno sede nella provincia, e la suprema direzione di tutti gli uffici esecutivi dipendenti (art. 77 Reg. appr. con R.D. n. 185 del 23 marzo 1933).

A detta competenza ineriscono i poteri di disporre verifiche, revisioni, inchieste ed ispezioni presso gli uffici provinciali dipendenti, onde assicurarne la funzionalità e la rispondenza alle esigenze di una retta amministrazione. E vi risponde anche la responsabilità di cui l'Intendente é investito (e per la quale é soggetto egli stesso alle verifiche e controlli, che le competenti direzioni generali del Ministero esercitano per il tramite di ispettori generali), in ordine alla sicurezza del denaro pubblico, alla esattezza e puntualità delle riscossioni e alle persecuzione giudiziale dei crediti erariali.

L'adempimento di quest'ultima specie di compiti importa, fra l'altro, che egli possa chiedere (art. 41, comma terzo, legge n. 4 del 1929) che un funzionario da lui delegato venga sentito, circa i fatti in contesto, nel dibattimento che segue all'opposizione al decreto penale. Ed esige, altresì, che egli non debba disinteressarsi della eventuale costituzione di parte civile dell'Amministrazione nel giudizio suddetto, come in qualunque altro per reati finanziari.

Da quanto sopra esposto risulta che la speciale competenza in materia di trasgressioni, colpite da sanzioni penali pecuniarie, di indubbia natura giurisdizionale (come affermato nella già citata sentenza n. 58 del 1965 di questa Corte e come, del resto, risulta senza possibilità di equivoco dal complesso della legge in esame, e, a chiare note, dagli artt. 36 e 46 di essa), é regolata, nel sistema, con carattere non di autonomia, ma di complementarietà rispetto ai compiti amministrativi istituzionali.

E viene ad inserirsi, con nesso di inscindibile coordinazione, in un complesso organico di tipici atti di amministrazione attiva, con il relativo normale sistema di subordinazioni, di controlli e di responsabilità.

4. - Altre considerazioni offrono conferma dell'esistenza di una doppia e inscindibile configurazione dell'Intendente quale amministratore e quale giudice, con ovvio sacrificio dei requisiti di indipendenza e di imparzialità che la Costituzione esige per i giudici speciali.

Mancano anzitutto, e non sembrano mutuabili da altri settori dell'ordinamento, gli strumenti legislativi che valgano a garantire l'imparzialità del giudice e siano di contenuto almeno analogo a quello vigente per il giudice ordinario.

All'Intendente, infatti, organo investito di funzioni di giudice monocratico, ma avulso dall'ordine giudiziario e da ogni apparato che non sia propriamente amministrativo, appaiono inapplicabili, nonostante il generico richiamo contenuto nell'art. 44 della legge n. 4 del 1929, le norme del Codice di procedura penale concernenti l'astensione e la ricusazione del giudice.

A questo fine non avrebbe rilievo la stessa possibilità, prevista dal successivo art. 45, che l'Intendente deleghi la sua giurisdizione (anche per singole categorie di tributi) ad altro funzionario od avochi a sé l'esercizio della giurisdizione già delegata, nel caso che la incompatibilità colpisca il detto funzionario. Invero la persistenza del vincolo gerarchico, nell'ambito dello stesso ufficio, esclude egualmente la garanzia di obiettività che la legge persegue.

Per considerazioni analoghe é da ritenere che non trovi rimedio lo stato di incompatibilità in cui, sotto l'aspetto della necessaria superiorità del giudice rispetto agli interessi in contestazione, versa l'Intendente, che esplichi la sua potestà giurisdizionale sulla base di accertamenti e di valutazioni compiute da organi alle sue dipendenze, i quali abbiano agito in conformità di istruzioni da lui emanate nell'esercizio di funzioni amministrative o di istruzioni superiori ricevute per suo tramite.

Né, per sostenere la legittimità dell'eventuale decreto di condanna, vale richiamarsi ai caratteri del processo monitorio penale, il quale consente, mediante l'opposizione dell'interessato, la devoluzione del giudizio sul reato agli organi della giurisdizione ordinaria, nei diversi gradi preveduti dalla legge processuale. E nemmeno vale argomentare dalla natura di statuizione preliminare, che il decreto dell'Intendente avrebbe in quanto suscettibile di opposizione e caducazione.

La speciale configurazione del provvedimento monitorio intendentizio (peraltro dalla stessa legge equiparato a quello che il Codice di procedura penale affida al pretore), non esclude che esso sia espressione potenzialmente definitiva della potestà giurisdizionale, demandata ad un organo dello Stato, nel quale debbono esistere ab initio, come per il pretore esistono, i requisiti che la Costituzione prevede per l'esercizio di detta potestà.

Contro poi il rilievo, negativo sul piano costituzionale, delle già ricordate attribuzioni dell'Intendente in materia di persecuzione in giudizio di crediti erariali, non valgono gli argomenti dell'Avvocatura, giacché é inammissibile che un giudice anche se, come nel caso dell'Intendente, é ispirato a finalità pienamente lecite, spieghi o rappresenti un qualsiasi interesse nel corso del giudizio, che segue alla impugnativa di una sua decisione.

D'altro canto non può negarsi che, in forza di istruzioni emanate con circolari, spetta all'Intendente prendere delle iniziative e segnalare i casi di maggiore gravità alle competenti Direzioni generali, perché queste provochino l'intervento dell'Avvocatura e quindi la costituzione di parte civile.

Sotto il profilo della indipendenza va ancora rilevato (né in questa sede di controllo di legittimità costituzionale può valere in contrario il riconoscimento, che pur si ritiene doveroso enunciare, della correttezza e dello scrupolo cui, anche nella soggetta materia, si ispira l'azione degli Intendenti e degli altri organi finanziari sopra e sotto ordinati) come nel corpo delle leggi in esame sia pretermessa del tutto la previsione della garanzia della inamovibilità a favore dell'Intendente, pur nei più limitati sensi in cui il suddetto principio é stato ritenuto applicabile da questa Corte ai giudici speciali. In difetto di esplicite norme non può non ritenersi che la posizione di questo funzionario rimanga regolata, senza eccezioni di sorta, dalle disposizioni proprie del rapporto di impiego.

Queste non ne richiedono il consenso per eventuali trasferimenti, come nessun limite pongono all'eventuale trasferimento ad altra sede o ad altro incarico del funzionario che sia stato delegato dall'Intendente alla emanazione dei decreti penali. Non stabiliscono, inoltre, alcuna garanzia rispetto ad altri provvedimenti riguardanti la carriera dei funzionari: così ad esempio in materia di promozioni e di incarichi speciali.

Appare evidente come, sia pure in ipotesi astratta, anche il semplice timore di provvedimenti sfavorevoli del genere possa negativamente interferire sull'esercizio della funzione giurisdizionale, specialmente in presenza di istruzioni provenienti da organi centrali dell'Amministrazione finanziaria.

Istruzioni che, nella forma già ricordata delle circolari e del resto consueta nell'ambito dell'apparato burocratico, risultano, anche nella materia della cognizione penale, non limitate a meri chiarimenti esegetici delle fonti legislative ma talora intese a segnare direttive nello svolgimento della funzione giurisdizionale.

Dato tale assetto normativo della figura dell'Intendente, non ha valore la tesi secondo la quale la garanzia di indipendenza nell'esercizio della potestà giurisdizionale si dovrebbe desumere sia dalla mancanza di disposizioni, che consentano espressamente il sindacato sulla sua attività giurisdizionale da parte di organi della pubblica Amministrazione, sia dalla abrogazione di norme della legislazione precedente, che, non senza valide ragioni, si ritiene effettivamente avvenuta a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 4 del 1929. Ci si riferisce in particolare all'art. 1, secondo comma, del R.D.L. 26 febbraio 1928, n. 411, concernente l'annullamento, da parte del Ministro per le finanze, del decreto penale, ancorché divenuto irrevocabile, nel caso di allegazione da parte degli interessati della inesistenza del reato. Ma é evidente che non é per ciò venuta meno la rilevata subordinazione, anche funzionale, dell'Intendente di finanza nei confronti degli organi centrali.

5. - Per tutte le suesposte considerazioni questa Corte deve dichiarare la illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 101 e 108, secondo comma, della Costituzione, del n. 1 del primo comma dell'art. 21, nonché dell'art. 36 della legge 7 gennaio 1929, n. 4.

La dichiarazione di illegittimità di queste norme importa quale necessaria conseguenza la incostituzionalità, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, di tutte le altre norme, indicate nel dispositivo, che, nella legge denunziata e nelle successive disposizioni di coordinamento, risultano ad esse sistematicamente collegate nel quadro della disciplina della competenza giurisdizionale dell'Intendente.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale del n. 1 del primo comma dell'art. 21, nonché dell'art. 36 della legge 7 gennaio 1929, n. 4;

dichiara, in applicazione del disposto dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità costituzionale delle seguenti norme della stessa legge 7 gennaio 1929, n. 4:

secondo comma dell'art. 14, limitatamente alle parole "prima che il decreto di condanna sia divenuto esecutivo e quando sia stata fatta opposizione":

n. 2 del citato primo comma dell'art. 21, nelle parole "quando si tratti di ogni altro reato" e secondo comma dello stesso articolo;

primo comma dell'art. 26, limitatamente alle parole "di una contravvenzione di competenza dell'Intendente di finanza o" e terzo comma dello stesso articolo;

art. 27, secondo comma, n. 2, limitatamente alle parole "o che sarebbe competente se fosse proposta opposizione contro il decreto di condanna dell'Intendente";

artt. 37, 38, 39, 40 e dei commi primo e secondo dell'art. 41;

artt. 42, 43, 44, 45 e terzo comma dell'art. 48 limitatamente alle parole "innanzi all'Intendente di finanza";

norme contenute nell'art. 50, primo comma, nelle parti in cui si prevedono la competenza dell'Intendente a pronunziare decreto di condanna e le ipotesi della opposizione o della mancata opposizione, fermo restando l'obbligo dell'Intendente di dare partecipazione al Procuratore della Repubblica del mancato pagamento della somma dovuta a titolo di oblazione;

norme contenute nell'art. 51, primo comma, limitatamente al riferimento al n. 2;

dichiara, altresì, sempre in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 del R.D. 24 settembre 1931, n. 1473, contenente disposizioni di coordinamento della legge 7 gennaio 1929, n. 4 con le singole leggi finanziarie.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1969.