Sentenza n. 47 del 1969
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SENTENZA N. 47

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del D.L. 9 novembre 1966, n. 914, convertito in legge 23 dicembre 1966, n. 1141, recante provvidenze in favore delle popolazioni dei comuni colpiti dalle alluvioni e mareggiate dell'autunno 1966, promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1967 dal tribunale di Rovereto nel procedimento civile vertente tra Pedò Gino e Gentili Alberto ed altro, iscritta al 4 n. 204 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1969 la relazione del Giudice Ercole Rocchetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

In una procedura di pignoramento presso terzi, promossa da Pedò Gino nei confronti di Passerini Domenico, terzo pignorato, e Gentili Alberto, debitore principale, il pretore di Rovereto, non essendo le parti comparse all'udienza fissata del giorno 8 novembre 1966, ed eccedendo la causa, per valore, la sua competenza, con ordinanza dello stesso giorno rimetteva le parti avanti il tribunale di Rovereto, fissando per la riassunzione il termine (perentorio ex art. 548 del Codice di procedura civile) che stabiliva in giorni sessanta.

Essendo, sui primi di quel mese, intervenuti i noti gravi fenomeni metereologici che colpirono vaste zone dell'Italia centro-settentrionale, in data 9 novembre 1966 vennero pubblicati il decreto legge n. 914 (convertito poi nella legge 23 dicembre 1966, n. 1141) e il collegato decreto presidenziale, con i quali, nei comuni colpiti venne sospeso - e in Rovereto per tre mesi, a far tempo dal 4 novembre detto - il corso dei termini di prescrizione e di quelli perentori, legali e convenzionali importanti decadenza da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché di quelli di scadenza delle cambiali e di ogni altro titolo di credito e di pagamento dei canoni di locazione e di affitto ecc.

Nel corso di tale sospensione di termini il Pedò, con atto 20 dicembre 1966, riassumeva la causa di cui si é detto, citando a comparire il terzo e il debitore avanti al tribunale di Rovereto per l'udienza del 1 febbraio del 1967.

In tale udienza il giudice istruttore dichiarava la contumacia dei citati non comparsi e rimetteva la causa al collegio per l'udienza del 15 marzo stesso, nella quale la causa veniva assegnata a decisione.

Il tribunale, in data 15 aprile 1967, pubblicava ordinanza nella quale, dopo aver rilevato che, nel giudizio di che trattasi, l'intero termine a comparire era venuto a cadere entro il periodo della sospensione disposta dal decreto legge n. 914 del 1966, considerava che dovesse porsi "pregiudiziale nella specie il quesito della validità o meno dell'atto di citazione, sotto il profilo del disposto degli artt. 163 bis, comma primo, e 164, comma primo, del Codice di procedura civile. Infatti - osserva sempre il tribunale - se nel termine assegnato dall'attore ai convenuti non può essere computato il decorso temporale compreso nel suddetto periodo di sospensione, vuol dire che, giuridicamente, é come se l'attore non avesse assegnato ai convenuti alcun termine".

"Per decidere di tale questione - si legge ancora nell'ordinanza - occorre però prima aver contezza della legittimità costituzionale della recente normativa, speciale ed eccezionale, relativa alla sospensione dei termini".

E poiché, per i motivi di che appresso, il tribunale riteneva, oltre che rilevante, non manifestamente infondato il dubbio sulla legittimità delle norme degli artt. 1 e 3 del D.L. n. 914 del 1966, in relazione agli artt. 3, 42, 24, 112, 1 e 101 della Costituzione, rimetteva gli atti a questa Corte per la decisione.

Secondo il giudice a quo, mentre sembra certo che il legislatore ordinario possa disporre sospensioni del corso della prescrizione senza violare alcun precetto della Costituzione, insorgono invece dei dubbi circa le altre sospensioni disposte dal legislatore nell'art. 1 del D.L. n. 914: in particolare, quella dei termini perentori legali e convenzionali i quali importino decadenza da qualsiasi diritto sostanziale od azione ed eccezione processuale, quella delle scadenze dei titoli di credito, quella dei pagamenti dei canoni delle locazioni immobiliari, ecc. Le suddette ipotesi dubbie si illuminerebbero reciprocamente, perché scaturirebbero da una medesima ratio legis.

Passando all'esame delle norme costituzionali che si assumono violate da quelle denunciate del D.L. n. 914 del 1966, il tribunale rileva che la norma in base alla quale gli oneri delle agevolazioni civili concesse alle popolazioni di determinati territori gravano non su tutta la comunità, ma solo su alcuni cittadini (i creditori cambiari, i locatori immobiliari), sembra porsi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, secondo cui tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge.

E poiché la legislazione eccezionale denunciata determinerebbe una temporanea espropriazione, senza indennizzo, del godimento di un bene cartolare od immobiliare, si profilerebbe, secondo il giudice a quo, una violazione dell'art. 42 della Costituzione.

Inoltre, poiché, per effetto delle norme impugnate, restano sospesi i termini civili e penali di comparizione, di impugnazione in appello, in cassazione ecc., con la conseguenza che i giudizi civili e penali verrebbero così paralizzati, si avrebbe che, sia pure in alcune zone dello Stato, la giustizia non potrebbe esercitarsi.

Questa situazione, sempre secondo il tribunale anzidetto, si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 24, primo comma, e 112 della Costituzione, i quali garantiscono rispettivamente l'esercizio dell'azione civile e di quella penale; e, poiché é insito nei moderni principi costituzionali e implicito nella Carta costituzionale, che lo Stato assuma e garantisca il costante esercizio della Amministrazione della giustizia, si profilerebbe altresì un contrasto tra la legislazione denunciata e gli artt. 1 e 101 della Costituzione.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata comunicata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 28 ottobre 1967, n. 271.

Con deduzioni depositate in cancelleria il 17 novembre 1967, é intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo della Avvocatura generale dello Stato.

In via preliminare, l'Avvocatura osserva che nell'ordinanza di rinvio non viene compiuta, ai fini della rilevanza, alcuna indagine per stabilire se e a quale tra le categorie di termini, il cui corso é stato sospeso dalla norma impugnata, appartenga il termine previsto dall'art. 163 bis del Codice di procedura civile.

Inoltre, secondo l'Avvocatura, l'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale promosso dal tribunale di Rovereto é esorbitante rispetto alle necessità di decisione del giudizio principale, nei confronti del quale non ha alcun rilievo accertare se sia o meno costituzionalmente legittima la sospensione dei termini di scadenza dei vaglia cambiari e delle cambiali, ovvero del pagamento dei canoni di locazione e di affitto.

Passando ad esaminare i profili di illegittimità costituzionale dedotti nell'ordinanza di rinvio, l'Avvocatura rileva che il richiamo al principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione, deve essere considerato inconferente alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale: se, infatti, il legislatore ordinario può emanare norme differenziate rispetto a situazioni obbiettivamente diverse, nei limiti del rispetto della ragionevolezza e degli altri principi costituzionali, non può dubitarsi, secondo l'Avvocatura, che la gravità delle alluvioni del novembre 1966 giustifica l'emanazione di norme per le zone colpite dalle calamità: gli inconvenienti rilevati dal tribunale attengono perciò alla opportunità della legge, non già alla costituzionalità della stessa.

Relativamente all'art. 42 della Costituzione, richiamato dal giudice a quo in relazione alla sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito e dei canoni di affitto e di locazione, osserva la difesa del Presidente del Consiglio che, a prescindere dalla estensibilità della garanzia costituzionale a diritti personali di credito, la norma impugnata non determina alcuna espropriazione, ma si limita a sospendere l'esercizio del diritto per un determinato periodo di tempo.

Quanto, infine, al rilievo che la sospensione dei termini processuali si risolve nell'esclusione, sia pure solo temporanea, del magistero della giustizia civile e penale, l'Avvocatura osserva che la questione é infondata in relazione a tutti i profili denunciati.

Se, infatti, si tiene presente lo scopo del D.L. 9 novembre 1966, n. 914, che mediante la sospensione dei termini processuali, tende ad assicurare a coloro che si trovano in una situazione di forza maggiore, la possibilità di agire e di resistere in giudizio, appare inconferente il richiamo all'art. 24 della Costituzione che, come é noto, é diretto ad impedire ogni limitazione al diritto di azione giudiziaria, con riferimento alla sfera degli interessi riconosciuti dall'ordinamento meritevoli di tutela.

Altrettanto va detto per la pretesa violazione dell'art. 112 della Costituzione: difatti la sospensione dei termini non incide in alcun modo sulla obbligatorietà della azione penale, che in ogni caso deve essere esercitata dal pubblico ministero con le forme e nei termini stabiliti dalla legge ordinaria.

Per le stesse ragioni deve considerarsi infondato il richiamo agli artt. 1 e 101 della Costituzione, perché con la legge impugnata, come con qualsiasi altra legge che regoli modi e termini del processo, lo Stato non esclude, ma anzi garantisce, in relazione alle varie (e talvolta eccezionali) esigenze del paese, il soddisfacente ed adeguato esercizio della Amministrazione della giustizia.

Pertanto, l'Avvocatura conclude chiedendo che la Corte dichiari infondate tutte le questioni di legittimità costituzionale dedotte dal tribunale di Rovereto.

 

Considerato in diritto

 

Il tribunale di Rovereto si é posto il quesito se debba considerarsi inesistente il termine a comparire di cui all'art. 163 bis del Codice di procedura civile, - e quindi, per l'art. 164 stesso Codice, nulla la citazione - quando esso sia venuto a cadere, e per intero, entro il periodo della sospensione dei termini disposta col D.L. 9 novembre 1966, n. 914.

Prima di risolvere tale quesito, il giudice a quo ha però ritenuto di dover sollevare questione sulla legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del detto decreto-legge, essendogli sembrato, oltre che rilevante per il giudizio, non infondato il dubbio se sia o no costituzionalmente consentito al legislatore ordinario sospendere, sia pure in condizioni di eccezionalità derivanti da calamità naturali, termini di decadenza da qualsiasi diritto, azione ed eccezione e termini relativi al pagamento di titoli di credito e di canoni di locazione o di affitto.

Deve osservarsi in proposito che, essendo ben delimitato il punto del giudizio principale in rapporto al quale la questione di costituzionalità é stata sollevata - sospensione di termini processuali -, ultronea, e quindi irrilevante, appare ogni altra impugnativa incidente sulla sospensione di termini di altra natura, come quelli attinenti al pagamento di titoli di credito e di obbligazioni contrattuali.

Il tribunale giustifica l'impugnazione dell'intera normativa, assumendo che unica sia la ratio legis che la informa.

Ma anche se tale assunto possa ritenersi esatto, egualmente irrilevante, ai fini della risoluzione del punto controverso del giudizio principale, così come dallo stesso tribunale identificato, appare tutta la parte dell'impugnazione che eccede quel punto. Trattasi di un caso di manifesta irrilevanza per contraddittorietà, in quanto é lo stesso giudice a quo che, dopo di aver precisato, per quanto a lui occorre, l'oggetto e lo scopo dell'indagine, ne amplia il contenuto in sede di giudizio di costituzionalità.

Deve perciò essere dichiarata inammissibile per irrilevanza quella parte della questione che investe la legittimità della normativa che ha disposto la sospensione di termini diversi da quelli processuali.

Quanto alla impugnativa che investe le norme dell'art. 3, comma primo, del decreto n. 914, concernente la sospensione del corso dei termini perentori legali o convenzionali, i quali importino decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, essa é rilevante ai fini della decisione del giudizio principale, ma infondate appaiono le ragioni esposte dal giudice a quo per sostenerne la illegittimità.

Per quanto poi attiene alla sospensione dei termini processuali, cui la rilevanza più esattamente si restringe, non può condividersi l'opinione che quella sospensione contrasti col diritto di difesa tutelato dall'art. 24, comma primo, e con l'obbligo dell'iniziativa dell'esercizio dell'azione penale spettante al pubblico ministero per l'art. 112, né, in genere, con le garanzie della tutela giurisdizionale previste dall'art. 101 e, secondo il tribunale, anche dall'art. 1 della Costituzione.

Innanzi tutto é da rilevare che, con la sospensione dei termini processuali non si verifica affatto quella generale paralisi di tutto il sistema giurisdizionale paventato dal tribunale di Rovereto, perché nulla vieta al pubblico ministero - se non ne é di fatto impedito da circostanze naturali straordinarie - di iniziare l'azione penale, emettere ed eseguire mandati di cattura, né al giudice civile, sempre che lo possa, di istruire processi e anche di tenere udienze. Ciò che non é consentito é soltanto di dichiarare decadenze per decorrenza di termini il cui corso é stato appunto dalla legge sospeso.

Certo, entro questi limiti, l'attività giurisdizionale resta intralciata e quindi in parte paralizzata. Ma ciò é stato previsto per breve tempo e in via del tutto eccezionale, e sulla base di un consistente fondamento razionale, poiché la legge ha collegato gli effetti che il tribunale ritiene censurabili a eventi straordinari che rendono, quando non impossibile, almeno assai difficile l'esercizio dell'attività giurisdizionale. La normativa eccezionale, chiaramente ispirata da ragioni di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), riguarda poi la totalità dei cittadini della zona colpita, perché generale é stata l'incidenza degli eventi calamitosi. Nessuna discriminazione né di ordine personale, né priva di giustificazione, é stata perciò realizzata, sì da infrangere il principio di eguaglianza.

Non può escludersi che della sospensione dei termini processuali possano avvantaggiarsi singoli soggetti che, in concreto non abbiano subito pregiudizio dagli eventi calamitosi, o possano subirne svantaggio singoli soggetti che da quegli eventi siano stati essi stessi colpiti. Ma tale incidenza, limitata, ripetesi, nel tempo, trova ampia giustificazione nelle ragioni che hanno ispirato la normativa di eccezione, e può dirsi connaturale a qualsiasi normativa di carattere generale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale che concerne la sospensione dei termini di cui all'art. 1, secondo comma, del D.L. 9 novembre 1966, n. 914, convertito nella legge 23 dicembre 1966, n. 1141, con riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale che concerne la sospensione dei termini di cui all'art. 1, primo comma, e 3 dello stesso decreto legge, con riferimento agli artt. 24, 112, i e 101 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1969.