Sentenza n. 18 del 1969
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 18

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 26 luglio 1968, recante "Esercizio della caccia nel territorio della Regione siciliana", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 3 agosto 1968, depositato in cancelleria il 7 successivo ed iscritto al n. 18 del Registro ricorsi 1968.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 15 gennaio 1969 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il ricorrente, e l'avv. Enzo Silvestri, per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso notificato il 3 agosto 1968 il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha impugnato la legge approvata dall'Assemblea regionale il 26 luglio precedente riguardante l'"esercizio della caccia nel territorio della Regione siciliana". Premesso che questa legge si fonda sulla attribuzione di competenza in materia di caccia stabilita a favore della Regione siciliana dall'art. 14, lett. l, dello Statuto, finora esercitata soltanto sul piano dell'attività amministrativa (in virtù delle norme di attuazione approvate con D.L. 7 maggio 1948, n. 789), ma non anche su quelle della legislazione (eccezion fatta per la legge regionale 14 luglio 1950, n. 56, sulla costituzione della Federazione siciliana della caccia), e che conseguentemente risultano ancora vigenti in Sicilia le norme del testo unico approvato con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016 (senza le modifiche introdotte col D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, per realizzare in questa materia il decentramento autarchico, espressamente dichiarate inapplicabili al territorio delle regioni a statuto speciale dall'art. 73 di esso), il ricorrente denuncia quattro distinti motivi d'incostituzionalità.

I primi due, proposti in via alternativa, riguardano il primo articolo della legge, il quale stabilisce che "sino a quando la materia non sarà regolata da una legge organica regionale, i modi ed i termini per l'esercizio della caccia nel territorio della Regione siciliana sono disposti e regolati con provvedimenti dell'assessore per l'agricoltura e le foreste".

Sotto un primo aspetto, questa norma contrasterebbe, per la sua estrema indeterminatezza e per la mancata delimitazione dei poteri da essa demandati all'assessore, col principio di legalità della funzione amministrativa stabilito dall'art. 97 della Costituzione e volto ad assicurare il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione.

Ove poi essa fosse interpretata nel senso di implicare una facoltà di deroga alle vigenti norme statali in materia di caccia, essa risulterebbe contrastante col principio, derivante dall'art. 12 dello Statuto, secondo il quale il potere legislativo regionale spetta esclusivamente all'assemblea regionale ed il potere regolamentare al governo regionale.

Altra violazione dell'art. 97 della Costituzione sarebbe poi realizzata dall'art. 2 della legge, poiché il riconoscimento ai comitati provinciali della caccia della qualità di organi con ordinamento autonomo dell'assessorato per l'agricoltura e le foreste mentre si discosta dalle norme vigenti, non ne fissa di nuove che risultino idonee ad assicurare il loro funzionamento ed a determinare la sfera di competenza e di attribuzioni.

Infine, ove la legge dovesse essere intesa nel senso di comportare il trasferimento all'assessore dei poteri già spettanti alle amministrazioni provinciali, sarebbe ravvisabile anche una violazione dell'art. 5 della Costituzione che pone fra i principi fondamentali dell'ordinamento amministrativo quello del più ampio decentramento.

Il Presidente della Regione siciliana, costituitosi in giudizio per resistere al ricorso, afferma che l'art.1 della legge impugnata non deve essere inteso nel senso di attribuire all'assessore poteri normativi, ma soltanto come ricognitivo dei poteri amministrativi ad esso già spettanti, al fine di eliminare i dubbi e le incertezze circa l'esatta individuazione della normativa vigente in materia di caccia, e delle autorità amministrative competenti ad applicarla nella regione. Così inteso, esso non può essere considerato contrastante con l'art. 97 della Costituzione, dato che non ha fatto altro che confermare all'assessore le attribuzioni che, in campo esclusivamente amministrativo, gli competevano in materia di caccia, né appare ultroneo o pleonastico, essendo rivolto al soddisfacimento del fine sopra indicato.

Infondata é da ritenersi altresì, secondo il Presidente della Regione, la censura rivolta contro l'art. 2 della legge impugnata e ciò perché, dato che la Regione ha competenza esclusiva in materia di caccia (nonché di enti locali), l'inquadramento dei comitati provinciali della caccia nell'amministrazione regionale alle dipendenze dell'assessorato per l'agricoltura e le foreste é consono alla natura originaria di organi del corrispondente Ministero, i cui uffici periferici siciliani sono stati trasferiti alla Regione con l'art. 2, lett. a, del D.L.P. 7 maggio 1948, n. 789. É stato infatti soltanto col successivo art. 37 del D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, che i comitati furono trasformati in organi delle province, ma questo non é avvenuto in Sicilia (art. 73 del D.P.R. cit.) e qui pertanto essi hanno conservato la natura che era loro propria in base al testo unico del 1939. Anche l'art. 2, pertanto, é privo di una portata spiccatamente innovativa, tranne che per la specificazione dell'assessorato di pertinenza dei comitati, già incorporati nell'amministrazione regionale in virtù delle citate norme di attivazione; sicché del tutto fuori luogo appare il richiamo all'art. 97 della Costituzione.

Per queste stesse ragioni sarebbe altresì infondata l'ultima censura sollevata in forma dubitativa per l'ipotesi che la legge implichi trasferimento all'assessore di poteri già spettanti alle province: nessun trasferimento siffatto può infatti dirsi avvenuto e quindi non vi é violazione dell'art. 5 della Costituzione.

In subordine, la difesa della Regione nega comunque che l'art. 5 abbia inteso prendere posizione a favore del decentramento autarchico piuttosto che del decentramento burocratico e che non sia consentito al legislatore sostituire, ove le circostanze le consiglino, la prima forma organizzativa alla seconda.

In una memoria depositata il 3 dicembre 1968, la difesa della Regione svolge ulteriormente queste argomentazioni, specificando che l'unica funzione della legge impugnata consiste nel decidere in quale fra le due amministrazioni regionali potenzialmente interessate alla materia della caccia (assessorato per l'agricoltura e le foreste e assessorato per il turismo, sport e spettacolo) i comitati provinciali debbano essere inquadrati. Dopo avere riaffermato che in Sicilia questi ultimi non sono mai stati organi delle province e sono stati "regionalizzati" fin dal 1948, la difesa della Regione insiste per il rigetto del ricorso.

Anche la difesa dello Stato ha depositato in data 5 dicembre 1968 una memoria nella quale argomenta per dimostrare la sussistenza delle dedotte violazioni dell'art. 97 della Costituzione. Un concreto ampliamento dei poteri dell'assessore per effetto della legge impugnata sarebbe dimostrato dal fatto che - come emerge anche dalla relazione della Commissione legislativa - l'art. 1 di essa attribuisce all'assessore il compito di provvedere nelle more dell'emanazione di una compiuta disciplina legislativa e quindi tende al soddisfacimento di esigenza che solo il legislatore può soddisfare.

Le ragioni addotte dalla controparte per spiegare l'emanazione di una legge sostanzialmente "non innovativa" non appaiono convincenti alla difesa dello Stato, secondo la quale non si "interpreta" la vigente disciplina quando si vuole provvedere in via temporanea a soddisfare quelle esigenze regionali nel settore della caccia, che si riconoscono espressamente bisognevoli di regolamentazione legislativa, ricorrendo invece ad un'attribuzione di poteri all'assessore.

In relazione alla censura relativa all'art. 2 della legge, la difesa dello Stato osserva poi che non é chiaro se si intenda riconoscere ai comitati la natura di organi periferici dell'assessorato per la materia della caccia, analogamente a quanto disposto con le norme di attuazione del 1948 per gli uffici del Ministero dell'agricoltura e foreste e con la conseguenziale legge regionale 8 luglio 1948, n. 35, ovvero se si tratti di organi nuovi, diversi da quelli previsti dall'ordinamento vigente, nel qual caso sarebbe stata necessaria una disciplina della relativa costituzione e delle relative attribuzioni.

Richiamandosi per il resto a quanto dedotto nel ricorso, la difesa dello Stato insiste per il suo accoglimento.

 

Considerato in diritto

 

1. - Per l'esatta interpretazione della legge regionale oggetto del presente giudizio é da mettere in rilievo come la competenza legislativa primaria in materia di caccia, attribuita alla Regione siciliana dall'art. 14, lett. l) dello Statuto, non é stata finora esercitata, sicché nel territorio della medesima continuano a vigere, secondo i principi, le leggi statali. Invece sono state trasferite alla Regione con l'art. 1 del decreto legislativo presidenziale 7 maggio 1948, n. 789, in conformità al disposto dell'art. 20 dello Statuto, le attribuzioni di carattere amministrativo già spettanti nella materia dell'agricoltura all'omonimo Ministero, fra cui era compresa la caccia, mentre con il successivo art. 2 tutti gli uffici periferici del Ministero stesso operanti nel territorio della Regione venivano dichiarati organi dell'Amministrazione regionale, e ad essa trasferiti con l'assegnazione a questa anche dei compiti di vigilanza e tutela sugli enti ed istituti esistenti, compresi quelli consorziali. Con successiva legge regionale 8 luglio 1948, n. 35, esecutiva delle predette norme di attuazione, ed intitolata all'ordinamento dei servizi dell'assessorato per l'agricoltura e le foreste, venivano devolute a quest'ultimo tutte le attribuzioni del Ministero risultanti dall'ordinamento esistente alla data del R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455 (art. 1) e riprodotte testualmente le disposizioni di cui alle lettere a e b delle norme citate (artt. 2 e 3).

Considerata alla stregua della situazione normativa che si é delineata, non sembra fondata la interpretazione dell'art. 1 della legge in esame assunta a fondamento dell'impugnativa del Commissario del Governo, che fa leva sull'inciso dell'articolo medesimo con cui si conferisce carattere temporaneo ai poteri dell'Assessore "fino a quando la materia non sarà regolata con legge organica regionale", per dedurre che si sia voluto consentire all'Assessore stesso di colmare le lacune derivanti dalla mancata emanazione di detta legge, dando vita ad atti normativi: o legislativi o regolamentari, e sostituendosi quindi all'Assemblea ed al Governo regionale, i soli forniti della competenza corrispondente a siffatti atti. Sembra però che tale interpretazione si regga sull'equivoco di ritenere che la "materia", che dovrà essere oggetto della futura legge regionale si identifichi con i "modi e le forme dell'esercizio della caccia" affidati all'Assessore. In realtà la mancanza di una legge regionale sulla caccia ha per effetto di mantenere nella Regione la piena efficacia delle norme statali, in ogni loro parte, e pertanto i "provvedimenti" relativi all'esercizio della caccia non potranno (come la stessa dizione adoperata conferma) non rivestire carattere meramente amministrativo e non normativo, né avere oggetto e contenuto diversi da quelli che già competevano al Ministro per l'agricoltura, a tenore del testo unico sulla caccia, approvato col R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, e delle successive modificazioni apportate con la legge 2 agosto 1967, n. 799; e, si può aggiungere, non diversi da quelli presumibilmente esercitati finora dall'Assessore stesso durante tutto il ventennio decorso dal 1948.

Proprio per il carattere puramente riproduttivo della preesistente normazione rivestito dall'articolo in esame può avere alimentato i dubbi del Commissario del Governo circa la violazione delle disposizioni costituzionali invocate. Ma é chiaro che nessuna violazione dell'art. 97 della Costituzione é dato riscontrare, in quanto la specificazione delle modalità dell'esercizio dei poteri assessoriali, richiesta da detto articolo, deve ritrovarsi nelle leggi statali richiamate, e neppure dell'art. 12 dello Statuto siciliano, dovendo rimanere ben fermo che i poteri medesimi non possono, come si é detto, esorbitare dal campo "provvedimentale", e quindi, oltre che non avere indole regolamentare e tanto meno legislative, devono rimanere contenuti nello stretto ambito delle competenze del Ministro (o degli organi ad esso costituiti in virtù delle leggi successive al 1939, con esclusione solo di quelli per i quali il trasferimento di funzioni ministeriali é avvenuto per effetto del decentramento dei servizi dell'agricoltura disposto con il D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, ritenuto non applicabile alle Regioni a statuto speciale), quali sono attualmente regolate per le altre parti del territorio nazionale.

2. - Ancora meno fondata appare poi la doglianza formulata in confronto all'art. 2, dato che esso non fa che confermare quanto già risultava dal citato art. 2 della legge regionale n. 35 (non essendo dubbio che i Comitati provinciali della caccia rientrassero fra gli uffici periferici dell'Amministrazione centrale dell'agricoltura, cui aveva riguardo l'articolo stesso) che non ha subito modifiche in conseguenza del ricordato decentramento dei servizi dell'agricoltura disposto nel 1955, visto che, come si é prima notato, l'art. 73 del citato D.P.R. ha fatto salva la preesistente competenza della Regione.

D'altra parte una censura che si volesse far derivare dalla violazione dell'art. 5 della Costituzione, dedotta nel ricorso, non ha ragion d'essere rispetto agli attuali Comitati provinciali per la caccia, che sono essi stessi organi di decentramento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 26 luglio 1968, recante "Esercizio della caccia nel territorio della Regione siciliana", in riferimento agli artt. 5 e 97 della Costituzione e 12 dello Statuto regionale siciliano.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 17 febbraio 1969.