Sentenza n. 12 del 1969
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SENTENZA N. 12

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale:

a) degli artt. 46 e 47 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1 agosto 1959 per gli impiegati addetti all'industria edilizia ed affini, nonché dell'accordo 14 novembre 1947 per l'istituzione dei collegi tecnici provinciali e nazionali per le assegnazioni di categoria degli impiegati tecnici ed amministrativi dipendenti da aziende esercenti l'industria edile, resi efficaci erga omnes con D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032;

b) degli artt. 1 e 9 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori dell'alimentazione dolciaria 27 novembre 1957, reso efficace erga omnes col D.P.R. 28 luglio 1960, n. 1069; promossi con ordinanza emessa il 4 febbraio 1967 dal tribunale di Cosenza nel procedimento civile vertente tra Della Mura Francesco e Belladonna Nicola, iscritta al n. 114 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 15 luglio 1967, e con ordinanza emessa il 7 novembre 1967 dalla Corte d'appello di Bologna nel procedimento civile vertente tra Dalla Piazza Francesco e la società "La Modenese", iscritta al n. 14 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 24 febbraio 1968.

Visti gli atti di costituzione della società "La Modenese" e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udite nell'udienza pubblica del 20 novembre 1968 e nella camera di consiglio dello stesso giorno le relazioni del Giudice Relatore Costantino Mortati;

uditi l'avv. Gustavo Vignochi, per la società "La Modenese", ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza 4 febbraio 1967 il tribunale di Cosenza, nel corso di un giudizio civile promosso dal geometra Della Mura Francesco contro il suo datore di lavoro Belladonna Nicola per ottenere il riconoscimento dei crediti vantati in dipendenza dell'attività svolta alle sue dipendenze, quale impiegato di prima categoria, ha ritenuto non manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata d'ufficio, nei confronti degli artt. 46 e 47 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1 agosto 1959 per gli impiegati addetti all'industria edilizia ed affini, nonché dell'accordo 14 novembre 1947 per l'istituzione dei collegi tecnici provinciali e nazionali per le assegnazioni di categoria degli impiegati dipendenti da aziende esercenti l'industria edile (forniti di efficacia erga omnes in virtù dell'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032), che sanciscono rispettivamente la improcedibilità delle domande giudiziali concernenti controversie in materia di rapporti di lavoro, regolati dal contratto collettivo ove sulle domande stesse non sia stato previamente esperito il tentativo di conciliazione in sede sindacale e la competenza dei collegi tecnici a risolvere le contestazioni relative all'assegnazione degli impiegati alle diverse categorie, nonché le regole per l'istituzione dei collegi stessi.

Per quanto riguarda la prima delle dette questioni, relativa all'art. 46, il tribunale si é richiamato alla sentenza di questa Corte n. 56 del 1965, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo unico dello stesso D.P.R. n. 2032 del 1960, nella parte in cui rendeva obbligatorio erga omnes l'art. 55 del contratto collettivo nazionale di lavoro 24 luglio 1959 contenente una norma analoga con riferimento agli operai edili e che é stato ritenuto eccedente la delega concessa con la legge 14 luglio 1959, n. 741. Considerazioni non diverse hanno indotto poi il tribunale a ritenere non manifestamente infondata anche la seconda questione in ordine all'art. 47 del medesimo contratto collettivo ed al correlativo accordo del 14 novembre 1947: infatti anche queste norme, pur riguardando un diverso vincolo, esulerebbero in modo analogo dalle finalità della legge di delegazione.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 15 luglio 1967, ma nessuno si é costituito nel giudizio avanti la Corte costituzionale.

2. - Analoghe questioni sono state proposte dalla Corte di appello di Bologna con l'ordinanza 7 novembre 1967 emessa nel corso di un giudizio instaurato da Dalla Piazza Francesco contro la società "La Modenese", alle cui dipendenze aveva prestato servizio (allo scopo di far riconoscere il diritto al pagamento di somme varie per indennità di licenziamento, gratifica, ferie, lavoro straordinario, nonché differenza fra la retribuzione percepita come impiegato di seconda categoria e quella spettantegli in dipendenza alle mansioni effettivamente esercitate di impiegato di prima categoria), che ha messo in dubbio la costituzionalità, per violazione dell'art. 76 della Costituzione, degli artt. 1 a 9 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori dell'alimentazione dolciaria, stipulato il 27 novembre 1957 e reso efficace erga omnes col D.P.R. 28 luglio 1960, n. 1069. I detti articoli stabiliscono che tutte le divergenze relative all'appartenenza del personale, in base alle mansioni svolte, alle varie categorie e quelle concernenti la attribuzione della qualifica impiegatizia devono essere sottoposte ad un collegio tecnico composto di membri designati dalle associazioni provinciali degli industriali e dalle organizzazioni territoriali dei lavoratori, ove una di esse lo richieda. Altro eccesso di delega l'ordinanza ha ritenuto in confronto all'art. 8, parte IV, il quale stabilisce che, qualora nell'interpretazione e nell'applicazione del contratto stesso o nello svolgimento del rapporto di lavoro sorga controversia, questa dovrà essere, prima di adire l'autorità giudiziaria, sottoposta, per il tentativo di conciliazione, alle competenti associazioni sindacali, prima locali e poi, in caso di mancato accordo, centrali. Secondo la Corte di appello queste disposizioni sarebbero estranee a quella parte della contrattazione collettiva della quale l'art. 1 della legge n. 741 del 1959 ha consentito la estensione erga omnes poiché meramente strumentali rispetto al fine di stabilire minimi salariali. Benché il dispositivo della ordinanza indichi come norma violata il solo art. 76 della Costituzione, nella motivazione di essa si accenna anche ad una limitazione che le norme impugnate realizzerebbero del principio di libertà sindacale.

L'ordinanza é stata regolarmente sottoposta a notificazione, comunicazione e pubblicazione (nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 24 febbraio 1968).

Avanti la Corte si é costituita con il patrocinio del prof. avv. Gustavo Vignocchi l'appellata s.r.l. "La Modesene" che, nel suo atto di deduzioni del 7 marzo 1968 e nella memoria depositata il 7 novembre 1968, solleva riserve sulla ritualità dell'ordinanza per quanto attiene alla asserita mancanza di motivazione circa la rilevanza della dedotta questione non avendo tenuto conto che nella specie il lavoratore (a parte il fatto che al momento della stipulazione del contratto collettivo era iscritto alla competente associazione sindacale) avrebbe ingiustificatamente interrotto la procedura conciliativa preliminare, cui aveva inizialmente aderito, per intraprendere il giudizio avanti al giudice ordinario. Nel merito essa osserva innanzi tutto che, poiché il dispositivo dell'ordinanza fa menzione soltanto della violazione dell'art. 76 della Costituzione, la Corte non può esaminare l'altra questione, accennata nella motivazione, di costituzionalità delle stesse norme per violazione dell'art. 39. Tale questione sarebbe comunque infondata perché le modalità di nomina di un collegio arbitrale cui sia attribuito il compito di accertare e valutare determinati elementi del rapporto di lavoro su cui sorga controversia non determinerebbero un rapporto di dipendenza tra il collegio e le associazioni che hanno il potere di nominarne i membri, non renderebbero questi strumenti di quelle e non avrebbero incidenza sulla indipendenza della funzione assegnata al collegio (sentenza n. 98 del 1967).

Infondata sarebbe altresì la questione relativa alla dedotta violazione dell'art. 76 della Costituzione, giacché le norme in questione non assumono carattere meramente strumentale. La funzione di cui é investito il collegio tecnico sarebbe semplicemente e propriamente quella di procedere ad un esame e fornire in forme semplificate un parere, sotto il profilo eminentemente tecnico, sulle questioni controverse, al fine di evitare oneri e spese per le parti, nell'evidente interesse degli stessi lavoratori che non possono non beneficiare della maggiore esperienza e competenza dei membri del collegio stesso, vantaggiosamente utilizzabili, data la molteplicità e varietà delle situazioni da cui desumere i giudizi sulle qualifiche professionali. Pertanto le procedure disposte risultano strettamente collegate con la disciplina sostanziale del rapporto, di cui mirano a fissare ed accertare taluni elementi essenziali. Escluso che un qualsiasi potere di decisione in senso proprio spetti al collegio tecnico, la sua attività sarebbe da accostare a quella di un arbitro irrituale, cui sia demandato il compito di definire e precisare determinati elementi della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro e quindi, in definitiva, dei minimi di trattamento economico-normativo. In tali casi non si tratterebbe tanto di organismi sottraenti al magistrato ordinario poteri e attribuzioni istituzionali sue proprie quanto di integrazioni contrattuali. Richiama a sostegno di tali argomentazioni la sentenza n. 50 del 1966, oltre a quella prima invocata n. 98 del 1967.

Analoghe considerazioni sono invocate dalla difesa per dimostrare la legittimità dell'art. 8 della parte IV del contratto collettivo, poiché le procedure ivi previste, data la loro formulazione e collocazione, sono da considerare rivolte a raggiungere (in forme diverse dalle usuali procedure conciliative) finalità di composizione nell'interesse delle parti, in armonia con le altre norme, in un contesto di natura accertativa circa le caratteristiche tecniche della vertenza, in una preliminare sede amministrativa.

La parte privata conclude pertanto perché la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, ed in via subordinata perché sia dichiarata infondata.

Con atto 15 marzo 1968 é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri nelle cui deduzioni si nega che l'intervento dei collegi tecnici abbia carattere propedeutico rispetto all'azione giudiziaria. Detti collegi si limiterebbero infatti alla formulazione di un parere che ha funzione di chiarificare alle parti gli esatti termini della contestazione e il cui tenore é ininfluente in ordine all'esperibilità dell'azione giudiziaria, mentre, sul piano probatorio, il parere stesso é liberamente apprezzato dal giudice. Ma anche ove si accettasse la contraria opinione del giudice di merito, la diretta incidenza dell'attività dei collegi sul contenuto sostanziale del rapporto consentirebbe di apprezzare positivamente la recezione operata dal legislatore delegato delle relative disposizioni contrattuali.

Quando infatti una clausola di questo genere, oltre ad apprestare uno strumento per la regolamentazione procedurale di controversie, incida direttamente sul contenuto giuridico sostanziale del rapporto di lavoro, essa, migliorando a favore del lavoratore la disciplina di questo rapporto posta dal codice civile, provvede al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento normativo (sent. nn. 8 e 50 del 1966). Alla stregua di tale criterio, le norme impugnate non appaiono viziate da eccesso di delega, anche in considerazione del fatto che le disposizioni contenute negli artt. da 1 a 9 dell'allegato alla parte terza del contratto collettivo in questione non possono essere isolatamente considerate, ma vanno riferite, per l'espresso rinvio in tal senso enunciato nel primo di detti articoli, a quelle contenute nell'art. 4 della terza parte della normativa collettiva, che stabilisce dettagliatamente i criteri in base ai quali procedere alle attribuzioni di qualifica degli impiegati. É quindi possibile affermare che tali norme, integrando le disposizioni del codice che disciplinano il rapporto di lavoro, come ad es. l'art. 2103 del Codice civile, attengono al minimo normativo.

La giurisprudenza ha posto in rilievo che l'attribuzione della qualifica inerisce allo status giuridico ed economico del lavoratore e rappresenta un elemento che definisce la sua posizione nel complesso aziendale. D'altra parte, le disposizioni contrattuali, per quanto analiticamente formulate, non possono aderire compiutamente alla molteplicità delle fattispecie concrete, sicché l'intervento dei collegi tecnici predisposti dalla contrattazione collettiva si rivela indispensabile per attribuire concreta effettività alla disposizione del Codice civile e, per questa via, alla tutela del lavoratore ed alla effettiva realizzazione dello scopo indicato dal legislatore delegante di assicurare a tutti gli appartenenti alla medesima categoria un minimo di trattamento economico e normativo. Anche se si volesse convenire nell'opinione della diretta incidenza dei collegi stessi sul contenuto sostanziale del rapporto di lavoro, si dovrebbe tener presente che la Corte ha ritenuto che le clausole relative a istituti del genere sono diversamente apprezzabili al fine di dare o no luogo ad eccesso di delega secondo che apprestino un mero strumento, non strettamente necessario per la regolamentazione giudiziale di controversie (sent. nn. 56 del 1965, 8 del 1966, che hanno statuito in ordine al tentativo obbligatorio di conciliazione) oppure incidano direttamente sul contenuto giuridico sostanziale del rapporto, nel quale ultimo caso concorrono ad assicurare minimi inderogabili di trattamento normativo, rimanendo così attratte nell'oggetto della delega (sent. 50 del 1966). Le disposizioni contrattuali, per quanto analiticamente formulate, non provvedono adeguatamente alle molteplicità delle fattispecie concrete, sicché l'opera dei collegi, costituenti una specie di arbitraggio, si rivela indispensabile alla tutela del lavoratore. Se mai, potrebbe venire in considerazione il problema della lesione dell'autonomia contrattuale; che però nella specie non si presenta.

Per quanto poi concerne la disposizione dell'art. 8 riguardante il tentativo di conciliazione, si può ritenere che l'esattezza della valutazione compiuta dal legislatore delegato é dimostrata dalla rispondenza della previa esperimentazione del medesimo all'esigenza di facilitare la composizione delle controversie individuali di lavoro mediante l'intervento delle contrapposte associazioni sindacali, in veste di amichevoli compositori, che si presenta perfettamente idoneo allo scopo di consentire la soluzione stragiudiziale di controversie che, se portate di fronte al giudice ordinario, costituiscono sovente fonte di non indifferenti oneri finanziari per il lavoratore e, comunque, non trovano definitiva soluzione se non attraverso un iter necessariamente lungo. Per questi motivi sembra consentito ritenere che la disposizione in esame costituisca indispensabile complemento, sul piano formale, del trattamento sostanziale voluto assicurare ai lavoratori dal legislatore delegante. L'Avvocatura generale dello Stato conclude pertanto perché la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause hanno lo stesso oggetto, sicché se ne può disporre la riunione per la loro decisione con unica sentenza.

2. - Nella seconda causa la difesa della convenuta ha eccepito preliminarmente la inammissibilità della questione, e ciò per non avere il giudice a quo motivato sul difetto di rilevanza che era stato dedotto, relativamente all'atto di adesione al contratto collettivo che risulta essere stato effettuato dal Della Piazza dando inizio all'esperimento della procedura di conciliazione e di arbitrato, poi interrotta per effetto del ricorso all'autorità giudiziaria. L'infondatezza di tale eccezione appare manifesta dato che la Corte di Bologna ha espressamente messo in rilievo come preliminare al giudizio di merito si presentasse la soluzione della questione, rilevabile d'ufficio, relativa al carattere vincolante per le parti delle predette clausole dei contratti collettivi, che, se decisa in senso affermativo, avrebbe reso improcedibile l'azione. Né può considerarsi preclusa tale azione dall'avere il dipendente consentito, in un primo momento, di assoggettarsi al tentativo di conciliazione, poiché tale adesione non può avere modificato la sua posizione di estraneo alle associazioni sindacali, dal cui accordo era derivato il contratto collettivo, e che quindi non poteva rimanere vincolato alle sue clausole se non in virtù della legge n. 741, e nei limiti dell'efficacia ad essa attribuibile. Tanto meno poi, come esattamente ha osservato il tribunale di Cosenza nell'ordinanza che ha dato origine all'altra causa, può valere la circostanza che le parti fossero iscritte alle associazioni che ebbero a stipulare il contratto collettivo all'epoca cui si riferisce il rapporto di lavoro, ma non più successivamente.

3. - Nel merito le due ordinanze sottopongono al giudizio della Corte, in primo luogo, la questione della validità della clausola contrattuale che impone il previo esperimento del tentativo di conciliazione, contenuta nell'art. 46 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei dipendenti addetti alle industrie edilizie ed affini del 1 agosto 1959, denunciato dal tribunale di Consenza, e rispettivamente nell'art. 8 della parte quarta del contratto collettivo nazionale del 27 novembre 1957 per i lavoratori addetti all'industria dell'alimentazione dolciaria, entrambe rese obbligatorie erga omnes in virtù dei decreti presidenziali citati in narrativa. Tale questione risulta però già decisa dalla Corte con le sentenze n. 57 del 1966 e n. 9 del 1967, nel senso dell'illegittimità costituzionale dell'estensione erga omnes delle clausole dei contratti collettivi le quali imponevano ai non iscritti lo stesso obbligo del previo esperimento del tentativo di conciliazione dinanzi alle organizzazioni sindacali. Sicché, in conformità della costante giurisprudenza, analoga pronuncia di incostituzionalità deve ammettersi nei confronti della disposizione denunciata dalla Corte di appello di Bologna riguardante categorie diverse da quelle alle quali appartenevano le parti dei precedenti giudizi; mentre nei confronti dell'identica questione sollevata dal tribunale di Cosenza si deve dichiarare la manifesta infondatezza, dato che il contratto collettivo nazionale denunciato é quello stesso del 1 agosto 1959 che era stato già oggetto della citata pronuncia di incostituzionalità n. 9 del 1967.

4. - Passando all'altra questione sollevata in confronto all'art. 47 del contratto collettivo per gli addetti all'industria edilizia, e rispettivamente agli artt. 1 a 9 dell'accordo allegato alla parte terza del contratto collettivo per i lavoratori dell'alimentazione dolciaria (che domandano all'esame dei collegi tecnici provinciali e nazionali le divergenze relative all'appartenenza del personale alle diverse categorie in base alle mansioni svolte, nonché quelle concernenti l'attribuzione della qualifica impiegatizia), sono da richiamare i criteri seguiti dalla Corte nell'interpretazione dell'art. 1 della legge n. 741 del 1959. Secondo tali criteri, quali risultano affermati con la sentenza n. 129 del 1963 e poi confermati da altre successive, limite della delega conferita al Governo di estendere ai non iscritti alle associazioni sindacali clausole di contratti collettivi deve considerarsi la stretta attinenza delle medesime alla finalità di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo, inteso questo nel senso più comprensivo di ogni specie di pattuizione, anche a carattere non economico-patrimoniale, necessaria ad assicurare ai lavoratori una esistenza degna della persona umana.

Ora non ritiene la Corte che tale vincolo di necessaria strumentalità pel conseguimento dei fini di legge sia da rinvenire nelle clausole che impongono l'intervento dei ricordati collegi tecnici. Non basta, per potere giungere a diversa conclusione, affermare, come si fa dalla ditta convenuta, che tale intervento é collegato con la disciplina sostanziale del rapporto, di cui tali collegi mirano ad accertare elementi essenziali, poiché si tratta di stabilire se un accertamento del genere debba considerarsi indispensabile alla tutela del lavoratore. In realtà gli accertamenti ad essi demandati rientrano nella comune competenza del giudice delle controversie di lavoro (che potrà giovarsi, se del caso, dell'ausilio dei consulenti tecnici, di cui agli artt. 441, 442, 443, 468 del Cod. proc. civile), dato che in essi nulla si riscontra che sfugga ai poteri probatori del giudice medesimo, o renda il loro esercizio eccezionalmente arduo, e quindi risulti tale da pregiudicare la difesa in giudizio del prestatore d'opera. Né vale addurre in contrario l'opportunità di eliminare per costoro gli oneri inerenti all'azione giudiziaria perché (pur senza considerare quanto da più parti é stato osservato sui pericoli che la procedura in contestazione presenta di porre remore alla soddisfazione degli interessi del detto prestatore), tale opportunità non é sufficiente a realizzare le condizioni poste dall'art. 1 della citata legge n. 741, secondo quando é stato ritenuto anche in ordine al tentativo obbligatorio di conciliazione.

Non influente sulla controversia in esame deve ritenersi il richiamo contenuto negli scritti difensionali alla sentenza della Corte n. 50 del 1966, che ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'estensione erga omnes delle clausole dell'accordo interconfederale 18 ottobre 1950 relativo ai licenziamenti individuali dei lavoratori dipendenti dalle imprese industriali, poiché nella specie non ricorrono le circostanze in considerazione delle quali quella pronuncia venne emessa. Infatti questa ebbe ad argomentare l'esistenza di un nesso inscindibile della parte dell'accordo che era stato denunciato con la disciplina sostanziale del licenziamento, e quindi la sua attrazione nell'oggetto della delega, muovendo dalla constatazione dell'assenza nell'accordo stesso di una qualsiasi normativa atta a far controllare la sussistenza di validi motivi di licenziamento e della conseguente esigenza di affidare siffatto accertamento ad un giudizio di equità da parte di un collegio all'uopo qualificato.

Eguale situazione non si rinviene nel caso in esame dato che, come si é osservato, il collegio tecnico, lungi dal potere formulare giudizi di equità, nessun altro compito può svolgere che non consista nell'applicazione ai casi concreti, a titolo meramente consultivo, dei criteri stabiliti dai contratti collettivi per la determinazione dell'appartenenza alle varie categorie. Compito che, come si é già detto, si svolge nello stesso campo di quello affidato al giudice.

L'accertata violazione dell'art. 76 della Costituzione assorbe l'esame dell'altra censura dell'art. 39 della Costituzione pur essa sollevata dall'ordinanza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara:

a) l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, nonché del D.P.R. 28 luglio 1960, n. 1069, nelle parti in cui rendono obbligatori erga omnes l'art. 47 del contratto collettivo nazionale di lavoro 1 agosto 1959 per gli impiegati addetti all'industria edile ed affini (nonché l'accordo 14 novembre 1947) e gli artt. 1 e 9 e l'allegato alla parte terza del contratto nazionale per i lavoratori dell'alimentazione dolciaria del 27 novembre 1957;

b) l'illegittimità costituzionale di quest'ultimo decreto n. 1069 del 1960 nella parte in cui rende obbligatorio erga omnes l'art. 8 della parte quarta del suddetto contratto collettivo che prescrive l'esperimento obbligatorio del tentativo di conciliazione, da parte delle organizzazioni di categoria;

c) la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Cosenza nei confronti del citato D.P.R. n. 1032 del 1960 nella parte riguardante l'esperimento obbligatorio del tentativo di conciliazione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1969.