Sentenza n. 137 del 1968
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SENTENZA N. 137

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657, che approva la tabella delle occupazioni alle quali non é applicabile la limitazione dell'orario sancita dall'art. 1 del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, promosso con ordinanza emessa il 7 gennaio 1967 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Di Palma Giovanni e Pane Giuseppe, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1967.

Udita nella camera di consiglio del 24 ottobre 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un giudizio civile fra Giovanni Di Palma e Giuseppe Pane in merito al pagamento di indennità di lavoro straordinario prestato in un albergo con mansioni di facchino ai piani, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 gennaio 1967, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico del R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657, che approva la tabella indicante le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, alle quali non é applicabile la limitazione dell'orario sancita dall'art. 1 del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692. Poiché questo decreto non fissa quale sia per i lavoratori indicati in detta tabella (nella quale é incluso il personale di servizio negli alberghi) il numero massimo di ore in cui deve essere giornalmente contenuto il loro obbligo di prestazione di opera, sarebbe violato il secondo comma dell'art. 36. della Costituzione, che dispone che la durata massima della giornata lavorativa é stabilita dalla legge.

L'ordinanza rileva che l'art. 16 del contratto collettivo del 22 settembre 1959 stipulato per il personale salariato dipendente da alberghi, pensioni e locande, fissa in nove ore l'orario giornaliero di lavoro per il personale operaio non ausiliario, e non addetto al guardaroba, ma ritiene che il contratto stesso non sia applicabile nella specie non essendo il datore di lavoro iscritto a nessuna delle associazioni sindacali che lo hanno stipulato. Pertanto la decisione circa la fondatezza della pretesa dell'attore del compenso per lavoro straordinario deve essere presa necessariamente in base al disposto della norma impugnata.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1967.

Non essendovi stata costituzione di parti, la causa é stata decisa in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

Potrebbe prospettarsi in primo luogo una inammissibilità del giudizio per manifesta irrilevanza della questione.

Il Tribunale avrebbe potuto, infatti, definire il giudizio principale tenendo presente che il contratto collettivo 22 settembre 1959 per il personale salariato dipendente da alberghi, pensioni e locande ha efficacia erga omnes in virtù del D.P.R. 2 gennaio 1962, n. 771, emesso entro i termini stabiliti dalla legge 14 luglio 1959, n. 741, contenente norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori, termini prorogati dall'art. 2 della legge 1 ottobre 1960, n. 1027.

Comunque la inammissibilità sussiste sicuramente per un altro motivo, essendo stata impugnata una norma che non ha forza di legge.

Il R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, fissa la durata massima del lavoro giornaliero effettivo in otto ore giornaliere e quarantotto ore settimanali, specificando che, nella dizione lavoro effettivo, non sono comprese quelle occupazioni, che richiedono per loro natura, o nella specialità del caso, un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia. Ed il regolamento approvato con R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, ha disposto, all'art. 6, che "le occupazioni che richiedono una prestazione discontinua o di semplice attesa o custodia saranno indicate in apposita tabella emanata e modificabile con decreto reale promosso dal Ministro per l'economia nazionale". In esecuzione di questa norma regolamentare, il regio decreto n. 2657 del 1923 ha approvato la tabella.

Non vi é dubbio, quindi, che la norma impugnata fa parte di un regolamento, che, non avendo forza di legge, non poteva essere sottoposto al giudizio di questa Corte ai sensi dell'art. 134 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico del R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657, sollevata con ordinanza del Tribunale di Roma del 7 gennaio 1967.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI -  Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE

 

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1968.