Sentenza n. 107 del 1968
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SENTENZA N. 107

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, quarto comma, seconda parte, della legge 31 marzo 1956, n. 294 (provvedimenti per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia), nel testo sostituito dall'art. 6 della legge 5 luglio 1966, n. 526, promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1966 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento civile vertente tra Padoa Laura e Fusinato Padoa Rosella contro Poli Ivano e Gerardon Molin Adele, iscritta al n. 7 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1967.

Visti gli atti di costituzione di Poli, Gerardon Molin, Padoa e Fusinato Padoa, e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1968 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Giovanni Dalla Santa, per Poli e Gerardon Molin, l'avv. Enrico Guicciardi, per Padoa e Fusinato Padoa, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nella causa vertente davanti alla Corte d'appello di Venezia tra le appellanti Laura Padoa e Rosella Fusinato Padoa e gli appellati dott. Ivano Poli e Adele Gerardon Molin, e concernente la non conformità a legge, nei confronti degli appellati, della costruzione di un fabbricato che sarebbe stata intrapresa dalle appellanti dopo la data di pubblicazione del piano regolatore generale del Comune di Venezia (sulla base di licenza edilizia rilasciata prima di quella data), e che sarebbe in contrasto con alcune prescrizioni del piano regolatore stesso, gli appellati Poli e Gerardon Molin hanno eccepito l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della disposizione del quarto comma dell'art. 4 della legge 31 marzo 1956, n. 294 (nel testo risultante dall'art. 6 della legge 5 luglio 1966, n. 526), secondo la quale restano salve le opere in corso di esecuzione o eseguite "sulla base ed in conformità di licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano regolatore generale, cui vanno applicate, a tutti gli effetti le sole norme urbanistiche antecedenti al piano regolatore generale".

La Corte di appello di Venezia, con ordinanza del 17 novembre 1966, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di cui alla detta eccezione, ed ha conseguentemente sospeso il giudizio in corso e disposto la trasmissione degli atti a questa Corte ed il compimento delle notificazioni e comunicazioni previste dalla legge.

Secondo la Corte d'appello, ricorre la necessaria rilevanza della questione, perché il caso da decidere rientra nella previsione del suddetto articolo, il quale riguarda sia le opere da eseguire per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia e per il risanamento igienico del suo abitato, che i divieti da rispettare per non compromettere il futuro assetto della città, stabilito dagli adottandi piani particolareggiati secondo le previsioni del piano regolatore generale.

La sollevata questione, d'altra parte, sempre secondo la Corte d'appello, non appare manifestamente infondata: anzitutto, perché alla disciplina dei rapporti di vicinato tra privati concorrono con efficacia immediata le prescrizioni dei piani regolatori generali (quanto contengano norme del tipo di quelle di cui si assume nel caso la violazione) e sopra codesti rapporti incide la disposizione denunciata, che ha "una portata retroattiva" in quanto stabilisce che alle opere eseguite o cominciate in base a licenze rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano regolatore generale si applica a tutti gli effetti la disciplina antecedente al piano medesimo e conseguentemente dette opere restano salve anche se contrastanti con le prescrizioni del piano regolatore.

La questione non é manifestamente infondata, in secondo luogo, perché ai diritti di vicinato - quali regolati dal piano - dei proprietari dei fondi finitimi viene fatto diverso trattamento. Secondo l'ordinanza, la denunciata disposizione sancisce il sacrificio dei diritti dei soli proprietari che si sono trovati a confinare, accidentalmente, con titolari di licenze edilizie irrispettosi del piano, e soprattutto limita la sanatoria ad alcune parti del territorio comunale (quelle per le quali sono previsti piani particolareggiati dal primo comma del detto articolo), con la conseguenza che tutte le costruzioni contrarie al piano generale sorte nelle altre parti del territorio devono tuttora essere ritenute illegittime ed essere trattate come tali (malgrado nelle parti stesse la disciplina urbanistica ed edilizia sia meno rigorosa). Si ha in tal modo, una "ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai titolari di licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano per le zone alle quali si riferisce la sanatoria, e rispetto ai proprietari dei fondi confinanti".

In riferimento all'art. 3 della Costituzione, la disposizione denunciata, secondo la Corte d'appello, potrebbe essere illegittima anche sotto il profilo indicato dagli appellati (con la soprarichiamata eccezione) e cioè perché "alle vertenze in corso si verrebbe a dare una soluzione diversa da quella fin ad ora adottata in relazione alle medesime norme, creandosi così una inconcepibile disparità con situazioni ormai consolidate", e infine perché sarebbe iniquo il privilegio concesso ai cittadini meno rispettosi dei vincoli del piano regolatore, nei confronti di quelli, che, egualmente autorizzati a costruire con licenza rilasciata prima dell'entrata in vigore del piano, si astennero dall'iniziare le costruzioni per non infrangere la nuova disciplina.

L'ordinanza della Corte d'appello é stata regolarmente notificata e comunicata ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 25 febbraio 1967.

Davanti a questa Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri e si sono costituite tutte le parti private.

Il dott. Ivano Poli e Adele Gerardon Molin, con deduzioni depositate il 19 gennaio 1967, hanno insistito nella loro interpretazione della norma impugnata (che non sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione) ed in subordine ne hanno chiesto la dichiarazione di illegittimità costituzionale. Premettevano che il piano regolatore generale per la città di Venezia, approvato il 17 dicembre 1962 e pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale del 22 febbraio 1963, non conteneva alcuna norma transitoria e per ciò é sorto subito il problema relativo all'operatività delle licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano ed eventualmente in contrasto con esso, e che detto problema é stato risolto dalla giurisprudenza nel senso della piena efficacia di tali licenze, qualora al momento dell'entrata in vigore del piano fosse stato dato inizio ai lavori di costruzione con il completamento delle fondazioni ed inizio delle opere fuori terra.

Sennonché, secondo i deducenti, tale orientamento non sarebbe riuscito gradito a certi ambienti interessati, che si sarebbero mossi onde conseguire una norma di legge che consentisse la permanenza e l'operatività di situazioni di fatto certamente illegittime. L'occasione sarebbe stata offerta dalla discussione della proposta di legge n. 1609 d'iniziativa dei deputati Gagliardi ed altri, ed il fine sarebbe stato conseguito con l'art. 6 della relativa legge (del 1966). Ma il tentativo sempre secondo i deducenti - non sarebbe riuscito, e si tratterebbe ora di un appiglio assai fallace perché legato ad una interpretazione della norma (interpretazione erronea, ma adottata dalla Corte di Venezia) dalla quale scaturirebbe una chiara illegittimità costituzionale della norma stessa.

Per il Poli e la Gerardon Molin, però, la norma de qua andrebbe diversamente interpretata. Essa non si riferisce a qualsiasi costruzione privata, bensì solo alle "opere per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia e per il risanamento igienico del suo abitato", Onde, tenuto anche conto del testo letterale della norma e, segnatamente, dell'avverbio "peraltro" che lega le due parti del quarto comma dell'art. 6 della legge del 1966 oggi impugnato, i limiti di operatività della norma in questione sarebbero tali che essa concernerebbe soltanto "l'esonero dall'intervento del Magistrato alle acque con riferimento alle licenze edilizie già rilasciate ed in quanto si tratti di "opere in corso di esecuzione o eseguite", in relazione sempre e solo alle opere di ricostruzione o risanamento connesse al contributo, cioè alle opere che entrano nella normativa della legge 1956 n. 294 e non in relazione all'edilizia privata in generale".

Comunque ricorrerebbero varie ragioni per escludere "la possibilità che si tratti sia di una norma di sanatoria, sia di una norma con efficacia retroattiva in relazione alla validità delle licenze a costruire rilasciate secondo i vecchi regolamenti in funzione di una pretesa natura di norma di attuazione".

Ma con l'interpretazione sopra prospettata, per i deducenti Poli e Gerardon Molin non vi sarebbero "fondati motivi per un giudizio di illegittimità costituzionale" Se la norma dovesse invece essere interpretata nei termini indicati dalla Corte d'appello di Venezia, essa assumerebbe "carattere di ben precisa incostituzionalità".

Dovrebbe ritenersi che "con portata retroattiva, si sia voluto assicurare, attraverso una pseudo norma transitoria, la applicazione a tutti gli effetti della disciplina antecedente al piano regolatore generale".

Si sarebbe verificata l'abnorme situazione di una norma transitoria entrata in vigore non, come di regola, all'atto stesso dell'entrata in vigore della norma generale rispetto alla quale le questioni di diritto transitorio si pongono, bensì dopo un lungo intervallo di tempo, nel corso del quale si sarebbero compiute situazioni giuridiche analoghe a quelle che, per essere in corso alla data di emanazione della nuova disciplina transitoria, verrebbero a subire una diversa disciplina rispetto alle prime.

In particolare, poi, per il suo contenuto, in quanto diretta a soggetti limitati e ben identificabili e destinata ad operare con riferimento ad alcune parti ben limitate del territorio comunale, e quindi priva dei caratteri dell'astrattezza e della generalità, la norma impugnata si risolverebbe in un atto amministrativo.

In conclusione, i deducenti Poli e Gerardon Molin hanno sottoposto alla Corte la seguente alternativa:

- o interpretare la norma impugnata nel senso che con essa unicamente si deroga alle disposizioni di cui al precedente comma dello stesso articolo e si opera una esclusione dell'obbligo del nulla osta del Magistrato alle acque;

- o accedere alla tesi della Corte d'appello di Venezia circa l'interpretazione della norma e dichiararne, in tal caso, l'illegittimità costituzionale.

L'altra parte privata, e cioè le signore Laura Padoa e Rosella Fusinato Padoa, con deduzioni depositate il 19 gennaio 1967, a sostegno della tesi della totale infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale, dopo avere svolto alcune considerazioni di ordine storico, relative al succedersi delle varie leggi per la tutela del passaggio e del centro storico di Venezia, hanno dedotto, preliminarmente, la erroneità della premessa - su cui si fonda l'ordinanza di remissione - premessa secondo la quale l'entrata in vigore di un nuovo piano regolatore renderebbe illegittima la licenza edilizia che con esso contrasti, ancorché rilasciata prima della vigilanza del piano regolatore stesso. Da ciò deriverebbe, sempre secondo i detti deducenti, la assoluta arbitrarietà della qualificazione di "irrispettoso del piano regolatore" attribuita dalla Corte veneziana al cittadino che, titolare di regolare licenza, abbia intrapreso o proseguito la costruzione.

Inoltre, dal chiaro tenore della normativa contenuta nella legge del 1956 deriverebbe che il piano regolatore generale approvato nel 1962 non produceva alcun effetto rispetto all'edilizia privata, essendo gli effetti di esso subordinati all'approvazione del piano particolareggiato.

D'altra parte, dovendosi considerare - secondo la difesa di cui qui si riporta il pensiero - principio pacifico che la legittimità o meno della licenza edilizia deve essere valutata in rapporto alla normativa del tempo in cui essa fu concessa, consegue che la questione sollevata non ha pratica rilevanza, in quanto, con o senza la norma dell'art. 6 della legge n. 526 del 1966, la costruzione di cui si discute sarebbe sempre legittima.

Infine, passando all'esame degli elementi specifici in relazione ai quali la questione é stata sollevata, le deducenti Padoa e Fusinato assumevano che l'art. 6 più volte citato lungi dal creare situazioni di disparità o di diversa disciplina rispetto a situazioni analoghe, ha inteso sanare una particolare categoria di situazioni abnormi, conseguenti al rilascio di licenze, dopo la pubblicazione del piano regolatore generale e prima della sua effettiva vigenza per mancanza, ai sensi dell'art. 4 della legge del 1956, del piano particolareggiato.

Con deduzioni aggiunte (del 25 maggio 1968) i deducenti Poli e Gerardon Molin hanno insistito sopra i due profili già messi in evidenza.

In relazione al primo di essi, hanno ulteriormente precisato, contestando la tesi secondo cui l'efficacia del piano regolatore generale per la città di Venezia sarebbe subordinata alla approvazione del piano particolareggiato previsto dalla legge del 1956, e affermando che essa non troverebbe riscontro né nella legge urbanistica del 1942, né nella legge del 1956, nella quale ultima il riferimento al piano particolareggiato avrebbe un effetto diverso da quello della operatività del piano regolatore generale.

A proposito dell'altro profilo del problema, quello cioè derivante dall'interpretazione della norma seguita dalla Corte d'appello di Venezia, i deducenti, dopo avere richiamato altra ordinanza (del 5 maggio 1968) con la quale il Tribunale di Venezia ha rimesso gli atti a questa Corte, riproponendo, anche se in termini in parte diversi, quanto a motivazione, la medesima questione di legittimità costituzionale qui esaminata, hanno insistito nella affermazione del principio di immediata operatività del piano regolatore, rilevando che le argomentazioni svolte dalle altre parti nelle deduzioni di intervento non avevano colto la questione nei suoi termini complessivi. In realtà, partendo dalla presenza della validità della interpretazione seguita dalla Corte d'appello di Venezia, secondo i deducenti non potrebbe contestarsi il fondamento della sollevata questione, in quanto la norma impugnata determinerebbe, con criterio assolutamente arbitrario, una discriminazione quantitativa e qualitativa, oltre ad operare una disciplina differenziata nell'ambito dello stesso territorio comunale. Senza dire, poi, che si porrebbe in essere una norma transitoria diretta ad incidere, a notevole distanza di tempo rispetto alla entrata in vigore della norma principale, su situazioni che già in questa avevano trovato la loro disciplina. I deducenti Poli e Gerardon Molin hanno infine insistito nelle precedenti conclusioni.

Con memoria illustrativa, depositata il 28 maggio 1968, le deducenti Padoa e Fusinato, pur dando atto della opinabilità in generale della tesi da esse sostenuta circa il rapporto tra piano regolatore, licenza edilizia e ius superveniens, hanno ritenuto doversi considerare pacifica la non efficacia del piano regolatore di Venezia, approvato nel 1962, non essendosi verificata la condizione di operatività cui l'efficacia stessa era subordinata dalla legge: approvazione del piano particolareggiato. Onde non si potrebbe neppure proporre un problema di compatibilità tra la licenza edilizia rilasciata alle deducenti ed il piano regolatore non ancora entrato in vigore.

Dal che conseguirebbe, sempre secondo i detti deducenti, che la norma impugnata avrebbe solo natura esplicativa rispetto ad una situazione che, anche altrimenti, sarebbe stata soggetta alla medesima disciplina.

Per quanto concerne la diversità di valutazione fondata sulla diversità di problemi, che la Venezia insulare presenta rispetto alla parte di terraferma, si é osservato nell'indicata memoria che, proprio per la radicale diversità di situazioni, si imponeva una diversa disciplina giuridica.

Pertanto le signore Padoa e Fusinato concludevano insistendo nella richiesta diretta ad ottenere che questa Corte dichiarasse non fondata la sollevata questione.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto d'intervento e deduzioni del 25 febbraio 1967 e con memoria del 29 maggio 1968, ha chiesto alla Corte di voler dichiarare non fondata la proposta questione.

L'Avvocatura generale dello Stato preliminarmente sostiene che l'interpretazione della norma denunciata seguita dalla Corte d'appello non sia accettabile, in quanto é basata sull'erroneo presupposto che la sopravvenienza di un piano regolatore generale invalidi, di per sé, le licenze edilizie rilasciate sulla base della normativa preesistente al piano stesso. Queste, invece, conservano la loro validità ed efficacia, ovviamente entro i limiti stabiliti, e conseguentemente, danno luogo ad un altrettanto valido ed efficace esercizio dello ius aedicandi, anche se le costruzioni autorizzate vengano ad essere proseguite, secondo la previsione della legge, dopo l'entrata in vigore della nuova (ed in ipotesi, più rigorosa) normativa del piano regolatore generale. Sempre secondo l'Avvocatura "la licenza, seguita dal concreto esercizio dello ius aedicandi, determina, in tal caso, una situazione acquisita che neanche una nuova legge, di norma, potrebbe modificare: a maggior ragione, quindi, un atto amministrativo, quale é il piano regolatore generale". Pertanto "la norma impugnata si riferisce a situazioni che si sono venute a determinare ed a consolidare in tempi diversi con la esistenza (in alcuni casi) e la mancanza (in altri casi) del provvedimento amministrativo di autorizzazione seguito (o non seguito) dalla costruzione o quanto meno dall'inizio della stessa". Conseguentemente, sempre secondo l'Avvocatura, l'art. 6 della legge del 1966 avrebbe la portata di riconoscere gli effetti della precedente normativa consolidata nel fatto della costruzione e quindi non avrebbe nessuna efficacia retroattiva o comunque innovativa. Vi é inoltre il prodursi in futuro degli effetti degli atti precedentemente emessi ed ai quali la legge del 1966 non aggiunge alcun effetto.

Data questa situazione, non é configurabile il contrasto con l'art. 3 della Costituzione secondo i profili indicati nell'ordinanza.

"La diversità del trattamento fatta ai proprietari (ed ai loro confinanti) non é arbitraria ma é una semplice conseguenza della effettiva diversità di posizioni (l'avere alcuni e non altri richiesto ed ottenuto l'autorizzazione a costruire prima dell'entrata in vigore dei nuovo piano regolatore generale". "D'altra parte non sì ha un ingiustificato sacrificio limitato ai proprietari confinanti con i titolari di licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano, ma una normativa specifica ed adeguata alle diverse fattispecie che si sono venute a determinare". "In concreto, per ciò, la diversità di trattamento dipende dal fatto che una situazione é maturata anteriormente all'entrata in vigore del piano... ed una situazione, invece,... matura quando é vigente la nuova disciplina urbanistica introdotta con il piano stesso". "Non é infine esatto che si avrebbe una violazione limitata soltanto ad una parte del territorio comunale (quella per la quale si é con il piano prevista la nuova più rigorosa disciplina edilizia). La legge... del 1966, invero, ha preso in considerazione tutte le zone interessate dal piano".

D'altra parte - come si é già detto - "nella fattispecie, non si é trattato affatto di sanatoria ai provvedimenti contrastanti con le norme precedentemente vigenti e quindi illegittimi, ma di riconoscimento della circostanza che le licenze, rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano regolatore, continuano ad essere regolate dalle norme urbanistiche antecedenti, le quali soltanto vanno applicate e con riferimento alle quali deve accertarsi se i provvedimenti siano o no legittimi".

 

Considerato in diritto

 

In sede di controllo sul giudizio di rilevanza concernente la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma quarto, della legge 31 marzo 1956, n. 294 (nel testo risultante dall'art. 6 della legge 5 luglio 1966, n. 526) in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la Corte ritiene che si debba preliminarmente valutare l'interpretazione sostenuta al riguardo dai deducenti Poli e Gerardon Molin. Secondo codesta parte privata, il disposto dell'art. 6 della legge del 1966, che ha sostituito l'art. 4 della legge del 1956, non si riferirebbe all'edilizia privata sebbene, e unicamente, a quella pubblica e alle opere di risanamento civico e di interesse turistico, intese alla salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia; e quindi, la specie, che si sostanzia in una controversia tra parti private in ordine all'applicabilità ad una costruzione delle norme urbanistiche antecedenti al piano regolatore generale della città di Venezia del 1963 ovvero delle disposizioni di detto piano regolatore, non rientrerebbe nella previsione della ripetuta norma. Sennonché la tesi appare infondata perché l'art. 6 della legge del 1966 ha portata generale, con la conseguenza che per la disposizione denunciata manca di qualsiasi fondamento l'assunta non applicabilità di essa nei confronti delle costruzioni private. Ciò risulta attraverso la semplice considerazione delle fonti normative, che si sono succedute nel tempo per la disciplina della materia dell'edilizia nella città di Venezia e specificamente nel centro lagunare.

Nella vigenza dei regolamenti edilizio e d'igiene per la città di Venezia, con R.D.L. 21 agosto 1937, n. 1901, art. 7, venne previsto un piano generale di risanamento a norma degli artt. 86 e seguenti della legge 25 giugno 1865, n. 2359 per la cui esecuzione (che avrebbe dovuto aver luogo entro il 28 agosto 1947) il Comune avrebbe dettato "norme estetiche ed edilizie". Il piano di risanamento fu approvato con R.D. 27 maggio 1940. Non essendosi potuto osservare il termine decennale per la sua esecuzione, con D.L. 17 aprile 1948, n. 845, il termine venne spostato al 21 agosto 1957.

Prima che codesto termine giungesse a scadenza, intervenne la legge 31 marzo 1956, n. 294, che, all'art. 4, con i primi due commi dettò norme dedicate alla disciplina urbanistico-edilizia. Si previde così l'adozione entro il 28 aprile 1958 da parte del Comune di Venezia di un piano regolatore generale (da compilarsi ai sensi della legge urbanistica), unitamente al piano particolareggiato del centro lagunare (da redigere, pubblicare ed approvare con le norme contenute negli artt. da 3 a 8 della legge 27 ottobre 1951, n. 1402). E col terzo comma, si statuì che fino a quando non fossero stati approvati il piano regolatore generale e quello particolareggiato, avrebbe conservato efficacia il piano di risanamento approvato con R.D. 27 maggio 1940, sotto l'osservanza delle disposizioni di cui al R.D.L. 21 agosto 1937, n. 1901, modificato con D.L. 17 aprile 1948, n. 845; e che il Comune non avrebbe potuto eseguire alcuna opera prevista dal piano di risanamento senza il preventivo nulla osta del Magistrato alle acque "al fine di non compromettere il futuro assetto della città secondo la prevedibile impostazione del piano generale".

In tal modo, si confermò che il piano regolatore generale e il piano particolareggiato avrebbero dovuto sostituire il piano di risanamento del 1940.

Il piano regolatore generale fu approvato soltanto con D.P.R. 17 dicembre 1962, pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 22 febbraio 1963.

Il piano particolareggiato del centro lagunare non fu approvato né entro il termine originario del 28 aprile 1958 né unitamente al piano regolatore generale e neppure in prosieguo.

Si arrivò così al 1966, anno in cui con la legge del 5 luglio n. 526 venero poste nuove norme relative all'esecuzione di opere pubbliche ed ai finanziamenti relativi, e (con l'art. 6) si provvide a sostituire l'art. 4 della legge n. 294 del 1956. In particolare, col detto art. 6, si stabilì:

a) che il piano regolatore generale del Comune di Venezia, come sopra approvato, avrebbe dovuto essere attuato mediante piani particolareggiati concernenti singole zone della città, confermandosi con tale statuizione la volontà legislativa, già espressa con il modificato art. 4, diretta a porre un collegamento sostanziale e non solamente formale tra piano regolatore generale e piano particolareggiato;

b) che i piani particolareggiati avrebbero dovuto essere "redatti, pubblicati e approvati con le norme contenute negli artt. da 3 a 8 della legge 27 ottobre 1951, n. 1402", entro il 31 luglio 1968 (e cioè entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, pubblicata il 16 luglio 1966);

c) che fino all'approvazione di tali piani particolareggiati, non avrebbe potuto essere autorizzata ed eseguita alcuna opera senza il preventivo nulla osta del Magistrato alle acque onde non compromettere "il futuro assetto della città, secondo le previsioni del piano regolatore generale approvato con D.P.R. 17 dicembre 1962";

d) e che sarebbero rimaste "peraltro, salve le opere in corso o eseguite sulla base ed in conformità di licenze edilizie rilasciate con la osservanza delle disposizioni del piano regolatore generale 17 dicembre 1962, ovvero sulla base ed in conformità di licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano regolatore generale, cui vanno applicate, a tutti gli effetti, le sole norme urbanistiche antecedenti al piano regolatore generale stesso".

Dai richiami sopra fatti discende, impregiudicati rimanendo altri profili o problemi che di seguito e separatamente saranno considerati, che non ha fondata base la tesi dei deducenti Poli e Gerardon Molin secondo cui l'art. 6 della legge del 1966 non si riferisce all'edilizia privata. Non vi é dubbio, infatti, che le leggi del 1956 e del 1966 non si sono limitate a disciplinare l'intervento pubblico, diretto o indiretto, ma hanno inteso, sulla base della legge urbanistica ed anche a parziale deroga della stessa, dettare o predisporre una normativa per l'attività edilizia privata ed anche (e ciò interessa ai fini della controversia) sul terreno dell'integrazione delle disposizioni civilistiche in materia di rapporti intersubiettivi. In tal senso, é, oltre tutto, l'orientamento della giurisprudenza dei giudici di merito locali, che in più occasioni hanno dichiarato, con riferimento all'art. 6 anzidetto, che la disciplina, nell'ambito territoriale contemplato nel primo comma, "ha portata generale e si applica a tutte le opere, non solo a quelle pubbliche o sovvenzionate", e che al riguardo é decisivo il riferimento ai futuri piani particolareggiati, i quali, "dovendo fungere da strumenti di attuazione del piano generale, per loro natura non potranno non regolare anche l'edilizia privata in genere".

Sul terreno dell'esame della rilevanza della questione, é necessario procedere oltre, nella ricerca e per la determinazione della volontà del legislatore. L'indagine sul punto, anche se essenziale per il merito, non lo é da meno per controllare la sussistenza della rilevanza in ordine alla questione di cui si tratta.

Secondo la Corte d'appello di Venezia, il legislatore con l'art. 6, comma quarto, seconda parte, della legge del 1966, dopo avere prescritto il preventivo nulla osta del Magistrato alle acque per qualsiasi opera la cui esecuzione fosse per essere autorizzata o intrapresa tra l'entrata in vigore della legge e l'approvazione dei piani particolareggiati, avrebbe fatto peraltro "salve tutte le opere già eseguite o in corso di esecuzione nelle zone per le quali prevede l'emanazione di piani particolareggiati..., purché oggetto di licenze edilizie non illegittime". Nella stessa ordinanza, vengono d'altra parte determinati la funzione e gli effetti della disposizione in oggetto.

Questa Corte ritiene indispensabile che si precisi nel modo più rigoroso quale é il contenuto della ripetuta disposizione e cioè si dica quale é stata ed é la volontà del legislatore. Questo si é rappresentato un problema che, anche se connesso in fatto a speculazioni o ad abusi, in realtà si era posto, e cioè quale fosse o dovesse essere la disciplina per le costruzioni private in corso di esecuzione o eseguite sulla base ed in conformità di licenze edilizie rilasciate con l'osservanza del piano regolatore generale ovvero prima dell'entrata in vigore di detto piano. Ed al riguardo ha disposto, con riferimento al momento di entrata in vigore della legge: - che in entrambi i casi le dette costruzioni (eseguite o in corso di esecuzione) non dovessero essere assoggettate al regime transitorio previsto nel terzo comma dell'articolo; - che le costruzioni eseguite o in corso di esecuzione sulla base ed in conformità di licenze edilizie rilasciate con l'osservanza del piano regolatore generale, rimanessero soggette alle relative norme; - e che alle costruzioni eseguite o in corso di esecuzione sulla base ed in conformità di licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano regolatore generale, fossero applicate, a tutti gli effetti, le sole norme urbanistiche antecedenti al piano regolatore generale stesso.

Di codesti tre punti, quello che interessa direttamente ai fini della decisione della controversia de qua é il terzo, perché per gli altri due non é stata sollevata alcuna questione di legittimità costituzionale, e comunque perché col primo di essi si dispone per l'avvenire senza toccare il passato e col secondo si disciplina la materia delle costruzioni conformi al piano regolatore generale.

La Corte ritiene che sopra codesto punto, in ordine specificamente al contenuto, non vi possono essere dubbi. D'altronde, l'ordinanza di rimessione é chiara in quanto si riporta al testo di legge.

Tutto ciò certamente basta per constatare e dare atto della rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

Ma circa la funzione e gli effetti della ripetuta disposizione il giudice a quo procede nella valutazione della norma da una premessa non accettabile. Ritiene che secondo il legislatore del 1966 le opere eseguite o cominciate in base a licenze edilizie rilasciate prima dell'entrata in vigore del piano regolatore generale "restano salve, anche se contrastanti con le prescrizioni del piano regolatore (postulando con ciò - esattamente - l'immediata obbligatorietà del piano generale, fin dal momento della sua entrata in vigore, anche rispetto alle costruzioni già autorizzate, e mirando a sanare alcune violazioni di esso)", e cioè che il piano regolatore generale della città di Venezia, di cui all'art. 4 della legge del 1956 sia entrato in vigore e sia divenuto operativo all'atto della sua pubblicazione per estratto nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 22 febbraio 1963.

É qui il caso di richiamare integralmente il testo dei primi tre commi dell'art. 4 della legge del 1956 che così si articola:

"Entro due anni dalla pubblicazione della presente legge il comune di Venezia adotterà il piano regolatore generale della città compilato ai sensi della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, unitamente al piano particolareggiato del centro lagunare.

"In deroga alle disposizioni della suddetta legge urbanistica, il piano particolareggiato menzionato al comma precedente é redatto, pubblicato e approvato con le norme contenute negli articoli da 3 a 8 della legge 27 ottobre 1951, n. 1402.

"Fino a quando non siano stati approvati il piano regolatore generale e quello particolareggiato contemplati nei commi precedenti, conserva efficacia il piano di risanamento approvato con decreto reale 27 maggio 1940, sotto l'osservanza delle disposizioni di cui al regio decreto legge 21 agosto 1937, n. 1901, modificato con decreto legislativo 17 aprile 1948, n. 845. Peraltro il Comune non può eseguire alcuna opera prevista dal piano di risanamento senza il preventivo nulla osta del Magistrato alle acque, sentito il proprio Comitato tecnico al fine di non compromettere il futuro assetto della città secondo la prevedibile impostazione del piano generale".

Ed é il caso, pure, di ricordare ancora una volta quanto é avvenuto in fatto, e cioè:

- che il piano regolatore generale della città di Venezia é stato approvato con D.P.R. 17 dicembre 1962 ed é stato pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 22 febbraio 1963; e

- che il piano particolareggiato del centro lagunare non é stato redatto, pubblicato ed approvato, né entro il termine di cui al primo comma, né successivamente e neppure fino ad oggi.

Attraverso l'accostamento del fatto alla previsione normativa, si ha con tutta evidenza che:

1) il piano regolatore generale della città di Venezia, ancorché approvato e pubblicato, non é entrato in vigore e non e divenuto operativo; e

2) ha conservato efficacia il piano di risanamento del 1940 a sensi del terzo comma dell'art. 4 cit. Non si perviene a conclusioni diverse se si accede alla tesi che secondo la legge del 1956 il collegamento necessario tra piano regolatore generale e piano particolareggiato esistesse solo relativamente alle parti del piano regolatore generale bisognevoli di attuazione a mezzo del piano particolareggiato e non anche alle disposizioni suscettibili di immediata attuazione. Anche a voler ammettere che in un piano regolatore generale tra "i caratteri e vincoli di zona da osservare nell'edificazione" (art. 7, comma secondo, n. 2, della legge urbanistica) possano rientrare le norme circa l'altezza degli edifici e la distanza tra edifici vicini (e non solo quelle relative al distacco dal confine), la distinzione sopra fatta, in relazione alla specie, non ha ragione di essere e comunque non si sostiene perché il collegamento tra il piano regolatore generale di Venezia ed il piano particolareggiato non é solamente pratico e sostanziale ma é anche e soprattutto formale, stante l'espressa statuizione, contenuta nel più volte citato art. 4 della legge del 1956, che l'efficacia del piano regolatore generale e del piano particolareggiato é subordinata all'approvazione e pubblicazione di entrambi gli atti. Nella specie, si ripete, non essendo stato approvato il piano particolareggiato, il piano regolatore generale non é divenuto efficace, cioè non é divenuto operativo. E tale mancanza di operatività non può riguardare una parte del piano regolatore generale o alcune sue norme, ma concerne l'intero piano regolatore generale.

Accertato il contenuto e determinata la portata delle disposizioni di cui ai primi tre commi dell'art. 4 della legge del 1956, é consentito constatare, in ordine all'art. 6, comma quarto, seconda parte, della legge del 1966, che, come si é più volte detto, ha sostituito il citato articolo 4, che il legislatore ha voluto e vuole che le opere, eseguite o in corso di esecuzione sulla base ed in conformità di licenze edilizie rilasciate prima della pubblicazione del piano regolatore generale non siano soggette alle disposizioni (transitorie, in attesa dell'approvazione dei piani particolareggiati) del comma precedente, e che a dette opere siano applicate, a tutti gli effetti, le sole norme urbanistiche antecedenti al piano regolatore generale stesso.

Ed é parimenti consentito constatare, cogliendo la portata e gli effetti dell'art. 6, comma quarto, seconda parte, della legge del 1966, che detta norma non dispone in alcun modo per il passato, ma totalmente per l'avvenire. Dopo quanto si é detto, manca la possibilità che ad essa venga riconosciuta "una portata retroattiva", come vorrebbe la Corte d'appello di Venezia. Quella disposizione, relativamente a dati fatti (esecuzione totale o parziale di opere in base a licenze edilizie rilasciate prima della pubblicazione del piano regolatore generale) non abroga le norme del piano regolatore generale, ad essi da applicare, sostituendole con quelle antecedenti, o in altri termini, non li sottrae ad una data disciplina per sottoporli ad altra disciplina. Ma puramente e semplicemente dichiara che per date opere eseguite (in tutto o in parte) in base a date licenze edilizie erano e sono vigenti date norme o tutt'al più, di fronte all'interpretazione che in concreto é stata data delle leggi del 1956 e del 1966, accerta preclusivamente quali norme fossero e siano applicabili alla sopraddetta ipotesi. In tal modo, codesta disposizione non incide sui rapporti di vicinato tra privati, che erano e sono assoggettati a tutti gli effetti, e sul terreno dell'integrazione delle disposizioni del Codice civile, alle sole norme urbanistiche antecedenti alla pubblicazione del piano regolatore generale e sempre che codesta disciplina non sia stata modificata dopo l'entrata in vigore della legge del 1966.

Da tutto ciò discende, come immediata e piana conseguenza, che il prospettato contrasto della disposizione denunciata, con l'art. 3 della Costituzione, non sussiste.

Escluso che sia stata creata, per il passato, alcuna disparità di trattamento in ordine a situazioni eguali, non é dato vedere parimenti per il futuro un diverso - e razionalmente ingiustificato - trattamento per i rapporti di vicinato. La circostanza che tra i cittadini, a cui favore siano state rilasciate licenze edilizie per il centro lagunare di Venezia in base ai regolamenti edilizio e d'igiene ed al piano di risanamento, in epoca non sospetta o inopportunamente - come nella specie - nella imminenza della pubblicazione del piano regolatore generale, alcuni di essi, pubblicato il piano, non abbiano dato corso alla costruzione ed altri abbiano, invece, iniziato o ultimato le opere, non rileva dal punto di vista giuridico e ai fini della questione all'esame di questa Corte, perché si ha violazione del principio di eguaglianza se la disparità di trattamento é nelle norme e non anche se é puramente nel comportamento di fatto dei destinatari.

Né può vedersi una violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo che "alle vertenze in corso si verrebbe a dare una soluzione diversa da quella fino ad ora adottata in relazione alle medesime norme, creandosi una inconcepibile disparità con situazioni ormai consolidate", perché dal mutamento di interpretazione in ordine a date norme non può dedursi una violazione del principio di eguaglianza, mettendosi a raffronto, sul terreno della soluzione, controversie in corso e quelle già definite.

Ed infine mancano totalmente ed in ogni caso i presupposti perché si possa ragionare di disuguaglianza non giustificata nel trattamento giuridico per ciò che verrebbero ad essere valutate diversamente le costruzioni (eseguite o in corso di esecuzione, in base a licenze rilasciate prima della pubblicazione del piano generale) a seconda che rientrassero nel centro lagunare o nelle zone della città non coperte dai previsti piani particolareggiati, perché nella determinazione delle zone da includere nel piano regolatore generale, ovvero in quelle da disciplinare ulteriormente con piani particolareggiati, gli organi competenti operano nei limiti segnati dalla legge, in funzione della migliore tutela del prevalente o assorbente interesse pubblico e quindi, in definitiva, é decisa la volontà legislativa.

La conseguenza che sul punto si legge in ordinanza, che rimarrebbero illegittime le costruzioni eseguite, sulla base di licenze precedenti, ma dopo la pubblicazione del piano regolatore generale, fuori dell'ambito del centro lagunare e cesserebbero invece di essere tali (e questa Corte, per le ragioni sopra dette, osserva che non sarebbero state e non sarebbero tali) le stesse costruzioni eseguite nel centro lagunare, non conduce all'asserita violazione della norma costituzionale, perché discende dalla premessa che il piano regolatore generale per la città di Venezia non é divenuto operativo, con la pubblicazione, solo relativamente alle zone costituenti il centro lagunare.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata con l'ordinanza in epigrafe, dell'art. 4, comma quarto, seconda parte, della legge 31 marzo 1956, n. 294 (provvedimenti per la salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia), nel testo sostituito dall'art. 6 della legge 5 luglio 1966, n. 526, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI 

 

 

Depositata in cancelleria il 19 luglio 1968.