Sentenza n. 76 del 1968
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SENTENZA N. 76

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 356, primo comma, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 27 dicembre 1965 dal pretore di Fermo nel procedimento penale a carico di Agnozzi Mario, iscritta al n. 21 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del 12 marzo 1966.

Udita nella camera di consiglio del 22 maggio 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Branca.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso d'un procedimento penale apertosi a carico del sig. Mario Agnozzi il pretore di Fermo, con ordinanza del 27 dicembre 1965, ha denunciato, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 356, primo comma, del Codice di procedura penale: norma, secondo la quale, per assumere la testimonianza d'un principe reale, d'un cardinale o d'un grande ufficiale dello Stato, il giudice deve compiere una serie di formalità (preventivi accordi e spostamento nel luogo indicato dal testimone), che tra l'altro ritardano lo svolgimento dell'istruttoria. Ne deriverebbe il dubbio d'una subordinazione (formale) del giudice al potere politico e la convinzione che esistano individui dotati di "superdignità sociale" e comunque destinatari di "trattamenti privilegiati". Ciò contrasterebbe col principio d'eguaglianza.

 

Considerato in diritto

 

1. - É stato denunciato l'art. 356, primo comma, del Codice di procedura penale, che obbliga il giudice istruttore, se vuole ricevere la testimonianza d'"un grande ufficiale dello Stato", a recarsi nel luogo indicato dallo stesso testimone. La norma violerebbe il principio d'eguaglianza (art. 3) poiché gli altri testimoni sono invece obbligati a comparire innanzi al giudice.

La questione é infondata.

Nel processo penale la posizione dei "grandi ufficiali dello Stato" non é diversa da quella d'ogni altro cittadino quanto all'obbligo di testimoniare, che, uguale per tutti, per i primi non é subordinato, come in altri Paesi, a speciali autorizzazioni o riserve (a parte eventuali diritti d'astensione comuni ad alcune categorie di cittadini). La differenza sta solo in ciò che nella fase istruttoria, mentre di regola il testimone deve portarsi dal giudice, a norma dell'art. 356 é il giudice che deve recarsi dal testimone: così, piuttosto che godere d'un privilegio rispetto agli altri cittadini, il "grande ufficiale dello Stato" beneficia d'un particolare trattamento nei riguardi dell'Autorità giudiziaria.

Lo riconosce la stessa ordinanza di rinvio là dove avanza il dubbio d'una "subordinazione dell'autorità giudiziaria al potere politico"; dubbio che però deve essere respinto perché lo spostamento d'un giudice di per sé non importa né una diminuzione della sua potestà né un affievolimento della funzione giurisdizionale.

2. - In realtà la norma impugnata, quale che fosse all'origine l'intenzione del legislatore, si ispira attualmente non a un malinteso prestigio di persone che ricoprano certe cariche, ma, come le altre norme contenute nella stessa disposizione, a innegabili necessità e garanzie dell'ufficio di cui quei soggetti siano titolari: chi occupa certe posizioni al vertice dei poteri dello Stato svolge compiti nei quali, per la loro importanza e per la loro delicatezza, egli é spesso insostituibile; di modo che, se dovesse raggiungere luoghi lontani dalla sua sede od allontanarsi dal suo ufficio per testimoniare in giudizi eventualmente anche di scarso rilievo, ne soffrirebbe o ne potrebbe soffrire la continuità o la regolarità della funzione: altrettanto invece non é a dire né del comune testimonio, né del giudice istruttore, che, del resto, se la testimonianza deve essere raccolta fuori della sua sede, può essere sostituito da un magistrato del luogo.

3. - Il fondamento della norma impugnata non é dunque diverso da quello delle altre norme che esimono dall'obbligo di comparizione: allo stesso modo dell'agente diplomatico nazionale, la cui sede talvolta é più vicina al luogo del giudizio di quanto spesso non lo sia quella del "grande ufficiale dello Stato", questi non é tenuto a comparire poiché non si ritiene che, per regola, la natura della funzione ne costituisca legittimo impedimento.

D'altra parte non si può dimenticare che, quando sia necessario, ad es. per ricognizioni o confronti, nell'istruttoria su delitti di competenza del Tribunale o della Corte d'assise, si procede con le forme ordinarie anche nei riguardi dei "grandi ufficiali dello Stato". Ciò prova come la norma impugnata si debba giudicare non in sé ma nel quadro dell'intera disciplina e soprattutto come questa sia, nel complesso, ragionevole, rispettosa delle esigenze essenziali del processo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione proposta con ordinanza 27 dicembre 1965 del pretore di Fermo sulla legittimità costituzionale dell'art. 356, primo comma, del Codice di procedura penale (recante norme relative all'assunzione di determinati testimoni nella fase istruttoria).

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

Depositata in cancelleria il 27 giugno 1968.