Sentenza n. 74 del 1968
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SENTENZA N. 74

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 14 febbraio 1904, n. 36, recante "disposizioni sui manicomi e sugli alienati", promossi con un'ordinanza in data 30 luglio 1966 e con tre ordinanze in data 18 agosto 1966 emesse dal Tribunale di Ferrara nei procedimenti di internamento per sospetta alienazione mentale a carico di Mingozzi Guido, Dragoni Giuseppe, Fantini Natalina e Migliorini Silvio, iscritte ai nn. 197, 198, 199 e 200 del registro ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 12 novembre 1966.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 maggio 1968 la relazione del Giudice Michele Fragali;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Quattro ordinanze del Tribunale di Ferrara, di cui una datata 30 luglio 1966 e le altre 18 agosto successivo, tutte emesse in distinti procedimenti di ricovero per sospetta alienazione mentale a carico di Mingozzi Guido, Dragoni Giuseppe, Fantini Natalina e Migliorini Silvio, hanno promosso giudizio di legittimità:

a) degli artt. 2, secondo comma, e 3, secondo comma, della legge 14 febbraio 1904, n. 36, sugli alienati, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 32 della Costituzione;

b) di tutta la legge, con particolare riguardo all'art. 3, ultima parte, in riferimento all'art. 13, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione stessa.

Il Tribunale ha rilevato che l'art. 2 della legge denunciata, sia nella parte che consente l'accertamento dell'alienazione mentale senza le garanzie di contraddittorio, di difesa giuridica e tecnica e di impugnabilità, pur prescritto tanto a favore di persone sospette di pericolosità per la sicurezza pubblica, o per la pubblica morale, quanto a favore di imputati di reato o di interdicendi, sia nella parte che consente, all'autorità di pubblica sicurezza, in via di urgenza, l'internamento provvisorio per un periodo di tempo superiore (un mese) a quello consentito (quattro giorni) per la carcerazione di indiziati di reità, sembra violare il diritto generalissimo degli individui alla tutela giudiziaria del propri diritti e interessi, il diritto alla difesa quale intervento nel procedimento e assistenza tecnico - giuridica, e i limiti imposti dal rispetto della persona umana che, per colui che é sospettato di alienazione mentale, é posta in condizione deteriore nel confronto alla condizione dell'interdicendo, del proposto per misure di prevenzione e dell'imputato di reato. I provvedimenti previsti dalla legge impugnata possono, dal punto di vista pratico, rivestire importanza pari o superiore a quella dell'irrogazione di un ergastolo, potendo eliminare la capacità di agire e la stessa capacità giuridica, tanto più perché, in mancanza di un periodico controllo dell'autorità giudiziaria, si affida all'arbitrio generico e amplissimo del direttore di un manicomio la facoltà del licenziamento dell'infermo in via di prova.

L'ordinanza relativa al Mingozzi venne notificata all'interessato e al P. M. l'8 agosto 1966 e al Presidente del Consiglio dei Ministri il giorno 10 successivo; venne comunicata al Presidente della Camera del Deputati l'11 agosto 1966 e a quello del Senato il 3 del successivo settembre.

Le altre ordinanze relative al Dragoni, alla Fantini e al Migliorini vennero notificate agli interessati e al P.M. il 27 agosto 1966 (con eccezione per il Dragoni cui la notifica ebbe luogo il 1 settembre 1966) e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 30 agosto successivo; vennero comunicate al Presidente della Camera del Deputati il 30 agosto 1966 e a quello del Senato il successivo 3 settembre.

Tutte le ordinanze vennero pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 12 novembre 1966, n. 284.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri interviene soltanto nel procedimento a carico di Mingozzi.

Egli dubita dell'ammissibilità delle questioni sollevate, avuto riguardo alla sede nella quale sono state proposte e alla natura del poteri in tale sede attribuiti all'autorità giudiziaria: il procedimento per il ricovero di un alienato si estrinseca in un'attività sostanziale amministrativa affidata nella sua esecuzione ad uffici giudiziari in vista della garanzia derivante dalla caratterizzazione subiettiva dell'organo giudiziario, ed appare estremamente difficile, per non dire impossibile, configurare, nel procedimento in parola, un giudizio di merito o principale che si ponga come pregiudiziale rispetto a quello di costituzionalità.

Non appare rilevante e non é motivata la denuncia delle norme concernenti il ricovero provvisorio ad opera dell'autorità di pubblica sicurezza, dato che il Tribunale era chiamato a provvedere al ricovero in via definitiva, dopo che il pretore lo aveva autorizzato in via provvisoria e dopo un periodo di osservazione.

Manca di rilevanza la questione concernente il licenziamento degli alienati perché essa non riguarda il momento del ricovero, e nemmeno su tal punto il Tribunale ha motivato; é poi generica la prospettazione dell'illegittimità di tutta la legge fondata per il motivo che mancherebbe il controllo dell'autorità giudiziaria sulla materia.

Le questioni proposte dal Tribunale di Ferrara appaiono poi prive di fondamento. Può essere ricoverato in manicomio solo l'alienato che presenti manifesta tendenza a commettere violenze contro se stesso o contro altri o riesca di pubblico scandalo, quando non possa essere curato nella sua casa o in quella della sua famiglia, e solo quando vi sia richiesta del parenti, nell'ordine in cui sono tenuti agli alimenti, del tutori, del protutori o curatori o di chiunque altro nell'interesse dell'infermo o della società: la estrema precisione usata dalla legge esclude che la sfera irretrattabile della personalità dell'alienato sia violata. Non sussiste la violazione della pari dignità sociale e dell'eguaglianza dell'alienato rispetto agli altri cittadini, una volta che il ricovero in manicomio é disposto nell'interesse stesso dell'alienato o della collettività. Non può pretendersi che abbia un trattamento identico agli altri, chi é pericoloso a sé ed agli altri e non può essere custodito se non in manicomi, o può pretendersi il rispetto della libertà costituzionale esclusivamente nella misura in cui la Costituzione vieta alle autorità pubbliche l'esercizio del potere di coercizione personale. Nella specie, ricorrono poi i due fondamentali requisiti previsti nell'art. 13 della Costituzione e cioè l'astratta previsione della legge e il concreto provvedimento dell'autorità giudiziaria. I principi sanciti in materia di difesa giurisdizionale non possono dirsi applicabili in un procedimento, come quello di cui si tratta, che é sostanzialmente amministrativo; le tassative prescrizioni dettate per l'ammissione dell'alienato al manicomio vanno distinte da quelle relative al giudizio di inabilitazione o di interdizione, nel quale appunto sono pienamente assicurati i diritti di difesa. Quanto poi al principio di rispetto della persona umana, a prescindere dal rilievo che la relativa norma costituzionale fu approvata nell'intento di vietare, sia esperimenti scientifici sul corpo umano non volontariamente accettati dal paziente, sia trattamenti sanitari che non siano resi obbligatori per legge, il Presidente del Consiglio osserva che le norme impugnate assolvono alle esigenze dell'integrità fisica e della cura dell'alienato: appartengono precipuamente e direttamente alla materia sanitaria, e predispongono il controllo dell'autorità giudiziaria, sia durante il ricovero provvisorio sia durante l'internamento definitivo, sia al momento del rilascio dell'ammalato. Sul ricovero provvede l'autorità giudiziaria in base a un periodo di osservazione limitato nel tempo, al termine del quale deve essere trasmesso al procuratore della Repubblica il giudizio del direttore del manicomio. Non esiste il potere dell'autorità di pubblica sicurezza di disporre il ricovero per un mese; la stessa autorità deve riferire entro tre giorni al procuratore della Repubblica. Sia la legge, sia il regolamento prevedono poi un continuo e penetrante controllo dell'autorità giudiziaria.

Con memoria depositata l'8 maggio 1968 il Presidente del Consiglio ha ribadito i rilievi su esposti.

3. - All'udienza del 21 maggio 1968 la difesa del Presidente del Consiglio ha confermato le tesi svolte nell'atto di intervento e nella memoria.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le quattro cause possono essere riunite perché con cernono le medesime questioni o questioni strettamente connesse.

2. - Infondatamente il procedimento di ricovero dell'alienato previsto dall'art. 2 della legge 14 febbraio 1904, n. 36, si ritiene non idoneo a provocare un processo di legittimità costituzionale.

La norma predetta attribuisce al Tribunale un potere dispositivo della libertà personale dell'infermo e una competenza a provvedere sullo stato giuridico di lui, al quale può essere nominato un rappresentante legale provvisorio (quinto comma e art. 420, Codice civile); il decreto di ricovero obbliga poi il pubblico ministero a chiedere al Tribunale l'inabilitazione dell'infermo (settimo comma) o la sua interdizione (stesso comma e art. 420 Codice civile predetto), cosicché si qualifica altresì come atto conclusivo di una fase preliminare e delibativa di un procedimento giudiziario di accertamento dell'incapacità di agire dell'infermo. La Corte anche recentemente (sentenza 29 maggio 1968, n. 53) ha inteso la nozione di giudizio nel senso lato di procedimento davanti a un giudice, volontario o contenzioso che sia; e, alla stregua di tale giurisprudenza, ritiene che al procedimento de quo non possa essere negato un carattere rientrante nella predetta nozione.

3. - Non é nemmeno esatto che sia irrilevante la questione di legittimità dell'art. 2, terzo comma, della legge suddetta, che attribuisce all'autorità di pubblica sicurezza la competenza ad ordinare d'urgenza il ricovero provvisorio di cui si tratta. Il Tribunale di Ferrara é stato investito del giudizio a seguito del provvedimenti del questore locale e del sindaco di Codigoro; il che ha la sua importanza, anche se é vero che il giudice così richiesto non deve pronunziarsi sulla legittimità di quei provvedimenti, ma soltanto sulle condizioni di salute di coloro che ne sono stati oggetto.

Non si può ritenere irrilevante neppure la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, ultimo comma, della legge citata, che concerne il licenziamento a titolo di prova dell'alienato. Il modo di tale licenziamento attiene alla portata della pronuncia di ricovero: é logico perciò che il giudice chiamato ad emetterlo si ponga il problema della legittimità della norma che dà al direttore del manicomio la potestà predetta.

4. - L'art. 2, secondo comma, della legge impugnata non collide con l'art. 13 della Costituzione, come crede il Tribunale di Ferrara.

Non v'é dubbio che il provvedimento di ricovero coattivo di un soggetto sospettato di malattie mentali si inquadra tra quelli restrittivi della libertà personale; ma, per tali provvedimenti, la norma costituzionale invocata prescrive soltanto l'atto motivato dell'autorità giudiziaria e la determinazione legislativa, cosi del casi in cui quell'atto può intervenire, come del modi di tale intervento. Tutti codesti presupposti si rivelano presenti nella norma denunciata, perché essa va letta in coordinamento con il precedente art. 1, con l'art. 2, primo comma, e con le norme del Codice di procedura civile che regolano i procedimenti in camera di consiglio.

Si ritrova nel detto art. 1 l'indicazione precisa delle persone che possono essere soggette a ricovero coattivo negli ospedali psichiatrici; sono indicate nel succitato primo comma dell'art. 2 le persone che possono chiedere tale ricovero; é descritto dalla norma impugnata il procedimento che deve essere seguito per ottenerlo; é prescritto che il ricovero in via provvisoria é normalmente autorizzato dal pretore, e in via definitiva può essere disposto soltanto dal Tribunale; sono elencate le prove che debbono essere esibite, dapprima al pretore e poi al Tribunale, e che debbono implicare, non apprezzamenti generici, ma la precisazione di elementi di fatto concreti, secondo le norme stabilite dal regolamento; é disposto che il Tribunale decida in camera di consiglio, vale a dire, secondo le regole del capo VI, titolo II, libro IV del Codice di procedura civile (art. 742 bis, stesso Codice), con che viene richiamato anche l'obbligo di motivare il decreto di ricovero definitivo imposto dall'art. 737.

5. - Tuttavia l'art. 2, comma secondo, suddetto ferisce il diritto di difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

Il procedimento é uno di quelli che, per quanto si svolga in camera di consiglio, si chiude con una pronuncia giudiziaria di contenuto decisorio. Ora, basta riflettere all'influenza che da sé sola essa reca sullo stato dell'infermo fino alla pronuncia sull'inabilitazione o sull'interdizione, per concludere che non risulta rispettata la garanzia costituzionale che il Tribunale invoca a favore degli infermi: soprattutto non é ammissibile che il ricovero definitivo sia ordinato sul fondamento di istruttorie che all'infermo non é consentito di seguire o di contestare. Vero é che l'interessato può non essere in grado di provvedere personalmente alla propria difesa; ma da ciò non può argomentarsi che il diritto ad essa non debba spettare a chi si trova invece in condizione di provvedervi non ostante la infermità, e che, in ogni caso, quel diritto non possa essere salvaguardato con provvedimenti di protezione, emessi di ufficio dal Tribunale avendo riguardo alle circostanze del caso. Adottato per la misura di ricovero il procedimento di camera di consiglio, indubbiamente resta attribuito al Tribunale il potere di assumere informazioni ai sensi dell'art. 738 del Codice di procedura civile, ai fini del controllo della verità delle prove esibite; ma nemmeno ciò soddisfa il precetto dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, non potendo tal potere implicare il dovere di contestare all'infermo l'istruttoria acquisita e di ammetterlo ad una difesa anche ai fini dell'acquisizione di eventuali prove nuove o contrarie.

Non é però esatto che avverso il decreto di ricovero definitivo non é ammessa impugnazione, come ritiene il Tribunale. L'impugnazione é prevista nell'art. 739, primo comma, seconda parte, del Codice di procedura civile e nel successivo art. 740, in virtù della forza espansiva che a detti articoli é impressa d'al citato art. 742 bis stesso Codice. L'art. 111, secondo comma, della Costituzione fa poi ritenere ammissibile un ricorso per Cassazione, per la ragione che il procedimento, concernendo una misura restrittiva della libertà personale, si fa caratterizzare come atto di giurisdizione contenziosa.

6. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, della legge suddetta, erroneamente indicata dal Tribunale come art. 3, terzo comma, é fondata solo in parte.

L'art. 13, terzo comma, della Costituzione permette di disporre che l'autorità di pubblica sicurezza, per necessità ed urgenza, adotti, in casi determinati, provvedimenti provvisori restrittivi della libertà personale; e la norma impugnata consente che il ricovero di malati di mente sia ordinato da quella autorità solo quando é necessario ed urgente. Urta contro il citato articolo della Costituzione soltanto la disposizione che permette all'autorità suddetta di riferire al procuratore della Repubblica oltre il termine di quarantotto ore: questo termine riguardando qualsiasi provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dall'autorità di pubblica sicurezza nel caso di necessità ed urgenza, non può riguardare anche il provvedimento di ricovero dell'infermo di mente che l'autorità stessa può emanare nei casi in cui le circostanze esigono di evitare una qualsiasi remora.

Non é attendibile l'assunto che il provvedimento dell'autorità di pubblica sicurezza non é rispettoso della persona umana (artt. 2 e 32 della Costituzione). Il Tribunale non indica alcuna norma dalla quale si desuma che l'autorità predetta può agire in disprezzo della persona dell'infermo, mentre é insito nel citato art. 32 che il trattamento di un infermo deve essere ispirato al massimo riguardo; il Tribunale inoltre non avverte che il ricovero si risolve in una misura di tutela urgente dell'infermo, dato che può essere legittimamente ordinato solo se appare indispensabile agire con immediatezza, sulla base di un certificato medico, circostanziato al pari di quello richiesto per il provvedimento del pretore.

7. - Non é fondata la questione concernente il potere del direttore dell'ospedale psichiatrico di licenziare in via di prova il ricoverato che abbia raggiunto un notevole grado di miglioramento (art. 3, quinto comma, legge succitata).

La norma é preordinata al fine di permettere all'infermo di riacquistare la sua libertà, sia pure in prova, subito dopo che si é constatato il miglioramento, e non si intende perché la misura debba essere disposta dal giudice, dato che presuppone la verifica, sotto la responsabilità del direttore dell'ospedale, della persistenza del miglioramento constatato, nel contesto di un ritorno dell'infermo alla sua vita ordinaria. Un procedimento giudiziario, nell'ipotesi, non può che ritardare il riacquisto di quella libertà che non deve essere per nessuna ragione differito, ove si manifesti opportuno e utile.

8. - Le norme denunciate non ledono neanche il principio di parità.

Questo non può imporre di trattare allo stesso modo la persona sana e quella di cui si sospetta l'insania sulla base di attestazioni delle quali il giudice deve vagliare l'attendibilità. Dichiarata, del resto, l'illegittimità parziale dell'art. 2 della legge per quanto concerne il diritto di difesa e il termine assegnato all'autorità di pubblica sicurezza, non può ritenere che il ricoverando manchi di quelle garanzie che spettano, secondo la Costituzione, anche alle persone pericolose per la sicurezza pubblica o per la pubblica morale, e agli imputati di reati; e non conta l'assunto che la legge non organizza per il malato di mente, come invece fa per le persone su menzionate, un controllo giudiziario del trattamento fattogli durante il ricovero, perché questo non é disposto contro il soggetto a titolo di pena o di misura di sicurezza, ma, quanto meno prevalentemente, a favore di lui, a protezione della sua salute e ,della sua integrità fisica. Del resto, anche sugli ospedali psichiatrici non giudiziari viene esercitata una vigilanza particolarmente intensa, sia pure ad opera dell'autorità amministrativa (articoli 8 e seguenti della legge impugnata).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, della legge 14 febbraio 1904, n. 36, sui manicomi e gli alienati, limitatamente alla parte in cui non permette la difesa dell'infermo nel procedimento che si svolge innanzi al Tribunale ai fini della emanazione del decreto di ricovero definitivo;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, della stessa legge, limitatamente alla parte in cui dispone che l'autorità di pubblica sicurezza, quando ordina il ricovero provvisorio, può riferire al procuratore della Repubblica in un termine superiore alle quarantotto ore;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal Tribunale di Ferrara con le ordinanze del 30 luglio e 18 agosto 1966 in ordine:

a) alle rimanenti parti dell'art. 2, secondo comma, della medesima legge, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione;

b) alle rimanenti parti dell'art. 2, terzo comma, della legge stessa, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 32 della Costituzione;

c) all'art. 3, quinto comma, della medesima legge e alle altre disposizioni di essa cui non si riferisce la dichiarazione di illegittimità costituzionale che precede, in riferimento all'art. 13, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 27 giugno 1968.