Sentenza n. 66 del 1968
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SENTENZA N. 66

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 25 settembre 1960, n. 1433, recante norme sul trattamento economico e normativo del lavoratori dipendenti da imprese esercenti la produzione di calzature, promosso con ordinanza emessa il 22 luglio 1966 dal pretore di Trieste nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Ciullo Giovanna ed altri e la società per azioni "Lucky Shoe", iscritta al n. 171 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 del 24 settembre 1966.

Visti gli atti di costituzione di Ciullo Giovanni, Cividin Eleonora e Bosdachin Gianfranco e della società "Lucky Shoe", e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 9 aprile 1968 la relazione del Giudice Luigi Oggioni;

uditi l'avv. Umberto Movia, per la società "Lucky Shoe", l'avv. Giuseppe Di Stefano, per Giulio Giovanna ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

In data 3 luglio 1947 tra l'Associazione nazionale calzaturifici italiani e la Federazione italiana lavoratori dell'abbigliamento venne stipulato un Accordo, secondo cui "considerata la situazione contingente ed alimentare del momento", si convenne che le ditte, sprovviste di mensa per i dipendenti, dovessero corrispondere a ciascuno di loro una indennità sostitutiva di lire 30 per ogni giornata di lavoro effettivo. Tale Accordo fu dichiarato di scadenza al 31 dicembre 1948 salvo tacita proroga per un altro anno in mancanza di tempestiva disdetta entro il 30 settembre stesso anno.

In data 31 marzo 1953 (4 anni e mezzo dopo) tra l'Associazione e la Federazione anzidette, cui si era aggiunta la Federazione unitaria italiana lavoratori dell'abbigliamento, si convenne di elevare a lire 50 al giorno l'indennità sostitutiva della mensa, a decorrere dal 1 aprile 1953.

Con contratto collettivo nazionale di lavoro 25 luglio 1959 per gli operai addetti all'industria delle calzature vennero regolate tutte le condizioni di lavoro, senza tuttavia specifico riferimento alla indennità di mensa. Tutti gli atti predetti sono stati depositati e pubblicati nel Bollettino n. 59 del 31 marzo 1960 del Ministero del lavoro, previdenza sociale e artigianato.

A seguito della legge delega 14 luglio 1959, n. 741, modificata con legge n. 1027 dell'anno 1960 contenenti norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori, venne emanato il decreto del Presidente della Repubblica 25 settembre 1960, n. 1433, che dispose, per i dipendenti dell'industria calzature ed affini, la regolamentazione del rapporti di lavoro in conformità sia del contratto collettivo 25 luglio 1959 sia degli Accordi 3 luglio 1947 e 31 marzo 1953 sull'indennità di mensa.

Con verbale 13 maggio 1963 Thomas Mc Cann, amministratore unico della società per azioni "Lucky Shoe", esercente industria calzature in Trieste, venne denunciato pel reato, previsto nella legge di delega (art. 8), di inosservanza delle norme , previste nella legge stessa, in particolare per avere omesso di corrispondere ai propri dipendenti l'indennità di mensa di cui agli accordi dichiarati valevoli erga omnes. Il Mc Cann venne condannato dal pretore di Trieste con sentenza poi confermata dalla Cassazione. Con ciò venne respinta la tesi difensiva basata sul fatto che l'accordo sindacale originario 3 luglio 1947 avrebbe cessato di efficacia con la scadenza del termine massimo di operatività (31 dicembre 1949) per cui non poteva essere considerato compreso nel decreto delegato del Presidente della Repubblica e tanto meno nel contratto collettivo 25 luglio 1959 che tale accordo non aveva recepito.

A seguito di tale condanna Ciullo Giovanna ed altri dipendenti dalla menzionata ditta adirono lo stesso pretore in sede civile per ottenere il pagamento della predetta indennità.

Con ordinanza emessa il 22 luglio 1966 nei detti procedimenti civili riuniti, il pretore ha sollevato questione di legittimità costituzionale del menzionato D.P. 25 settembre 1960, n. 1433 (legge delegata).

Nell'ordinanza si rileva che con la legge di delega furono conferiti al Governo poteri legislativi al fine di rendere efficaci erga omnes i contratti collettivi in vigore: che il contratto collettivo 25 luglio 1959 ha disciplinato tutta la materia del rapporti di lavoro degli operai industria calzature, rivalutando altresì i salari, senza menzionare in alcun modo, neppure nell'art. 44, settimo comma, che precisa gli elementi costituenti la retribuzione, l'indennità di mensa prevista dai citati precedenti accordi, la quale pertanto dovrebbe ritenersi evidentemente assorbita nella nuova disciplina: che il decreto del Presidente della Repubblica 25 settembre 1960, n. 1433, attribuendo efficacia erga omnes anche gli Accordi 3 luglio 1947 e 31 marzo 1953 in relazione all'indennità di mensa, parrebbe avere oltrepassato i limiti della delega legislativa, per cui sarebbe costituzionalmente illegittimo in relazione all'art. 87, quinto comma, della Costituzione.

Quanto alla rilevanza della questione, il pretore osserva che, se é vero che il legale rappresentante della "Lucky Shoe" Company, sig. Tommaso Mc Cann fu condannato con sentenza irrevocabile in sede penale per violazione degli artt. 1 e 8 della legge 14 luglio 1949, n. 741, ciò potrebbe spiegare efficacia nel giudizio civile, a norma dell'art. 28 del Codice di procedura penale solo per quanto concerne l'accertamento del fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, ma non circa l'individuazione della disciplina regolante il rapporto in contestazione.

L'ordinanza, notificata il 27 luglio 1966 alle parti private ed il 28 successivo al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti del due rami del Parlamento, come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 239 del 24 settembre 1966.

Avanti alla Corte costituzionale si é costituita la società "Lucky Shoe" rappresentata e difesa dagli avvocati Umberto Movia e Silvio Moro, che hanno depositato le proprie deduzioni l'11 ottobre 1966.

La difesa della società osserva che il decreto presidenziale impugnato ha attribuito efficacia di legge all'accordo del 1947, già estinto però fin dal 31 dicembre 1949, in quanto per la clausola espressa contenuta nell'accordo stesso, questo poteva essere prorogato tacitamente solo fino a tale data. D'altra parte l'accordo successivo del 1953 non faceva riferimento a quello del 1947, ormai estinto, ma si limitava ad aumentare l'importo della indennità di mensa da 30 a 50 lire giornaliere, considerandone destinatari i lavoratori non in quanto appartenenti alla categoria stipulante dell'accordo del 1947, ma quali soggetti che avevano seguitato a fruire dell'indennità per effetto di un trattamento di miglior favore. Questi effetti sarebbero peraltro anche venuti meno in conseguenza della stipulazione del contratto 25 luglio 1959, così come posto in luce nell'ordinanza di rinvio, onde manifesta sarebbe la esorbitanza del decreto presidenziale impugnato dai limiti della delega.

Conclude pertanto chiedendo dichiararsi l'illegittimità del ripetuto decreto.

Si sono anche costituiti la Ciullo Giovanna ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Aurelio Becca e Giuseppe Di Stefano, che hanno depositato le deduzioni l'11 ottobre 1966.

La difesa del predetti ricorda che il legale rappresentante della società "Lucky Shoe" fu condannato in sede penale per avere omesso di corrispondere ai propri dipendenti l'indennità di mensa de qua e conferma che la Ciullo e gli altri avevano chiamato appunto la società in giudizio in sede civile sulla base di detto giudicato per ottenere il pagamento delle somme a tal titolo dovute.

Contesta poi la fondatezza della questione osservando che dalla circostanza della mancata menzione della indennità di mensa nel contratto collettivo del 1959 non potrebbe desumersi la volontà delle parti di prescinderne in sede di determinazione delle retribuzioni, e ciò anche se le categorie stipulanti, nel concordare un aumento delle retribuzioni, abbiano trattato espressamente del superminimi contrattuali senza parlare dell'indennità in questione, poiché a tale interpretazione restrittiva si opporrebbero i criteri ermeneutici desumibili dagli artt. 1362 segg. e 1365 del Codice civile.

Inoltre, afferma la difesa che, a norma dell'art. 2047 del Codice civile il contratto collettivo, anche nel regime attuale, continuerebbe a produrre i suoi effetti pur dopo la sua scadenza, essendo inconcepibile che delle categorie di lavoratori rimangano prive di contratto. Onde bene avrebbe fatto il Governo ad includere nel decreto presidenziale impugnato anche gli accordi del 1947 e del 1953, tanto più che la indennità di mensa é considerata come elemento della retribuzione, e cioè rientra nel "trattamento economico" cui si riferisce l'art. 1 della legge delega n. 741 del 1959.

Osserva, infine, la difesa che non sarebbe invocabile l'art. 15 delle disposizioni preliminari al Codice civile sull'abrogazione delle leggi giacché il nuovo contratto collettivo del 1959 non avrebbe regolato l'intera materia del rapporto di lavoro in esame, che comprendeva fra l'altro, e separatamente, l'indennità di mensa, per escludere la quale sarebbe stata quindi necessaria una espressa statuizione abrogativa. E ciò senza dire che sarebbe inconcepibile che con il contratto collettivo del 1959 che migliorava le retribuzioni si fosse voluto sopprimere l'indennità, che risponde ad una integrazione del salario assai importante, specie in periodi di aumenti di prezzi del generi alimentari.

Conclude pertanto chiedendo dichiararsi infondata la questione.

Si é infine costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le deduzioni il 2 settembre del 1966.

L'Avvocatura rileva che il pretore non avrebbe tenuto presente che la indennità di mensa ha formato oggetto di una generale disciplina a favore del lavoratori in genere con D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1026, che rende efficace "per tutti" l'accordo interconfederale 20 aprile 1956.

Ciò posto, prosegue osservando che secondo la formula della delegazione di cui alla legge n. 741 del 1959 il Governo, nell'emanazione delle norme delegate, avrebbe dovuto uniformarsi alle clausole degli accordi "stipulati" e "depositati", il che significherebbe che rientravano nell'ambito della delega tutte le materie "comunque toccate" dall'autonomia negoziale delle associazioni sindacali. Arbitrario quindi sarebbe voler sostenere che la delega sarebbe circoscritta soltanto alle clausole degli accordi in vigore alla data di entrata in vigore della legge, dovendovisi invece comprendere anche gli accordi scaduti, purché depositati e pubblicati.

D'altra parte, sostiene pure l'Avvocatura che il contratto collettivo del 1959 non avrebbe affatto inteso abrogare le convenzioni concernenti l'indennità di mensa del 1947 e del 1953, tanto più che detti accordi furono regolarmente depositati da parte del sindacati per renderne possibile l'estensione erga omnes ai sensi della legge n. 741 del 1959, il che dimostrerebbe che non erano considerati superati.

Conclude quindi chiedendo dichiararsi infondata la questione come sopra sollevata dal pretore di Trieste.

La difesa della società "Lucky Shoe" ha tempestivamente depositato una memoria illustrativa con cui insiste sulle precedenti deduzioni concernenti il preteso eccesso del decreto impugnato dai limiti della delega, e contesta le argomentazioni avversarie.

In particolare osserva che sarebbe fuori di luogo il richiamo della difesa della Ciullo ed altri alla asserita ultrattività degli accordi sindacali del 1947 e del 1953, ai sensi dell'art. 2047 del Codice civile, giacché, anche secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, tale norma non sarebbe applicabile nei riguardi del contratti collettivi post corporativi, come appunto quelli in esame.

Osserva altresì che l'avvenuto deposito degli accordi stessi presso il Ministero del lavoro e la conseguente pubblicazione nell'apposito bollettino non avrebbero alcun significato quanto alla vigenza degli accordi stessi, rappresentando una attività rimessa alla mera discrezionalità della parte contraente che intenda esplicarla.

Insiste infine nell'affermare che, proprio dalla mancanza nel contratto collettivo del 1959 di una qualsiasi clausola abrogativa della indennità di mensa, dovrebbe desumersi la pacifica decadenza degli accordi de quibus, essendo ovviamente superflua ogni menzione di accordi già decaduti.

Conferma pertanto le già rassegnate conclusioni. Anche la difesa della Ciullo ed altri ha depositato una memoria con cui, richiamandosi al principio della unità della giurisdizione garantita dall'art. 28 del Codice di procedura penale, rileva testualmente che la condanna penale irrevocabile pronunciata a carico del Mc Cann per l'omessa corresponsione dell'indennità di mensa ai dipendenti della società "si parerebbe in modo insuperabile di fronte alla questione di costituzionalità sollevata".

Anche l'Avvocatura dello Stato ha infine depositato nei termini una memoria illustrativa con cui insiste sulle già svolte argomentazioni e rileva in particolare che l'accenno ad una pretesa violazione dell'art. 39 della Costituzione sulla libertà sindacale contenuto nella difesa della società "Lucky Shoe", oltre ad esorbitare dai limiti della questione così come proposta nella ordinanza di rinvio, sarebbe chiaramente infondata giacché gli accordi ed il contratto recepiti nel decreto presidenziale impugnato sarebbero stati liberamente stipulati fra le parti, di talché non sarebbe ipotizzabile nessuna violazione della libertà sindacale.

Insiste pertanto nelle precedenti conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Nelle deduzioni presentate nell'interesse di Ciullo Giovanna ed altri, a sostegno dei motivi di infondatezza della questione di costituzionalità, si sostiene che, a seguito del giudizio penale contro il datore di lavoro, la questione, poi sollevata in sede civile davanti lo stesso giudice, non sarebbe stata proponibile per impedimento costituito da quel giudicato.

L'assunto non é fondato.

Esso si risolve in una critica del giudizio di rilevanza compiuto nell'ordinanza di rinvio, la quale non ha trascurato di motivare sul punto dell'esistenza del giudicato penale, ritenendolo non ostativo per decidere sulla questione di costituzionalità. Ciò é sufficiente per ritenere ammissibile l'esame della questione.

2. - L'ordinanza di rinvio prospetta il dubbio di illegittimità dell'articolo unico del decreto presidenziale delegato 25 settembre 1960, n. 1433, nella parte in cui attribuisce efficacia erga omnes agli Accordi 3 luglio 1947 e 31 marzo 1953 concernenti l'apprestamento di mense aziendali e l'indennità sostitutiva a favore del lavoranti nei calzaturifici.

Il motivo di dubbio consisterebbe nel fatto che detti Accordi non recepiti espressamente nel successivo contratto collettivo nazionale di lavoro 25 luglio 1959 e da considerarsi assorbiti in esso e nelle nuove tabelle retributive, contenute in un accordo sindacale stipulato in pari data, dovrebbero considerarsi scaduti e decaduti. L'averli compresi nel decreto delegato, in aggiunta al contratto collettivo, costituirebbe un eccesso dai limiti, di sostanza e di forma, segnati dalla legge delegante n. 741 del 1959.

A sua volta, la società "Lucky Shoe", nel sostenere la tesi della incostituzionalità, assume che, ancora prima della data del predetto contratto collettivo, l'Accordo 3 luglio 1947, che ha segnato il riconoscimento della indennità di mensa per la categoria in esame, avrebbe esaurito tutti i suoi effetti col raggiungimento della data massima di operatività coincidente col 31 dicembre 1949.

3. - La questione non é fondata.

Anzitutto, va osservato che l'assunto della società nel senso di ritenere anticipata al 31 dicembre 1949 la data di scadenza dell'Accordo 3 luglio 1947 non é esatto.

L'interpretazione restrittiva così data alla formula dell'Accordo e basata sul presupposto di una durata non prorogabile né prorogata oltre un biennio, é smentita dal secondo Accordo, che dimostra come nel 1953 la persistenza degli effetti del primo Accordo ancora perdurava, tanto che si conveniva una maggiorazione della misura della indennità.

La formula dell'Accordo va, quindi, rettamente intesa, come di fatto la si é intesa e praticata dalle parti interessate, nel senso di una sua prorogabilità di anno in anno, in difetto di una tempestiva disdetta, disdetta che é escluso sia mai intervenuta.

L'altro assunto, su cui precipuamente si basano i dubbi di costituzionalità contenuti nella ordinanza di rinvio, nel senso di una sopravvenuta decadenza degli Accordi per incompatibilità con il contratto collettivo, é ugualmente non fondato.

Tale assunto parte da una premessa esatta, di cui però si fa erronea applicazione.

É esatto che per determinare "tutte le clausole del singoli accordi economici stipulati dalle associazioni sindacali" cui il Governo era autorizzato ad uniformarsi secondo l'art. 1 della legge di delega n. 741 del 1959 allo scopo di dettare norme giuridiche valevoli erga omnes, non dovevasi tener conto di accordi successivamente modificati o sostituiti, in forza di atti ulteriori.

Tuttavia, quanto così ritenuto non trova, poi, esatta rispondenza nei successivi assunti.

Al fatto che, non figurando contenuto nel contratto collettivo 25 luglio 1959 (e nelle coeve tabelle salTimes New Romani) alcun riferimento alla indennità di mensa, ma soltanto alla retribuzione, non può annettersi significato abrogativo del precedenti Accordi.

Vero che, come ritenuto in giurisprudenza, l'indennità di mensa se riconosciuta e accordata, ha natura di integrazione di retribuzione: ma ciò soltanto, come ben precisato nell'Accordo interconfederale 20 aprile 1956, per considerarla "elemento utile ai fini del calcolo della indennità sostitutiva di preavviso e di anzianità, nonché del trattamento di festività, ferie, gratifica natalizia e tredicesima mensilità" Sicché non é giustificata la conseguenza che, quando le tabelle di normale retribuzione non la prevedano espressamente, tale indennità debba ritenersi esclusa.

Trattasi, invero, di indennità che ha una sua particolare natura, una sua autonoma ragion d'essere, manifestata testualmente, per quanto riguarda i calzaturifici, fin dall'accordo 3 luglio 1947, come contributo a sostegno della situazione alimentare.

Con ciò si spiega e si giustifica il trattamento separato dell'indennità stessa. Trattamento che ha avuto una sua particolare estrinsecazione, per quanto riguarda la computabilità nella retribuzione ai fini suindicati, nel citato Accordo interconfederale 20 aprile 1956, che le norme generali di cui all'art. 55 del contratto collettivo 25 luglio 1959 hanno fatto espressamente salvo, al pari di tutti gli Accordi interconfederali e che il decreto presidenziale 14 luglio 1960, n. 1026, ha, poi, a sua volta, dichiarato estensibile erga omnes.

A conferma di ciò, é da considerare che anche il precedente contratto collettivo 31 maggio 1948 per gli operai del calzaturifici non conteneva alcuna disposizione circa l'indennità di mensa, regolata dall'Accordo 3 luglio 1947 e che, nonostante la mancata menzione, tale indennità ben lungi dall'essere considerata assorbita nella retribuzione, ha continuato ad essere riconosciuta e corrisposta, al di fuori del contratto collettivo.

Ne deriva che il decreto presidenziale 25 settembre 1960, nell'estendere erga omnes gli Accordi 3 luglio 1947 e 31 marzo 1953 si é uniformato al dettato della legge delegante n. 741 del 1959 allo scopo, ivi dichiarato, di garantire, mediante norme transitorie, i minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori.

Non sussiste, quindi, alcun vizio di illegittimità costituzionale per superamento di limiti segnati dalla delega legislativa.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con ordinanza 22 luglio 1966 dal pretore di Trieste nei riguardi dell'articolo unico del decreto del Presidente della Repubblica 25 settembre 1960, n. 1433 (recante norme sul trattamento economico e normativo del lavoratori dipendenti da imprese esercenti la produzione di calzature) per eccesso di delega rispetto alla legge 14 luglio 1959, n. 741.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 maggio 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 17 giugno 1968.