Sentenza n. 48 del 1968
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SENTENZA N. 48

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 20 e 21 del R.D. 7 agosto 1936, n. 1639, sulla riforma degli ordinamenti tributari, promosso con ordinanza emessa il 14 ottobre 1966 dal Tribunale di Torino nel provvedimento civile vertente tra la società F.I.M.I. e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 243 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967.

Visti gli atti di costituzione della società F.I.M.I. e dell'Amministrazione finanziaria dello Stato; udita nell'udienza pubblica del 1 aprile 1968 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv. Emilio Romagnoli, per la società F.I.M.I., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per l'Amministrazione delle finanze dello Stato.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, un'ordinanza del Tribunale di Torino, datata 14 ottobre 1966 ed emessa in un procedimento per opposizione ad ingiunzione fiscale promossa dalla società F.I.M.I. contro l'Amministrazione delle finanze dello Stato, ha proposto questione di legittimità costituzionale degli artt. 20 e 21 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, sulla riforma degli ordinamenti tributari, in quanto siano interpretati nel senso che, nell'ipotesi di più condebitori solidali d'imposta, decada dal diritto di contestare il valore accertato anche quel contribuente cui non sia stato notificato il valore venale che l'amministrazione reputa doversi attribuire ai beni oggetto di un trasferimento sottoposto ad imposta, sufficiente essendo che quel valore sia notificato ad uno degli altri condebitori solidali.

Il Tribunale ha rilevato che in tal senso é la interpretazione ormai costante della Cassazione e che da tale interpretazione esso non intende discostarsi; ha soggiunto che il sistema che ne risulta viene a frustrare il diritto del cittadino di fare accertare dalle commissioni tributarie il valore tassabile e nega al contribuente la tutela giurisdizionale di un proprio diritto. Assolutamente inutile é approntare organi ai quali é affidato il compito di apprestare tale tutela quando al cittadino é impedito di adirli; e tale impedimento sussiste quando il cittadino non é messo in grado di aver conoscenza di un provvedimento soggetto a ricorso e del momento da cui inizia il decorso del termine di decadenza per la presentazione dell'impugnazione.

L'ordinanza é stata notificata alla parte privata il 21 novembre 1966 ed il giorno successivo all'Avvocatura dello Stato per l'Amministrazione delle finanze dello Stato, e quindi al Presidente del Consiglio dei Ministri il 28 stesso mese. É stata comunicata alle due camere del Parlamento in data 19 novembre 1966. L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 28 gennaio 1967, n. 25.

2. - Si sono costituiti innanzi a questa Corte il contribuente e l'Amministrazione delle finanze; non vi é stato intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il contribuente si é limitato a chiedere l'illegittimità delle norme denunziate.

L'Amministrazione delle finanze ha contrastato tale istanza. Ha rilevato in primo luogo che le norme suddette non fanno cenno della solidarietà tributaria e non vietano al contribuente di agire in giudizio per la tutela del propri diritti né limitano tale azione: la configurazione giuridica della solidarietà fiscale nel senso indicato dal Tribunale promana dai principi fondamentali dell'ordinamento tributario e da norme peculiari ad ogni particolare ordinamento dell'imposta (nella specie, dall'art. 93 della legge di registro), in considerazione del carattere pubblicistico della prestazione e della sua unitarietà, perché é unico ed inscindibile l'oggetto dell'imposta, quindi il presupposto dell'obbligazione, così da determinare la nascita di un rapporto giuridico oggettivamente unico, e da escludere che l'accertamento del tributo sia scomponibile in tanti parziali accertamenti quanti sono i condebitori. La conseguenza é che gli atti delle varie fasi del processo di accertamento, svolti nei confronti di uno solo degli obbligati, debbono ritenersi comunicabili agli altri. Il potere di riscossione dei tributi riceve nella Costituzione una sua particolare tutela, e il maggior rigore che informa il sistema interpretato nel modo suddetto ha una propria ragion d'essere nell'opportunità di evitare, in una materia intensamente permeata dall'interesse pubblico, la possibilità che, nella stessa controversia, si abbiano più pronunce difformi ovvero una disparità di trattamento fra più soggetti passivi dell'obbligazione d'imposta. É prassi degli uffici fiscali di notificare l'accertamento a tutti i coobbligati perché ciò corrisponde ad una più efficace tutela degli interessi fiscali; ma se talora la notificazione viene omessa nei confronti di uno di essi o, come nella specie, non ha potuto eseguirsi, non ne risulta una lesione della garanzia inerente alla tutela giurisdizionale, perché i condebitori sanno che l'obbligazione solidale é sorta nel momento in cui si é verificato il presupposto, e che la dichiarazione d'imponibile é oggetto di revisione da parte dell'amministrazione finanziaria; l'inerzia del condebitore, che non abbia comunicato agli altri la notifica dell'accertamento, non può essere a rischio dell'amministrazione e determinare un vizio di incostituzionalità. Tra i condebitori esiste normalmente il diritto di rivalsa, e il debitore pregiudicato dall'inerzia del condebitore può far dichiarare la responsabilità di quest'ultimo.

3. - All'udienza del 1 aprile 1968 i difensori delle parti hanno ribadito le proprie tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Senza fondamento si sostiene che il Tribunale di Torino non ha dato al giudizio odierno un obietto idoneo.

L'assunto si fonda sulla lettera delle norme denunciate (gli artt. 20 e 21 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, concernente la riforma degli ordinamenti tributari), che non pone espressi divieti o limitazioni alla tutela giurisdizionale del diritti del contribuente.

Ma il Tribunale ha interpretato quelle norme nel senso che, nell'ipotesi di obbligazione tributaria solidale, la notificazione dell'accertamento di valore fatta ad uno solo del contribuenti fa decorrere anche contro gli altri il termine per il ricorso alla commissione distrettuale delle imposte; e in ciò ha ravvisato una lesione della garanzia inerente alla tutela giurisdizionale. Poiché tale avviso risulta appoggiato ad una adeguata motivazione sulla rilevanza della questione e sulla sua non manifesta infondatezza, il presente giudizio può reputarsi ritualmente provocato.

2. - Circa il merito della questione proposta, questa Corte rileva che il Tribunale di Torino ha preso l'avvio da un'opinione secondo la quale l'obbligazione solidale di diritto tributario non riunisce più vincoli, come l'obbligazione solidale di diritto civile, ma lega in unico rapporto tutti i debitori, fino al punto che, contestata verso uno solo di essi, la pretesa fiscale di nuova stima del bene oggetto di trasferimento svolge i suoi effetti anche verso tutti gli altri, assorbendo nella difesa di uno la difesa di tutti.

Questa interpretazione del sistema, consolidata da lunghissimo tempo, ha resistito al dissenso di una parte notevole della dottrina; ma non riesce a superare il vaglio della norma costituzionale invocata nell'ordinanza che ha dato origine all'odierno giudizio.

3. - Secondo l'art. 24, primo comma, della Costituzione, la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi é garantita a "tutti": la norma ha una formulazione tanto generale da colpire qualsiasi esclusione della tutela giurisdizionale, soggettiva od oggettiva, e qualsiasi limitazione che ne renda impossibile o difficile l'esercizio da parte di uno qualunque degli interessati. Non possono perciò dirsi coerenti a così larga garanzia, norme come quelle denunciate, per le quali la tutela giurisdizionale di tutti i condebitori viene consumata dall'esercizio o dalla disposizione del diritto che ne fa uno solo di essi.

La norma costituzionale, nella sostanza, dà ad ogni soggetto protetto dall'ordinamento il diritto di esperire le azioni e le difese che siano idonee a realizzare la protezione del proprio interesse; la pluralità del debitori di una medesima prestazione, determinando la contemporanea incidenza dell'obbligazione nella sfera di più soggetti, fa sì che ciascuno é abilitato - ad esperire un'azione o una difesa processualmente autonoma, per la tutela contro le pretese del creditore che eccedano l'ambito del dovuto. Per quanto, del resto, unitariamente possa essere costruito il vincolo che lega i condebitori di imposta, esso mai darebbe luogo a rapporti di reciproca rappresentanza, per le ragioni altre volte espresse riguardo all'obbligazione solidale di diritto civile sotto il vigore del Codice del 1865. Con riferimento particolare all'imposta di registro, rispetto ad essa manca spesso un interesse comune financo fra gli autori dell'atto che vi soggiace, se pure alcuni di costoro siano in comunione riguardo al diritto che é oggetto del negozio documentato: basterà ricordare che l'art. 1475 del Codice civile, se non vi é patto contrario, pone a carico dell'acquirente le spese del contratto di vendita e le altre accessorie (tra le quali si sogliono comprendere quelle inerenti all'imposta di registro), in modo da porre in contrasto di interessi, rispetto a questa imposta, venditore e compratore. E un contrasto del genere si riproduce fra le parti di ogni altro atto, ove questo contenga la clausola, ritenuta valida fra le parti, che pone l'imposta a carico di una sola di esse.

Un sistema che toglie ad alcuni condebitori di un tributo ogni possibilità di difesa autonoma del proprio interesse perché fa espandere fino a loro gli effetti del giudicato ottenuto nei confronti di altro coobbligato, un sistema che estende a quei condebitori una preclusione verificatasi nei rapporti di un altro o che comunque consente di comunicare ad uno solo del coobbligati una pretesa che riguarda anche tutti gli altri, permette all'amministrazione finanziaria di notificare la pretesa stessa a quel condebitore che, essendo nullatenente, o per altre ragioni, possa non avere convenienza a contrastare l'istanza o ad impugnare la pronunzia sfavorevole, eventualmente anche per evitare anticipi di spese da lui non sopportabili; pertanto é un sistema che lascia arbitra l'amministrazione finanziaria di porre fuori dal diritto di difesa condebitori interessati ad esplicarla. Il che é contrario alla regola inderogabile fissata nell'art. 24, primo comma, della Costituzione.

La notifica del maggior valore di un bene oggetto di un atto imponibile non lede certamente questa regola se può servire, per un larghissimo accostamento all'art. 1310 del Codice civile, ad impedire la decadenza dell'amministrazione finanziaria dal diritto a far valere la sua pretesa di nuova stima entro il termine fissato nel secondo degli articoli denunciati, non si deve avere rilevanza sul decorso del termine stabilito per ricorrere anche per colui al quale essa non é stata rivolta; il quale dell'istanza viene ad ignorare l'esistenza, pur dovendo risentirne gli effetti. Se il contribuente al quale il condebitore non ha reso nota la pretesa che l'amministrazione fiscale gli ha notificato potrà anche aver diritto verso di questi al risarcimento del danno, tale diritto non riceverebbe pratica soddisfazione ove il condebitore non avesse beni sufficienti a coprire la propria responsabilità patrimoniale.

Non é persuasivo obiettare che, contestandosi soltanto verso uno degli obbligati la pretesa fiscale ad una nuova stima, si evitano contrasti o difformità di giudicati relativamente alla stessa obbligazione d'imposta, e si evita altresì che l'accertamento venga scomposto in tanti diversi accertamenti quanti sono i condebitori: se l'obbligazione d'imposta é inscindibile, come sostiene l'amministrazione finanziaria, l'accertamento non potrà essere che unico rispetto a tutti i condebitori, e la decisione sulle opposizioni non potrà pronunziarsi se non in confronto di tutti gli obbligati, secondo le norme degli artt. 102 e 331 del Codice di procedura civile, le quali esprimono regole di ordine generale.

Le norme denunciate non si legittimano nemmeno facendo capo alla speciale posizione che l'ordinamento costituzionale assicura alla potestà tributaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte: la tutela preferenziale non può intendersi apprestata alla pretesa fiscale fino ad obbligare all'imposta soggetti che non vi sono tenuti, o a porre l'obbligazione a loro carico in una misura superiore a quella concretamente dovuta, come potrebbe accadere se, in parte qua, rimanessero in vita le disposizioni portate dal Tribunale di Torino al sindacato di questa Corte.

4. - La questione proposta é perciò fondata nei limiti suddetti.

La declaratoria relativa non può limitarsi agli effetti dell'imposta di registro alla quale si riferisce la causa pendente innanzi al giudice a quo, data la formulazione delle norme denunciate, che contemplano genericamente e inscindibilmente tutte le imposte sui trasferimenti di ricchezza e dato che le ragioni addotte non hanno carattere esclusivo per l'imposta di registro.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 20 e 21 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, sulla riforma degli ordinamenti tributari, limitatamente alla parte per la quale, dalla contestazione dell'accertamento di maggior imponibile nei confronti di uno solo del coobbligati, decorrono i termini per l'impugnazione giurisdizionale anche nei confronti degli altri.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 aprile 1968.

 

Aldo SANDULLI - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI  - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 16 maggio 1968.