Sentenza n. 136 del 1967
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SENTENZA N. 136

12 DICEMBRE 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 506 del Codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 novembre 1966 dal pretore di Todi nel procedimento penale a carico di Giontella Giuseppe, iscritta al n. 238 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967;

2) ordinanza emessa il 28 gennaio 1967 dal pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Milesi Vittorio, iscritta al n. 58 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1967.

Udita nella camera di consiglio del 18 ottobre 1967 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza dell'11 novembre 1966, emessa nel procedimento penale contro Giontella Giuseppa, il pretore di Todi, ritenendo che la facoltà concessa al pretore di pronunziare decreto di condanna senza avere prima interrogato l'imputato e contestato il fatto in un mandato rimasto senza effetto possa violare il diritto di difesa, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 506 del Codice di procedura penale in riferimento all'art. 3 e al secondo comma dell'art. 24 della costituzione.

Pur avendo questa Corte, con le sentenze n. 170 del 12 dicembre 1963 e n. 27 del 17 marzo 1966, dichiarato non fondata la questione, nella ordinanza si osserva che la speciale procedura per decreto elimina il dibattimento, non la fase istruttoria e che prima della decisione di condanna si versa sostanzialmente nello stato processuale della istruzione sommaria, nel quale stato dovrebbero essere garantiti l'intervento e tutti i diritti della difesa. Qualora poi dovesse ritenersi che, per la specialità del giudizio per decreto, la procedura manchi di una vera e propria fase istruttoria, ridotta a semplici investigazioni preliminari, sarebbe violato l'art. 3 della costituzione, a ragione del diverso trattamento che il giudice può fare, del tutto discrezionalmente, a seconda che scelga una procedura piuttosto che un'altra.

Nel procedimento penale a carico di Milesi Vittorio, il pretore di Padova - dopo avere proceduto ad istruzione sommaria, ed eseguito un accertamento peritale - ha emesso decreto penale di condanna. In sede di opposizione, il difensore dell'imputato ha eccepito la illegittimità costituzionale dello art. 506 del Codice di procedura penale per violazione dei diritti della difesa. Ed il pretore, rilevando un contrasto tra il secondo comma dell'art. 24 della costituzione e la facoltà di emettere decreto penale in procedimenti nei quali siano stati compiuti atti istruttori, senza avere prima interrogato l'imputato e senza l'osservanza delle norme relative all'intervento del difensore negli accertamenti peritali, ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti a questa Corte.

Le due ordinanze sono state comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967 e n. 102 del 22 aprile 1967. Poiché esse prospettano la medesima questione, i relativi procedimenti possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.

Nel presente giudizio non vi é stata costituzione di parti, sicché la questione é stata decisa in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due ordinanze rilevano che la specialità del giudizio per decreto elimina la fase dibattimentale ma non la fase istruttoria, nella quale dovrebbero essere tutelati i diritti della difesa, garantiti dalla costituzione in ogni stato e grado del processo. Perciò l'art. 506 del Codice di procedura penale, consentendo la pronunzia di una decisione di condanna senza avere prima interrogato l'imputato e senza aver rispettato gli altri diritti della difesa, violerebbe il secondo comma dell'art. 24 della costituzione.

2. - La questione é stata già decisa con le sentenze di questa Corte n. 170 del 12 dicembre 1963 e n. 27 del 17 marzo 1966, le quali ne hanno dichiarato l'infondatezza, in quanto il decreto penale costituisce una decisione preliminare, contro la quale l'imputato può proporre opposizione, sicché l'esperimento dei mezzi di difesa é rinviato al vero e proprio giudizio, che si svolge, con la stessa ampiezza dei procedimenti ordinari, dopo che l'opposizione ha messo nel nulla il decreto penale. Il rinvio dell'esercizio del diritto di difesa alla fase dibattimentale non può ritenersi in contrasto col precetto costituzionale dell'art. 24, quando trovi giustificazione nella struttura particolare e si armonizzi con le esigenze che regolano le diverse forme di procedimento, come questa Corte ha deciso con la sentenza n. 46 del 1957. Non si possono porre in secondo piano le ragioni per le quali, per i reati indicati dall'art. 506 del Codice di procedura penale, il legislatore ha voluto adottare un procedimento speciale, semplice e spedito, che si traduce in un vantaggio non soltanto per l'economia dei giudizi e per il lavoro degli uffici giudiziari, ma anche per lo stesso imputato che, accettando il decreto, non dovrà subire un vero e proprio procedimento con tutte le conseguenze dannose derivanti da esse. Per altro, dall'esame degli atti espressamente imposti dalla norma, devono risultare un complesso di elementi sufficienti ad avvalorare la sussistenza del reato, e la presunzione di acquiescenza dell'imputato alla condanna per decreto.

3. - In quanto alle particolari ragioni addotte dalle ordinanze, la Corte non ritiene necessario di prendere posizione sul punto assai discusso in dottrina se veramente sussiste uno "stato istruttorio" prima della pronunzia del decreto penale, quando la norma di legge ha usato, a ragion veduta, il termine "investigazioni" e quando lo stato istruttorio snaturerebbe nelle sue linee essenziali questo particolare procedimento. La Corte si limita ad osservare che, anche a volere ammettere che vi sia uno stato istruttorio, con la sentenza n. 33 del 20 aprile 1966, si é statuito che, qualora il pretore ritenga necessario compiere atti di istruzione non può prescindere dalla contestazione del fatto all'imputato prima di emettere il decreto di citazione. É questo un principio di carattere generale in materia di istruzione eseguita dal pretore, applicabile quindi anche al caso del decreto penale, quando nella fase preliminare ad esso si proceda ad atti istruttori.

4. - Anche per quanto attiene alla violazione dell'art. 3 della costituzione, la Corte ha deciso con sentenza n. 46 del 12 aprile 1967 che non é in contrasto con tale articolo, per la eventuale disparità di trattamento che ne derivere6e a soggetti in pari situazioni, la facoltà di scelta attribuita al pretore di adottare una forma di procedura piuttosto che un'altra.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 506 del Codice di procedura penale, sollevata con ordinanza dell'11 novembre 1966 dal pretore di Todi e del 28 gennaio 1967 dal pretore di Padova in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1967.