Sentenza n. 114 del 1967
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 114

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 215 del R.D. 6 novembre 1926, n. 1848, e dell'art. 210 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T. U. delle leggi di pubblica sicurezza), promosso con ordinanza emessa il 20 gennaio 1966 dalla Corte di cassazione - Sezioni unite civili - nel procedimento civile vertente tra la Camera del lavoro di Sannicandro Garganico, Fioritto Aurelia e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 79 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 124 del 21 maggio 1966.

Visti gli atti di costituzione della Camera del lavoro di Sannicandro Garganico, di Fioritto Aurelia e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 14 giugno 1967 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi l'avv. Mauro Gargano, per la Camera del lavoro, l'avv. Franco Agostini, per la Fioritto, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile vertente davanti alle Sezioni unite civili della Corte di cassazione tra la Camera del lavoro di Sannicandro Garganico, l'Amministrazione delle finanze dello Stato, e la signora Aurelia Fioritto, la difesa della Camera del lavoro ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 215 del T. U. delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 6 novembre 1926, n. 1848, e dell'art. 210 del successivo T. U. delle medesime leggi, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, in riferimento agli artt. 18 e 42 della Costituzione.

L'art. 215 del T. U. del 1926 riconosceva la facoltà del prefetto di "decretare lo scioglimento delle associazioni, enti o istituti costituiti od operanti nel Regno che svolgano comunque attività contraria all'ordine nazionale dello Stato" e di ordinare col medesimo provvedimento "la confisca dei beni sociali".

La stessa norma é contenuta nel citato articolo 210 del successivo T. U., con la sola variante che il bene giuridico tutelato non é più "l'ordine nazionale dello Stato", ma sono "gli ordinamenti politici costituiti nello Stato".

Le Sezioni unite, ritenuta la questione non manifestamente infondata e rilevante per la risoluzione del giudizio in corso, hanno sospeso il procedimento e trasmesso gli atti a questa Corte. L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

2. - L'ordinanza premette che, con decreto emesso dal prefetto di Foggia il 14 maggio 1928 in applicazione del ricordato art. 215 del T. U. del 1926, fu disposto lo scioglimento dell'associazione dei lavoratori riuniti sotto la denominazione di Camera del lavoro di Sannicandro Garganico per avere questa svolta attività contraria all'ordine nazionale, e che, in conseguenza, fu "confiscato" il fabbricato costruito dall'associazione medesima e adibito con il nome di "Casa del popolo" per la riunione degli associati. Con atto di citazione del 10 settembre 1954 l'Amministrazione delle finanze conveniva davanti al Tribunale di Bari la Camera del lavoro di Sannicandro Garganico per sentirla condannare al rilascio del fabbricato denominato "ex casa del popolo" trasferito al Demanio dello Stato in virtù del ricordato decreto prefettizio e, poi, dal 1 gennaio 1948, occupato dalla detta Camera del lavoro. La Camera del lavoro eccepì che l'immobile era stato costruito nel 1908 su un terreno dell'on. Domenico Fioritto, che ne era divenuto proprietario per accessione. Il Tribunale con sentenza 6 luglio 1960, dichiarato inammissibile l'intervento dell'erede dell'on. Fioritto, signora Aurelia Fioritto, accolse la domanda dell'Amministrazione. La decisione del Tribunale fu confermata dalla Corte di appello di Bari, con sentenza 4 maggio 1962, senza delibare l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 215 citato sollevata già in quella sede dalla Camera del lavoro di Sannicandro.

3. - L'ordinanza prosegue affermando che il potere conferito al prefetto dalle due norme impugnate "non appare agevolmente conciliabile" né con l'art. 18 della Costituzione, che afferma il diritto dei cittadini "di associarsi liberamente senza autorizzazione per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale, né con l'art. 42 che riconosce e garantisce la proprietà privata e ne consente l'espropriazione soltanto per motivi d'interesse generale e salvo indennizzo". La confisca prevista dai due articoli di legge impugnati non configurerebbe una misura di sicurezza patrimoniale conseguente a condanna penale quale quella prevista dall'art. 236, n. 2 del Codice penale, sebbene avrebbe la natura di una sanzione politico-amministrativa diretta a reprimere l'attività delle associazioni dopo il loro scioglimento e ad impedire in conseguenza la libertà di associazione riconosciuta e garantita dall'art. 18 della Costituzione.

L'ordinanza respinge la tesi dell'Amministrazione che l'eccezione di costituzionalità non possa essere sollevata contro norme dell'ordinamento che abbiano svolto ed esaurito i loro effetti nell'ambito del precedente ordinamento costituzionale, per il quale la loro legittimità non era discutibile. Tale tesi é stata più volte disattesa dalla Corte costituzionale, che ha non soltanto dichiarato l'assoggettabilità al controllo di costituzionalità delle norme anteriori all'entrata in vigore della Costituzione, ma anche di quelle abrogate, quando permangano nell'ordinamento situazioni tali, la cui rilevanza, sul piano costituzionale, giustifichi la proponibilità del giudizio di costituzionalità.

Nella specie la tesi dell'Amministrazione é tanto più infondata in quanto il solo fatto che la norma in questione, trasfusa nell'art. 210 del T. U. del 1931, é tuttora vigente e suscettibile di effetti sui rapporti ancora controversi, é sufficiente per investire la Corte del giudizio di costituzionalità, attesa l'indubbia rilevanza della decisione conseguente sull'esito del giudizio. Se, infatti, la norma che attribuisce il potere sopra descritto fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, la proprietà dell'immobile non potrebbe più essere riconosciuta in favore dello Stato rivendicante.

4. - Nel presente giudizio si é costituita la Camera del lavoro di Sannicandro Garganico rappresentata e difesa dall'avv. Mauro Gargano con atto di deduzioni depositate il 4 maggio 1966, nel quale riproduce i motivi esposti nell'ordinanza di rimessione a sostegno della non manifesta infondatezza della questione sollevata, con ampi riferimenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale sia sulla proponibilità delle questioni di norme anteriori all'entrata in vigore della Costituzione, o di norme abrogate, sia sulla libertà di associazione e sui limiti del potere di ordinanza del prefetto. Chiarisce anche, con riferimenti giurisprudenziali e dottrinali, la natura della "confisca" prevista dalle norme impugnate.

5. - Si é costituita la signora Aurelia Fioritto in Napolitano, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Agostini, con deduzioni depositate il 28 aprile 1966, nelle quali chiede la dichiarazione di illegittimità delle norme impugnate, palesemente in contrasto con gli artt. 18 e 42 della Costituzione, "perché disconoscono la libertà di associazione" e "prevedono la perdita di beni senza alcun indennizzo e al di fuori dell'ipotesi prevista dalla Costituzione".

6. - Si é costituito il Ministero delle finanze nella persona del suo Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Nelle deduzioni depositate il 10 giugno 1966, l'Avvocatura afferma che le questioni prospettate alla Corte "trascendono manifestamente ogni suo particolare interesse nella lite", sicché non intende proporre proprie conclusioni, ma rimettersi alla giustizia della Corte. Tuttavia, ritiene opportuno fare qualche considerazione "per completezza e per un più preciso orientamento sulle questioni sollevate".

A suo avviso non potrebbe sorgere un contrasto di quelle norme con l'attuale Costituzione, dato che l'ordine nazionale dello Stato e gli ordinamenti politici costituiti nello Stato coinciderebbero con la stessa Costituzione oggi in vigore. Si potrebbe anzi dire che, esercitando quel potere, il prefetto riaffermerebbe la Costituzione, non si porrebbe con il suo provvedimento in contrasto con essa. Ad avviso dell'Avvocatura si potrebbero considerare l'art. 215 e il 210 una "norma in bianco", che si completerebbe mediante il rinvio ai principi fondamentali della Costituzione: l'ente associativo che questi violi incorre nella relativa sanzione.

Sul piano specifico dell'art. 18, occorre ricordare che il diritto di libera associazione trova un limite qualora l'associazione persegua fini vietati dalla legge penale; e che, inoltre, l'art. 270 Codice penale in vigore punisce le associazioni che abbiano la finalità di sovvertire l'ordinamento politico-giuridico dello Stato, vale a dire l'ordinamento costituzionale. Né le cose cambierebbero, se il riferimento fosse fatto alla Costituzione in vigore nel momento in cui venne emesso il decreto di scioglimento della Camera del lavoro di Sannicandro, sorgendo anche in questa ipotesi un contrasto tra i fini dell'associazione e la Costituzione in vigore. La conclusione sarebbe diversa se si dovesse giungere, come non pare possibile, all'esame del contrasto dell'art. 215 in rapporto alla Costituzione allora in vigore, con la Costituzione attuale perché in questo caso il contrasto si porrebbe tra le due Costituzioni e sarebbe un contrasto indiscusso e completo.

Nemmeno ipotizzabile la violazione dell'art. 42 della Costituzione. Rimarrebbero fuori dell'ambito di applicazione di quest'articolo i casi in cui la perdita della proprietà é conseguenza di una sanzione per un illecito commesso con un uso particolare dei beni confiscati. La confisca, quale misura di sicurezza patrimoniale, trova la sua disciplina generale negli artt. 236 e 240 del Codice penale che non sono, sicuramente, in contrasto con l'art. 42 della Costituzione. E per le stesse ragioni, conclude l'Avvocatura, in quanto la confisca sia prevista come sanzione, non si dovrebbe profilare un contrasto tra il ricordato art. 42, l'art. 210 del T. U. delle leggi di pubblica sicurezza e gli artt. 362 e seguenti del relativo regolamento, approvato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635.

7. - Contro queste considerazioni dell'Avvocatura la difesa della signora Fioritto ha depositato una memoria il 1 giugno 1967.

La norma denunciata non potrebbe in alcun modo conciliarsi con l'attuale ordinamento costituzionale, che si fonda sui principi di libertà tutelati giurisdizionalmente, e in particolare con la libertà di associazione, consacrata nell'art. 18 della Costituzione, giacché a questa libertà essa pone limiti nuovi estesissimi e discrezionali. Il riferimento agli ordinamenti politici contenuti nell'art. 210 del T. U. del 1931 é tanto ampio che non può coincidire col limite posto dall'art. 18 della Costituzione che é quello soltanto della legge penale. L'ambito della norma denunciata é più ampio anche di quello dell'art. 270 del Codice penale, in quanto abbraccia altresì i casi di associazioni, che, pur non proponendosi di sovvertire gli ordinamenti economico-sociali dello Stato, "siano in sé, concettualmente, e per i fini proposti, contrari agli ordinamenti politici". A sostegno delle sue tesi la difesa invoca la giurisprudenza della Corte in tema di libertà di associazione (sentenza n. 69 del 1962).

Anche il tentativo dell'Avvocatura di collegare l'art. 210 alle norme penali, che prevedono la confisca al fine di salvarlo dalla censura mossa ex art. 42 della Costituzione, non é ammissibile, in quanto la confisca regolata dall'art. 240 del Codice penale segue la condanna del giudice ed ha per oggetto le cose destinate a commettere il reato o che ne sono state il prodotto o il profitto, ed é evidentemente fuori della ipotesi normativa oggetto del presente giudizio. Ad ogni modo, conclude la difesa, il provvedimento della confisca é un mezzo predisposto dal legislatore fascista contro la libertà di associazione e non si può assegnarle né il carattere penale, né quello restitutorio o risarcitorio.

8. - All'udienza del 14 giugno le difese delle parti hanno brevemente esposte le tesi già svolte negli atti scritti.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte di cassazione ha sottoposto all'esame di questa Corte tanto la questione di costituzionalità dell'art. 215 del T. U. delle leggi di pubblica sicurezza, approvata con R.D. 6 novembre 1926, n. 1848, quanto quella dell'art. 210 del successivo T. U. approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, (che abrogò il primo), perché, come si é accennato nell'esposizione del fatto, la norma contenuta nella prima delle disposizioni citate, trasfusa nella seconda, sarebbe tuttora vigente e suscettibile di effetti sui rapporti ancora in contesa. Con questa prospettazione della questione di costituzionalità é stata respinta l'eccezione, sollevata dall'Avvocatura dello Stato nel giudizio a quo, della improponibilità di questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti di norme che abbiano esaurito i loro effetti nel periodo di tempo in cui, essendo in vigore un diverso ordinamento costituzionale, la legittimità di quelle norme non poteva essere posta in discussione. L'eccezione dell'Avvocatura, nei termini nei quali é stata sollevata, si risolve, infatti, in una questione di rilevanza, sulla quale, nei limiti più volte segnati da questa Corte, anche in rispetto a norme abrogate, il giudizio spetta al giudice a quo, il quale non si può dire che, nel caso, non abbia osservato quei limiti, dando di quel giudizio una sufficiente e non contraddittoria motivazione. La difesa dello Stato, del resto, non ha nemmeno richiamato, in questo sede, l'eccezione pregiudiziale sollevata davanti alle Sezioni unite della Cassazione e da queste respinta.

2. - Nel merito la questione é fondata.

Le due norme impugnate sono quasi dell'identico tenore, sicché i medesimi argomenti valgono per dimostrare l'illegittimità costituzionale dell'una e dell'altra.

Le norme impugnate furono emanate all'evidente fine di vietare l'esercizio di ogni e qualsiasi attività, in forma associata, che il prefetto ritenesse contraria "all'ordine nazionale dello Stato" o "agli ordinamenti politici costituiti nello Stato". Evidente perciò il loro contrasto col nuovo ordinamento costituzionale, nel suo spirito informatore e nei suoi principi fondamentali; e, in particolare con l'art. 18 che garantisce la libertà di associazione dei cittadini, vietando soltanto le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

É vero che la Corte ha avuto occasione di affermare più volte che l'origine e la ratio di una disposizione legislativa non possono essere considerate decisive per una esatta interpretazione della norma, che va considerata, invece, nella sua struttura obiettiva e nella sua capacità di trovare posto nell'ambito del nuovo ordinamento costituzionale (sentenza n. 5 del 1962 e n. 9 del 1965); ed é anche vero che da questo principio la Corte ha tratto le ragioni per dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 272 del Codice penale (sentenza n. 87 del 1966). Ma nel caso in esame proprio la struttura obiettiva delle norme non consente di vedere nel fine che esse intendono perseguire un interesse tutelabile nell'ambito della Costituzione.

Parlare, perciò, come fa l'Avvocatura, di una norma in bianco, più esattamente di una norma che possa assumere in sé contenuti diversi, anzi addirittura opposti, non ha senso. Con le norme impugnate si volle e si vuole impedire l'esistenza di associazioni che svolgano "comunque" attività contraria "all'ordine nazionale" o "agli ordinamenti politici costituiti nello Stato". Ora, in uno Stato di libertà, qual é quello fondato dalla nostra Costituzione, é consentita l'attività di associazioni che si propongano anche il mutamento degli ordinamenti politici esistenti, purché questo proposito sia perseguito con metodo democratico, mediante il libero dibattito e senza ricorso, diretto o indiretto, alla violenza.

3. - L'illegittimità delle norme impugnate travolge anche quella parte di esse che consente al prefetto di ordinare "la confisca dei beni sociali". Non é necessario perciò richiamare l'art. 42, terzo comma della Costituzione, che non consente l'espropriazione della proprietà privata sena indennizzo. Una misura come quella prevista dagli articoli impugnati non trae la sua illegittimità dal fatto che non sia previsto un indennizzo per i beni confiscati, ma dal fatto che essa concorre strettamente, insieme con la facoltà di scioglimento, a impedire l'esercizio di una libertà fondamentale quale quella di associazione. Tanto che si potrebbe affermare che anche la previsione di un indennizzo del bene confiscato non sarebbe sufficiente, in un caso come quello in esame, a fondarne la legittimità.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 215 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 6 novembre 1926, n. 1848, e dell'art. 210 del successivo Testo unico delle medesime leggi, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1967.