Sentenza n. 104 del 1967
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SENTENZA N. 104

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino PAPALDO, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 24 gennaio 1953, n. 18, promosso con ordinanza emessa l'8 novembre 1965 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Manzolini Ettore, l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale e il Ministero dell'agricoltura e delle foreste, iscritta al n. 35 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30 aprile 1966.

Visti gli atti di Costituzione di Manzolini Ettore, del Ministero dell'agricoltura e delle foreste e dell'Ente di riforma;

udita nell'udienza pubblica del 26 aprile 1967 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv. Rosario Nicolò, per il Manzolini, l'avv. Guido Astuti, per l'Ente di riforma, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Ministero dell'agricultura e delle foreste.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 13 febbraio 1961 nel giudizio promosso da Ettore Manzolini contro l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale e il Ministero dell'agricultura e delle foreste, rimise a questa Corte una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Manzolini con riferimento al D.P.R. 24 gennaio 1953, n. 18, emanato in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, con il quale era stata disposta l'espropriazione in danno della società per azioni Azienda agraria della Castelluccia, di alcuni terreni siti in territorio del comune di Roma, che il Manzolini assumeva fossero stati a lui trasferiti con atto 15 giugno 1942, rogato notaio Clementi: il Tribunale si riferì alla sentenza 26 febbraio 1959, n. 8 di questa Corte, che aveva dichiarato l'illegittimità di un decreto presidenziale di espropriazione disposta in attuazione della stessa legge 21 ottobre 1950, n. 841, per aver compreso nel procedimento di scorporo terreni non appartenenti al soggetto espropriato.

Questa Corte, investita della questione, il 7 giugno 1962, decidendo nel contraddittorio del Manzolini, dell'Ente di riforma e del Ministero dell'agricoltura e foreste, rinviò gli atti al Tribunale. Considerò che questo, pur avendo ricordato l'assunto dell'Ente di riforma e del ministero, secondo cui l'errore denunciato dal Manzolini non era rilevante, si era fermato al motivo dell'appartenenza del bene ad un soggetto diverso da quello contro il quale era stato diretto il procedimento di espropriazione; osservò altresì che l'Ente di riforma e il ministero avevano pure contestato che il Manzolini potesse opporre quell'errore, sia perché, essendo unico azionista e successore della Castelluccia, sarebbe terzo rispetto al procedimento di espropriazione, sia perché l'errore sarebbe stato da lui causato, avendo fatto credere all'esistenza attuale della Castelluccia; rilevò inoltre che l'ente di riforma e il ministero avevano sostenuto la proponibilità di tali motivi per il riflesso che, nella specie, era stata impugnata una legge- provvedimento; concluse ritenendo necessaria una nuova valutazione dei presupposti di ammissibilità del giudizio di legittimità costituzionale, previa l'istruttoria del caso sui punti controversi suesposti.

2. - Il Tribunale, nuovamente investito della causa, procedette all'esame richiesto nell'ordinanza 8 novembre 1965.

Ritenne in punto di fatto:

a) che inattuabile, se non in base ad apprezzamenti ipotetici, era l'accertamento di quanto sarebbe potuto accadere se l'errore non avesse influito nelle determinazioni dell'Ente espropriante, anche se doveva ammettersi che il Manzolini avrebbe dovuto subire in proprio un'espropriazione maggiore rispetto a quella patita;

b) che era pacifico che il Manzolini era, alla data dell'assegnazione, l'unico azionista della Castelluccia;

c) che era inoltre rimasto accertato anzitutto che il Manzolini si era qualificato come consigliere delegato di quest'ultima, in data 9 ottobre 1951, quando aveva avanzato richiesta di esonero ai sensi dell'art. 10 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e, in secondo luogo, che successivamente, in data 5 gennaio 1953, si era qualificato come proprietario della società quando aveva sottoscritto l'atto di rinunzia al beneficio del terzo residuo per l'esproprio a carico della società stessa.

In linea di diritto il Tribunale considerò:

a) che l'illegittimità costituzionale del decreto, diretto contro un soggetto non proprietario dei beni, discendeva dal fatto obiettivo dell'avere il decreto ecceduto i limiti della delegazione, e che erano pertanto irrilevanti, sia i motivi che avevano determinato l'errore, sia le indirette conseguenze favorevoli per il privato derivate dall'errore stesso;

b) che, anche ad ammettere che, in materia di legge- provvedimento, la valutazione dei presupposti dell'impugnazione possa rientrare nei poteri del giudice a quo, avrebbe dovuto pur sempre concludersi che i motivi dedotti dai convenuti non escludevano, per lo meno manifestamente, la sussistenza dei predetti presupposti;

c) che l'interesse del Manzolini alla decisione non era escluso perché era pacifico che, scaduto il termine della delegazione legislativa, una maggiore espropriazione in danno dello stesso non sarebbe stata più possibile, e perché comunque la dichiarazione d'incostituzionalità era il presupposto necessario dell'azione di risarcimento dei danni derivati dall'occupazione attuata in base a titolo che si pretendeva illegittimo, salva, s'intende, l'ulteriore questione del se possa tenersi conto, in sede di liquidazione del danno, del dedotto vantaggio indiretto o riflesso che dall'illegittimità del decreto sarebbe derivato all'attore;

d) che ininfluenti erano le circostanze che il Manzolini era stato unico azionista della Castelluccia ed era divenuto, in sede di liquidazione, l'assegnatario dei beni della stessa, perché la società, dotata di personalità giuridica, era pur sempre un autonomo soggetto di diritto e perché l'assegnazione non metteva capo ad una successione a titolo universale, la quale, del resto, sarebbe comunque avvenuta in epoca anteriore all'espropriazione;

e) che nel comportamento del Manzolini non era univocamente ravvisabile l'intenzione di causare l'errore, ed esso non escludeva l'obbligo dell'Ente di riforma, che non doveva acquietarsi nemmeno alle risultanze catastali, di individuare il vero proprietario del terreno.

La nuova ordinanza é stata notificata alle parti il 13 e il 14 gennaio 1966; al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministero dell'agricoltura e foreste il 13 dello stesso mese. Il 10 febbraio 1966 é stata comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento.

Nella nuova fase svoltasi innanzi a questa Corte si sono costituiti il Ministero il 18 aprile 1966; il Manzolini e l'Ente di riforma il 20 successivo.

Successivamente le parti stesse hanno presentato memorie in data 12 e 13 aprile 1967.

3. - Il Manzolini ribadisce che il contegno da lui tenuto nelle more del procedimento di espropriazione non potrebbe avere la minima influenza sulla legittimità del decreto denunciato, che l'errore che ha investito questo decreto é insanabile e che non é proponibile l'esame dell'effettiva consistenza e rilevanza delle cause dell'errore stesso.

Rileva che il suo intervento presso il Ministero era stato successivo alla pubblicazione dei piani di espropriazione e perciò può dirsi, non che egli aveva determinato l'errore, ma che non aveva assunto particolari iniziative per eliminarlo; egli peraltro aveva chiesto un'applicazione più precisa della legge, cui avrebbe avuto diritto anche se fosse stato riconosciuto il suo diritto di proprietà, e non potrebbe essergli imputato di non avere domandato la voltura, perché nessun obbligo aveva al riguardo e perché gli aggiornamenti catastali avvengono di ufficio.

Non é dubbio, secondo il Manzolini, che egli sia terzo rispetto al procedimento a carico della Castelluccia: la società sussisteva e manteneva la sua autonoma personalità anche rispetto a lui, unico socio, e l'assegnazione dei beni della Castelluccia aveva provocato una successione dell'acquirente nel solo diritto di proprietà degli stessi, non in tutti i rapporti della società. Nemmeno si può ipotizzare una qualche sua responsabilità in dipendenza della sua qualità di amministratore della società, essendo evidente che a lui non poterono essere stati trasferiti obblighi della stessa; ciò senza dire che non é possibile pretendere di sanare l'errore che inficia il decreto spostando l'effetto giuridico dell'atto da una sfera ad un'altra.

Il Manzolini osserva altresì che non sembra dubbia l'inesistenza di idonei mezzi giuridici che permettano l'impugnazione di una legge-provvedimento per vizio della volontà nella formazione dell'atto e che ne consentano la correzione; la legge- provvedimento può essere oggetto d'interpretazione, non di valutazione di validità ai fini di accertare se vi sia un interesse di un soggetto ad impugnarla. Dall'interpretazione del provvedimento discende però che esso é stato emesso nel presupposto che il soggetto passivo contro il quale era diretto fosse ancora sussistente e che tale soggetto fosse titolare del complesso di beni che esso espropriava; la constatazione dell'insussistenza di quei presupposti impone la necessità di disapplicare il provvedimento. L'inesistenza del soggetto passivo (salvo i casi previsti di successione mortis causa) rende inoperante materialmente il provvedimento per obiettiva impossibilità di applicazione; l'erronea indicazione del titolare rende inapplicabile il provvedimento, al titolare designatovi, perché mancano i presupposti, e al bene oggetto del provvedimento, perché la sua scelta é stata erroneamente effettuata nella convinzione dell'appartenenza ad una sfera patrimoniale della quale invece non faceva parte. Una volta che si rilevi la erroneità dell'individuazione del soggetto e della consistenza del patrimonio preso in considerazione non si può dire che quegli stessi beni, nella medesima o in maggiore o minor misura, sarebbero ugualmente ricaduti sotto espropriazione nei confronti di un diverso soggetto, se non prendendo in considerazione e riesaminando tutto il diverso patrimonio di cui facciano parte e la composizione di esso; il che, tra l'altro, oltre a costituire un processo di accertamento su ciò che si sarebbe potuto verificare e non si é verificato, configura un procedimento che potrebbe essere svolto soltanto in sede di formazione di un provvedimento diverso, che, nella specie, non v'é stato e non vi può essere. Correggere il provvedimento mediante la sostituzione del nominativo indicatovi con il nominativo che appare ed é attualmente il titolare di beni considerati, significherebbe dare per presupposte quelle attività di accertamento e di calcolo che, in realtà, non sono state effettuate e, per di più, non tener conto, nel riferimento concreto al Manzolini, della diversa ripercussione di tale nuova situazione sull'autonomo provvedimento che ha avuto riguardo al patrimonio del Manzolini; il quale, essendogli stati espropriati terreni che avevano perduto la natura agraria, erano divenuti edificabili e sono situati alle porte di Roma, ha subito un pregiudizio patrimoniale del tutto esorbitante rispetto ai fini e agli obiettivi della legge di riforma agraria; mentre, se un diverso provvedimento fosse stato adottato, avrebbe avuto l'espropriazione di beni a destinazione più strettamente agricola con minore danno. Di fronte ad un provvedimento - legge non si può esaminare ciò che il legislatore avrebbe dovuto fare se non fosse incorso in un errore, ma deve aversi preoccupazione soltanto della sua esecuzione e della sua sfera di applicazione.

4. - L'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco- laziale rileva anzitutto la contraddizione contenuta nella nuova ordinanza di rimessione, la quale ammette, da un lato, che, se la proprietà Castelluccia fosse stata computata al Manzolini, questi avrebbe dovuto subire un esproprio maggiore, ma asserisce, dall'altro, che l'accertamento di quanto sarebbe potuto accadere altrimenti é inattuabile se non in base ad apprezzamenti ipotetici; il Tribunale avrebbe potuto e dovuto, ricorrendo eventualmente ad un consulente tecnico, sommare la superficie ed il reddito dominicale della proprietà del Manzolini e di quella a lui pervenuta a seguito della liquidazione della Castelluccia e procedere al calcolo della quota espropriabile a carico del Manzolini in base alla consistenza complessiva della sua proprietà al 15 novembre 1949. L'Ente osserva inoltre che il nuovo giudizio sulla rilevanza é stato formulato nei termini più generici ed astratti, senza riferimento cioé alle caratteristiche particolari delle fattispecie concrete, con riguardo alle quali la Corteaveva chiesto di compiere una nuova valutazione dei presupposti di ammissibilità del giudizio. Il Tribunale ha esorbitato dal giudizio sulla non manifesta infondatezza con il dichiarare irrilevanti i motivi dell'errore e gli effetti dell'errore stesso, mentre la Corte aveva chiesto di effettuare l'istruttoria del caso su tali motivi e sulle conseguenze dell'errore; ha fatto riserve sulla sua competenza a valutare i presupposti di inammissibilità dell'impugnazione, mentre tale valutazione attiene al giudizio sulla rilevanza, e ha così giudicato su tali presupposti ai soli effetti della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità; ha escluso che l'annullamento del decreto non recherebbe vantaggio al Manzolini dato che una maggiore espropriazione in danno di lui non sarebbe più possibile, dimostrando di intendere in modo rigidamente formalistico la funzione giurisdizionale; ha motivato con riguardo ad un vantaggio antigiuridico ed ingiusto, e quindi in termini che egualmente contrastano con le esigenze di una corretta attuazione concreta dei principi dell'ordinamento giuridico, quando ha ritenuto la rilevanza della questione sotto l'unico profilo che la dichiarazione d'incostituzionalità del decreto rimuoverà l'ostacolo che impedisce al Manzolini di riprendersi quei terreni o di conseguirne il valore venale, con un ingiustificato ed ingiusto esonero della riforma fondiaria. Il Tribunale, considera ancora l'Ente di riforma, ha dato rilevanza alla separata personalità della Castelluccia, mentre il Manzolini ne era l'unico azionista, l'unico amministratore, l'unico assegnatario del patrimonio sociale, mentre la società era stata sempre uno strumento nelle sue mani, sotto il suo controllo diretto e personale, a tal segno che egli si era servito di essa per sottrarre la metà del suo patrimonio alla coammassazione con l'altra società facendo credere che la società, fosse ancora in vita, là dove essa aveva cessato di esistere fin dal 1942. L'Ente di riforma critica infine l'assunto dell'ordinanza circa la mancanza nel Manzolini dell'intenzione di causare l'errore, rilevando che nel 1951-1953 egli si era presentato amministratore della società liquidata fin dal 1947 per chiedere ed ottenere l'esonero dell'azienda modello, per rinunciare al beneficio del terzo residuo e per trattare un'eventuale permuta, considerando che il Manzolini si era limitato a chiedere la voltura, mediante esibizione di un atto appositamente redatto a tal fine, di sole ha. 67,24,40, e lasciando che continuassero a risultare in catasto alla società ha. 950,87,30.

Nel merito l'Ente di riforma sostiene che l'illegittimità del decreto di espropriazione non può essere dichiarata quando colui che si presenta come terzo proprietario rivendicante un suo compendio terriero, erroneamente espropriato a carico di un altro soggetto, é un proprietario terriero già altrimenti soggetto all'applicazione della riforma fondiaria e doveva essere espropriato anche come proprietario di quel compendio, per giunta, in misura molto superiore a quella che lo ha colpito considerando l'esistenza di due compendi appartenenti a soggetti diversi. Nella specie, in luogo di un solo decreto a carico del Manzolini sulla base della sua proprietà di ha. 1.875, sono stati emanati due distinti decreti, uno a carico del Manzolini sulla base di ha. 925 e un altro a carico della società Castelluccia sulla base della proprietà di ha. 950; ed il caso é perfettamente simile a quello in cui si fosse erroneamente colpita con due distinte espropriazioni e quindi per quote complessivamente inferiori la proprietà terriera di un soggetto defunto e quella diversa del suo erede, senza procedere al coacervo delle due proprietà. Non basta dire che, nel caso Manzolini, si tratta di acquisto a titolo particolare, perché non può nemmeno contestarsi che, nella devoluzione del patrimonio di una persona giuridica a favore dell'unico avente diritto (nella specie, azionista unico della società), si abbia un fenomeno giuridico del tutto analogo a quello della successione a causa di morte. Né può dirsi che l'erronea intestazione di un decreto d'espropriazione ad un soggetto già estinto, dante causa di quello al quale il decreto avrebbe dovuto essere intestato, costituisca vizio essenziale di legittimità costituzionalmente rilevante, l'unico profilo di incostituzionalità che può venire in considerazione essendo quello di un eventuale eccesso rispetto ai termini della delegazione legislativa.

L'Ente Maremma riafferma che il Manzolini non ha subito danno ingiusto dal decreto impugnato. Il Governo aveva il potere-dovere di espropriare il Manzolini in base alla consistenza della sua proprietà di complessive ha. 1.875: l'errore commesso é un vizio di forma non diverso da quello che si sarebbe avuto nel caso di erronea indicazione del nome dell'effettivo proprietario, il quale non incide sulla legittimità della legge delegata se il Governo non ha espropriato più, ma meno di quel che avrebbe dovuto e, comunque, non implica una illegittimità insanabile.

5. - Il Ministero dell'agricoltura e foreste osserva anzitutto che, nella seconda ordinanza, il Tribunale ha proceduto alla nuova valutazione richiestagli dalla Corte in modo del tutto elusivo, e invece ha dichiarato il proprio dissenso di fondo con il precedente provvedimento della Corte. Questa ebbe presente che al Tribunale non poteva essere sottoposta se non una situazione di torto o di danno, la quale poteva assurgere a rilevanza solo istituendosi un paragone con quello che sarebbe avvenuto se non fossero stati commessi gli errori denunziati.

Rilevata nell'ordinanza la medesima contraddizione fatta presente dall'Ente di riforma, il ministero lamenta che il Tribunale non fece consistere l'interesse del Manzolini nella riparazione di una iniuria e l'oggetto del processo nella sostituzione di un rapporto giusto a quello ingiusto, ma in un mero esame di regolarità formale dell'atto, che ben si addice al magistrato di controllo non al giudice civile, con la conseguenza che il Manzolini verrà a conseguire, non ciò che gli é dovuto, ma ciò che non gli é dovuto.

La giurisdizione della Corte riguardo alle leggi-provvedimento non é di diritto obiettivo, ma di diritto soggettivo; cosicché tutte quelle esigenze che costituiscono il presupposto per l'esercizio della giurisdizione, e prima fra tutte l'interesse ad agire, debbono essere attuali, esistenti e verificabili. La Corte non giudica dell'atto, ma della giuridica consistenza del rapporto che all'atto soggiace, e, nella specie, tutto si può dire, meno che il Manzolini non dovesse essere espropriato o che dovesse essere espropriato in misura minore.

6. - All'udienza del 26 aprile 1967 i difensori delle parti hanno illustrato e ribadito le proprie tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le critiche che l'Ente Maremma rivolge alla nuova ordinanza del Tribunale non impediscono l'esame del merito della causa.

Il Tribunale ha confermato che la questione proposta non era manifestamente infondata ed era rilevante, non ostante fosse risultato che il Manzolini avrebbe subito un'espropriazione di maggiore estensione, ove i beni della Castelluccia fossero stati coammassati con i suoi; ha valutato anche gli assunti concernenti il comportamento tenuto dal Manzolini nelle more del procedimento di scorporo, e ha ritenuto che essi non toglievano importanza al vizio che inficiava l'atto impugnato; in tal modo ha riparato, sia pure in modo sommario, alle lacune della sua ordinanza precedente.

Le ragioni esposte dal Tribunale, servendo soltanto ad introdurre il giudizio di legittimità costituzionale, non dovevano implicare una piena, esauriente e del tutto convincente indagine, potendo avere soltanto carattere e contenuto delibativo; e nemmeno ha importanza che l'ordinanza, in taluni punti, ha proceduto apoditticamente, avuto riguardo alla giurisprudenza della Corte, per la quale é sufficiente che l'esame dei presupposti di ammissibilità del processo costituzionale risulti svolto in modo implicito (sentenze 21 giugno 1960 n. 44, 11 dicembre 1962 n. 108, 13 maggio 1965 n. 40). E ciò può ritenersi che, nella fattispecie, sia comunque avvenuto.

2. - Nel merito risulta pacifico che, successivamente alla pubblicazione del piano particolareggiato, il Manzolini si inserì nel procedimento contro la Castelluccia qualificandosi, dapprima, consigliere delegato della stessa e, in seguito, suo "proprietario", null'altro opponendo che l'esistenza di un'azienda modello e rinunciando anzi al beneficio del terzo residuo; egli inoltre trattò con l'Ente di riforma una permuta dei beni di compendio Castelluccia con altri estranei ad esso, a lui separatamente espropriati. Così operando, il Manzolini non venne a spiegare se non il suo esclusivo interesse, perché egli stesso assume che a seguito del rogito Clementi la Castelluccia si estinse; la società non poteva rivivere attraverso le istanze che ne contemplavano il nome, e perciò la qualifica di "proprietario della Castelluccia", in tale situazione, altro non poteva significare se non "proprietario dei beni espropriati al nome della stessa". Il Manzolini cioé affermava che l'espropriazione in danno della Castelluccia era espropriazione in danno di lui, eliminava ogni diaframma nominale tra lui e la Castelluccia, dichiarava la sua indifferenza ad un mutamento della direzione soggettiva dell'espropriazione dei beni già di proprietà Castelluccia, e considerava l'intestazione degli atti alla stessa del tutto equivalente alla intestazione al nome di lui.

Il Tribunale non ha esitato ad affermare che la coammassazione dei beni Manzolini e di quelli Castelluccia avrebbe prodotto al Manzolini un'espropriazione di estensione maggiore di quella subita; e, più specificatamente, non é dubbio che il Manzolini sarebbe stato soggetto ad espropriazione anche per i beni intestati alla Castelluccia ove l'Ente Maremma avesse saputo che essi erano di proprietà di lui. Egli obietta che, avendo avuto espropriati terreni divenuti edificabili, con risultato del tutto esorbitante rispetto ai fini e agli obiettivi della legge di riforma, un diverso provvedimento avrebbe colpito beni a destinazione più strettamente agricola. L'obiezione non é però efficace, perché il Manzolini non oppone di avere ottenuto, nelle forme di legge, una modificazione delle risultanze catastali circa la destinazione dei suoi beni, e una modificazione avente effetto alla data del 15 novembre 1949; comunque egli non ha dimostrato al giudice a quo che il compendio Castelluccia manca dei requisiti richiesti dalle leggi di riforma. Corrispondeva perciò all'interesse del Manzolini (provato anche dal fatto che egli sollecitò la voltura catastale al suo nome soltanto per ha. 47.24.40), far svolgere senza opposizione il procedimento contro la Castelluccia, per evitare, essendo pendente il termine assegnato al Governo dalla legge 21 ottobre 1950, n. 841, che i beni trasmessigli dalla Castelluccia potessero coammassarsi con gli altri di sua proprietà, a parte investiti, con la conseguenza di uno scorporo di entità maggiore di quello che sarebbe stato disposto a seguito della separazione dei due procedimenti, secondo quanto é stato affermato dal Tribunale. Corrispondeva cioè all'interesse del Manzolini tener conto del vantaggio che il sistema gli arrecava, a preferenza del vizio che, in ipotesi, il procedimento presentava; e così essendo, egli non può insorgere contro il fatto proprio, opponendo l'illegittimità costituzionale del decreto di espropriazione, senza ammettere una sua mala fede o il suo dolo, da cui, per altro verso, non potrebbe derivare conseguenze di vantaggio.

3. - D'altra parte, la necessità che il decreto di attuazione delle leggi di riforma fondiaria sia intestato al nome del vero proprietario, come altre volte é stato affermato da questa Corte, é correlativa al fatto che il calcolo della quota di scorporo risulterebbe irregolare quando si coammassassero beni spettanti all'espropriato e beni che non gli appartengono: gli si attribuirebbe, in tal caso, un compendio di estensione e di produttività maggiore di quello che dovrebbe prendersi in considerazione, oppure si comprenderebbero nell'espropriazione beni che non avrebbero potuto rientrarvi perché appartenenti ad un compendio esente. Ove però questi beni avessero dovuto ugualmente assoggettarsi alla legge di riforma, lo scorporo in danno del proprietario iscritto nei registri catastali, anziché in danno dell'effettivo proprietario, non é motivo di eccesso nella delegazione, perché, venendo meno, in tal caso, lo scopo per il quale l'esatta indicazione del proprietario é stata imposta, si perviene nell'ambito dell'art. 16 della legge 25 giugno I865, n. 2359, sull'espropriazione per pubblica utilità; l'applicazione di tale articolo non implica correzione del decreto di espropriazione, come sostiene il Manzolini, sebbene accertamento dell'efficacia di esso nei confronti dell'effettivo proprietario. La giurisprudenza di questa Corte invocata dal Tribunale non contrasta con ciò che oggi viene considerato: essa ha avuto sempre presenti ipotesi nelle quali non si eccepiva, come invece si eccepisce in questa causa, che il vero proprietario dei beni scorporati sarebbe stato ugualmente esposto all'espropriazione riguardo ai beni stessi. E nemmeno contrasta con quanto si é sopra osservato la precedente affermazione di questa Corte per cui v'é differenza fra l'espropriazione per pubblica utilità e l'espropriazione per l'attuazione per la riforma fondiaria; questa differenza rimane netta e precisa anche quando l'interpretazione delle leggi relative alla seconda conducano, come nella specie, a risultati che si ritrovano nel sistema della prima.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 24 gennaio 1953, n. 18, promosso dal Tribunale di Roma con ordinanza 8 novembre 1965, in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 e in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

 

Antonino PAPALDO -  Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1967.