Sentenza n. 103 del 1967
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SENTENZA N. 103

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 22, comma primo, del D.P.R. 5 luglio 1951, n. 573 (T.U. delle norme sulla dichiarazione annuale dei redditi soggetti alle imposte dirette), promossi con due ordinanze emesse il 17 novembre 1964 dalla Commissione provinciale delle imposte dirette ed indirette di Catania su ricorsi della società in nome collettivo "Petringa Francesco e figli" contro l'Ufficio delle imposte di Catania, iscritte ai nn. 28 e 29 del Registro ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 76 del 26 marzo 1966.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di Costituzione dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 12 aprile 1967 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e l'Amministrazione delle finanze dello Stato.

 

Ritenuto in fatto

 

Con due ordinanze emesse il 17 novembre 1964 (pervenute alla Corte il 17 febbraio 1966), la Commissione provinciale delle imposte di Catania ha proposto la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell'art. 22, comma primo, del D.P.R. 5 luglio 1951, n. 573, giusta il quale, in caso di omessa dichiarazione dei redditi soggetti alle imposte dirette, continuano ad essere iscritti a ruolo i redditi accertati per l'anno precedente aumentati per i redditi di categoria A, B, e C/1 del 10 per cento, salva la facoltà dell'Ufficio di rettificati. Tale questione é stata sollevata in sede di esame di due ricorsi proposti dai soci della società in nome collettivo "Petringa Francesco e figli" contro l'Ufficio delle imposte di Catania il quale, dopo aver rilevato che la dichiarazione dei redditi presentata dalla società negli anni 1953 e 1954 era priva degli elementi richiesti dalla legge e come tale da considerarsi omessa ad ogni effetto, aveva accertato i redditi di ricchezza mobile di categoria B ai sensi dell'art. 22 sopra citato. Nelle ordinanze di rimessione si sostiene che la norma impugnata é in contrasto con i richiamati precetti costituzionali in quanto creerebbe, nel caso che un contribuente abbia omesso di presentare la dichiarazione dei redditi, una disparità di trattamento, ai fini della imposizione, fra il medesimo e gli altri contribuenti che, nello stesso periodo, abbiano realizzato un medesimo reddito, e non consentirebbe a detto contribuente di assolvere l'obbligazione tributaria in proporzione alla sua capacità contributiva.

Le ordinanze sono state ritualmente comunicate, notificate e pubblicate.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, rappresentati e difesi dalla Avvocatura generale dello Stato, hanno spiegato intervento nel presente giudizio mediante deposito di deduzioni in cancelleria in data 11 dicembre 1965.

L'Avvocatura rileva anzitutto che la disposizione impugnata non deve essere considerata né come una sanzione né come una applicazione dell'istituto della conferma con il silenzio, ma bensì come una presunzione iuris et de iure in base alla quale viene determinata l'esistenza di un reddito pari a quello accertato per l'anno precedente, maggiorato del 10 per cento. Scopo di tale norma é, pertanto, non solo quello di stimolare il contribuente a presentare la dichiarazione, ma anche di consentire all'ufficio, in caso di omessa dichiarazione, di determinare ope legis un minimo di reddito, che viene in via definitiva iscritto a ruolo, afferente l'anno per il quale la dichiarazione doveva essere presentata.

Passando all'esame delle censure di incostituzionalità l'Avvocatura nega che la norma sia in contrasto col precetto di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione osservando che non sussiste l'asserita disparità di trattamento posto che diversa é la situazione del contribuente diligente che ha presentato la dichiarazione e quella del contribuente che, omettendo la presentazione, si é posto volontariamente in una posizione antigiuridica in quanto non ha adempiuto alle prescrizioni di legge (art. 3, primo comma, della legge n. 25 del 1951, e art. 1 del T.U. n. 573 del 1951). Ricorda a tale proposito l'Avvocatura che con sentenza n. 45 del 1963 questa Corte ha avuto occasione di affermare che "il principio di eguaglianza non é invocabile per legittimare la sussistenza di una situazione di illecito" e tale - a suo avviso - é la situazione del contribuente che non assolve l'obbligo tributario di presentazione della dichiarazione unica dei redditi.

Anche insussistente é l'asserito contrasto col principio della capacità contributiva enunciato nell'art. 53 della Costituzione in quanto disposizioni analoghe a quelle della norma denunziata (che stabiliscono presunzioni iuris et de iure come pure presunzioni iuris tartum) sono frequenti nel nostro sistema tributario e sono poste al fine di evitare l'evasione fiscale e nell'interesse della giusta e regolare percezione dei tributi.

D'altro canto conclude l'Avvocatura - non può disconoscersi che la presunzione stabilita nella norma in esame per determinare in via indiretta il tributo dovuto (imposta accertata per l'anno precedente aumentata del 10 per cento) sia razionalmente e logicamente idonea. L'accertamento indiretto si basa su due dati di fatto: l'esistenza di un reddito accertato per l'anno precedente e l'inesistenza di una denuncia di cessazione dell'attività produttiva del reddito accertato; il che appare sufficiente a legittimare la presunzione dell'art. 22. In altri termini l'iscrizione a ruolo, con la maggiorazione del 10 per cento, del reddito precedentemente accertato e definito corrisponde alla ragionevole presunzione, in mancanza di contraria dichiarazione dell'interessato, che esso continui, oltre che nella misura precedente, anche aumentato della percentuale, per la considerazione di un ulteriore sviluppo di attività e di un conseguente aumento di utili.

 

Considerato in diritto

 

1. - I due giudizi possono essere decisi con unica sentenza poiché prospettano alla Corte la medesima questione: se sia costituzionalmente legittima, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, la norma contenuta nell'art. 22, comma primo, del T.U. 5 luglio 1951, n. 573, sulla dichiarazione annuale dei redditi soggetti alle imposte dirette, la quale dispone che "in caso di omessa dichiarazione, i redditi accertati per l'anno precedente continuano ad essere iscritti a ruolo, aumentati, per i redditi di categoria A, di categoria B e di categoria C/1, del 10 per cento, salvo la facoltà dell'ufficio di rettificarli".

2. - Per quanto concerne la violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione la questione non é fondata.

É sufficiente rilevare in proposito che non é ravvisabile una identità di situazione tra il contribuente che ha ottemperato al dovere dell'annuale dichiarazione dei redditi e quello che non lo ha compiuto. Chi ha omesso di presentare la denuncia versa in una palese posizione antigiuridica e questa Corte ha già avuto occasione di affermare che il principio di eguaglianza non può essere invocato da chi si pone in una situazione di illecito (sent. n. 45 del 1963).

3. - Venendo all'esame del secondo motivo di incostituzionalità é d'uopo tener distinta la parte della norma impugnata giusta la quale, in caso di omessa dichiarazione, continuano ad essere iscritti a ruolo i redditi accertati per l'anno precedente, da quella che dispone l'aumento del 10 per cento dei redditi delle categorie A, B e C/1.

Il preteso contrasto con il principio della capacità contributiva non sussiste nei riguardi della prima disposizione. La reiscrizione a ruolo dei redditi accertati per l'anno precedente va considerata come una conseguenza dell'obbligo già sancito dall'art. 3, comma primo, della legge 11 gennaio 1951, n. 25, e poi riaffermato dall'art. 1 del citato T. U. n. 573 del 1951 - della presentazione annuale della dichiarazione dei redditi, anche quando non siano intervenute variazioni nei redditi già accertati. In base a tali disposizioni può affermarsi che l'accertamento del reddito imponibile avviene attraverso un'attività di collaborazione tra il contribuente e l'Amministrazione. La norma in esame opera quando vien meno detta collaborazione, nel caso cioé di comportamento omissivo del contribuente e consente all'Amministrazione di determinare il reddito da iscrivere a ruolo in misura eguale a quella accertata per il periodo precedente.

Tale iscrizione é a titolo definitivo nel senso che non é ammessa revisione in diminuzione, potendo il contribuente ricorrere contro il ruolo nei soli casi d'inesistenza o intassabilità del reddito mentre é fatta salva la facoltà di rettifica da parte dell'Amministrazione. La norma trova una duplice valida giustificazione: nel comportamento del contribuente che, pur avendo conseguito redditi soggetti ad imposta, ha omesso di dichiararli e nella esistenza di redditi accertati per l'anno precedente che fondatamente sono ritenuti un positivo indice rivelatore della capacità contributiva. Analoghe giustificazioni non ricorrono, invece, per la seconda parte della norma denunciata che dispone la maggiorazione del 10 per cento per i redditi mobiliari.

La pura e semplice considerazione di un presumibile ulteriore sviluppo dell'attività del contribuente con conseguente aumento del reddito é inidonea a legittimare la maggiorazione in esame poiché nessun elemento concreto o indice positivo può essere posto a suo fondamento. La norma denunciata preclude al contribuente di dimostrare di aver realizzato un reddito inferiore a quello iscritto a ruolo ed é del tutto irrazionale estendere tale preclusione all'aumento del 10 per cento. Per la parte in discussione la norma va quindi dichiarata costituzionalmente illegittima in riferimento all'art. 53 della Costituzione.

4. - Come conseguenza della limitata dichiarazione di illegittimità dell'art. 22, comma primo del T. U. n. 573 del 1951, negli stessi sensi e negli stessi limiti, deve altresì essere dichiarata l'illegittimità costituzionale, a norma dell'art. 27 ultima parte della legge 11 marzo 1953, n. 87, delle seguenti disposizioni del nuovo T. U. delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645: dell'art. 123 nella parte in cui in tema di imposta sui redditi di ricchezza mobile prevede identico aumento sul reddito accertato per il periodo di imposta precedente; dell'art. 141, primo comma, limitatamente alla parte in cui dispone che l'aumento del 10 per cento previsto dal precedente art. 123 spiega automatica efficacia ai fini dell'imposta complementare sul reddito; dell'art. 142 nella parte in cui fa salvo l'effetto dell'aumento del 10 per cento, previsto dal citato art. 141, primo comma, ai fini dell'imposta complementare sul reddito; dell'art. 150, secondo comma, nella parte in cui dispone che l'aumento del 10 per cento previsto dall'art. 123 spiega automatica efficacia ai fini della imposta sulle società.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 22, primo comma, del T. U. delle norme sulla dichiarazione annuale dei redditi soggetti alle imposte dirette approvato con D.P.R. 5 luglio 1951, n. 573, limitatamente alla parte in cui dispone l'aumento del 10 per cento per i redditi di categoria A, di categoria B e di categoria C/1 da iscrivere a ruolo in caso di omessa dichiarazione.

Ai sensi dell'art. 27, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e negli stessi limiti sopra indicati:

dichiara l'illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni del nuovo Testo unico delle leggi sulle imposte dirette approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645:

1) dell'art. 123 nella parte in cui prevede l'aumento del 10 per cento sul reddito accertato per il periodo di imposta precedente ai fini dell'imposta sui redditi di ricchezza mobile;

2) dell'art. 141, primo comma, nella parte in cui dispone che l'aumento del 10 per cento previsto dall'art. 123 spiega automatica efficacia ai fini dell'imposta complementare sul reddito;

3) dell'art. 142 nella parte in cui fa salvo l'effetto dell'aumento del 10 per cento, previsto dall'art. 141, primo comma, ai fini dell'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo;

4) dell'art. 150, secondo comma, nella parte in cui dispone che l'aumento del 10 per cento previsto dall'art. 123 spiega automatica efficacia ai fini della imposta sulle società.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACI O - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1967.