Sentenza n. 92 del 1967
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SENTENZA N. 92

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 435, capoverso, e 503, ultimo comma, del Codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 10 dicembre 1965 dal Tribunale di Belluno nel procedimento penale a carico di Orsini Lucio, iscritta al n. 233 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 del 12 febbraio 1966;

2) ordinanza emessa il 16 marzo 1966 dal pretore di Bari nel procedimento penale a carico di Ginefra Salvatore ed altro, iscritta al n. 82 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 124 del 21 maggio 1966;

3) ordinanza emessa il 28 marzo 1966 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Cerella Rosina, iscritta al n. 118 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 182 del 23 luglio 1966;

4) ordinanze emesse il 22 marzo, il 1, l'8 e il 15 giugno 1966, dal Tribunale di Bari nei procedimenti penali a carico di Di Gregorio Giuseppina, Cocozza Ferdinando, Carrieri Angelo ed altro e Civitano Domenico ed altro, iscritte ai nn. 86, 144, 145 e 189 del Registro ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 131 del 28 maggio 1966, n. 226 del 10 settembre 1966 e n. 284 del 12 novembre 1966.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di Costituzione di Cocozza Ferdinando;

udita nell'udienza pubblica del 15 marzo 1967 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

uditi l'avv. Paolo Tesauro, per il Cocozza, e il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un giudizio in grado di appello a carico di Orsini Lucio, il Tribunale di Belluno, con ordinanza del 10 dicembre 1965, ha sollevato di ufficio questione di legittimità costituzionale degli art. 435, capoverso, e 503, ultimo comma, del Codice di procedura penale in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Nella ordinanza si osserva che al procedimento immediato disciplinato dall'art. 435 per i reati commessi in udienza non é applicabile l'art. 503, concernente la concessione di un termine per la preparazione della difesa nei giudizi direttissimi. Da ciò risulterebbe, pertanto, la impossibilità per il difensore di predisporre un'adeguata difesa dell'imputato, onde il denunciato contrasto con le suddette norme costituzionali. I principi sanciti da queste ultime sarebbero per altro violati anche nel caso in cui ai giudizi immediati fosse applicabile l'art. 503, ultimo comma, rimettendo quest'ultimo, a sua volta, la concessione di quel termine alla discrezione del giudice.

La questione di legittimità costituzionale del solo art. 503, ultimo comma, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, é stata altresì sollevata, su istanza dei difensori degli imputati, dal Tribunale di Bari con tre separate ordinanze del 1, dell'8 e del 15 giugno 1966, nel corso di tre procedimenti penali per diffamazione a mezzo della stampa rispettivamente instaurati contro Cocozza Ferdinando, Civitano Domenico e Laforgia Nicola Oberdan, Carrieri Angelo e Laforgia Nicola Oberdan. Nelle tre ordinanze si osserva che la norma impugnata contrasterebbe con l'art. 24 perché farebbe dipendere dalla valutazione discrezionale del giudice la concessione del termine per la difesa. La norma violerebbe, altresì, il principio di eguaglianza perché l'applicabilità della disciplina prevista dall'art. 503 e non piuttosto di quella relativa a casi analoghi, in cui la concessione del termine é invece obbligatoria, verrebbe a dipendere dalla decisione, del tutto discrezionale, del pubblico ministero di procedere con rito direttissimo anziché con rito ordinario.

Lo stesso Tribunale di Bari ha sollevato ancora questione di legittimità costituzionale dell'art. 503, ultimo comma, in riferimento al solo art. 24 della Costituzione, con ordinanza del 22 marzo 1966 emessa nel corso del procedimento penale contro Di Gregorio Giuseppina. Con questa ordinanza il Tribunale di Bari, premesso che per i particolari caratteri del giudizio direttissimo la difesa dell'imputato può essere svolta solo nel dibattimento, né é quindi possibile un preventivo esame degli atti di polizia giudiziaria e di quelli compiuti dal pubblico ministero, osserva che il termine stabilito dalla norma impugnata, nella misura massima di cinque giorni, "oltre che inferiore a quello ordinario", sarebbe oggettivamente breve.

D'altra parte, la disposizione impugnata, rimettendo al discrezionale e insindacabile apprezzamento del giudice la concessione del termine, creerebbe una situazione di disparità rispetto alle ipotesi analoghe prevedute dagli artt. 130 e 446 dello stesso Codice, nelle quali la concessione del termine a difesa per il caso di sostituzione del difensore e, rispettivamente, di nuove contestazioni in dibattimento, é obbligatoria. Tutto ciò sarebbe in contrasto con il principio della inviolabilità del diritto di difesa in giudizio, di cui l'art. 24 intenderebbe -ad avviso del Tribunale - assicurare non solo la certezza, ma anche una pienezza di esercizio.

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 503 in riferimento all'art. 24 della Costituzione é stata, infine, sollevata, su istanza dei difensori, anche dal pretore di Milano, con ordinanza del 28 marzo 1966 emessa nel corso del procedimento penale contro Cerella Rosina, e da quello di Bari, con ordinanza emessa il 16 marzo 1966, nel corso del procedimento penale contro Ginefra Salvatore e Lagalante Luigi. Nella prima ordinanza si osserva che l'attribuzione al giudice di un potere discrezionale in ordine alla concessione del termine a difesa violerebbe l'art. 24, giacché tale valutazione attiene non all'acquisizione o meno di un mezzo di prova, ma all'esercizio stesso del diritto di difesa. Nella seconda si rileva invece che la discrezionalità nella concessione del termine sarebbe in contrasto con le esigenze di certezza e le necessarie garanzie connesse alla inviolabilità del diritto di difesa sancite dall'art. 24.

Tutte le ordinanze sono state regolarmente notificate e comunicate. Esse risultano pubblicate nell'ordine sui seguenti numeri della Gazzetta Ufficiale: n. 38 del 12 febbraio 1966; n. 226 del 10 settembre 1966; n. 284 del 12 novembre 1966; n. 226 del 10 settembre 1966; n. 131 del 28 maggio 1966; n. 182 del 23 luglio 1966; n. 124 del 21 maggio 1966. Nel giudizio a seguito della ordinanza del Tribunale di Belluno si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato; si é costituito anche il difensore dell'imputato Cocozza. I rispettivi atti risultano depositati in cancelleria il 29 gennaio e il 16 luglio 1966. Il difensore del Cocozza in data 2 marzo 1967, ha altresì depositato una memoria illustrativa.

L'Avvocatura dello Stato ritiene che la questione proposta dal Tribunale di Belluno circa la legittimità costituzionale degli artt. 435 e 503, ultimo comma, del Codice di procedura penale sia infondata. In questo senso si richiama al principio più volte affermato dalla Corte costituzionale, per il quale, se il diritto di difesa deve essere inteso come effettiva potestà di assistenza tecnica e professionale nel giudizio, al fine di assicurare il contraddittorio e di rimuovere ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti, tuttavia l'esercizio di tale diritto deve essere regolato secondo le particolari caratteristiche di ogni singolo procedimento. Alla stregua di tale principio, sia la impossibilità di concedere un termine a difesa nei giudizi immediati per i reati commessi in udienza, sia la riserva alla valutazione discrezionale del giudice circa la concessione del termine nei giudizi direttissimi si giustificano senz'altro tenuto conto della particolare funzione e delle speciali esigenze connesse ai due suddetti procedimenti.

La difesa del Cocozza riprende le argomentazioni svolte dal Tribunale di Bari con l'ordinanza del 1 giugno 1966; e, in particolare, sostiene che il potere riconosciuto al giudice di rifiutare la concessione del termine a difesa nei giudizi direttissimi, più che dare luogo a una mera diversità nelle modalità di esercizio del diritto di difesa, si risolverebbe in un vero e proprio sacrificio, o quanto meno pregiudizio, del diritto stesso, in contrasto, altresì, con la disciplina riservata in materia a situazioni del tutto analoghe, come quelle di cui agli artt. 130 e 446 dello stesso Codice.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le questioni sulle quali la Corte deve decidere sono due:

a) se sia costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, l'art. 435 del Codice di procedura penale, in quanto non dispone per il giudizio immediato per reato commesso in udienza la concessione di alcun termine per la difesa: questione sollevata dal Tribunale di Belluno con ordinanza del 10 dicembre 1965;

b) se sia costituzionalmente illegittimo il terzo comma dell'art. 503 del Codice di procedura penale, in quanto dispone che nel giudizio direttissimo il termine per preparare la difesa viene concesso soltanto se il giudice lo ritiene necessario: questione sollevata dal Tribunale di Belluno nell'ordinanza già citata, dal pretore di Bari con ordinanza del 16 marzo 1966, dal pretore di Milano con ordinanza del 28 marzo 1966, dal Tribunale di Bari con ordinanze del 22 marzo e del 1, 8 e 15 giugno 1966, in riferimento all'art. 24 della Costituzione; ed in riferimento anche all'art. 3 dalle citate ordinanze del Tribunale di Belluno e del Tribunale di Bari.

É da rilavare, circa l'ordinanza del Tribunale di Belluno, che nel giudizio di primo grado nessuna richiesta di termine a difesa era stata avanzata; e che l'ordinanza del Tribunale di Bari fu emessa dopo che in una precedente udienza il termine a difesa era stato richiesto ed ottenuto.

Poiché il Tribunale di Belluno solleva entrambe le questioni nella stessa ordinanza e le altre ordinanze riguardano identica materia, si decide con unica sentenza.

2. - Le due questioni non sono fondate.

L'art. 435 del Codice di procedura penale prevede una forma specialissima di giudizio, il cui precipuo carattere é quello di attuarsi immediatamente dopo la commissione del reato, affinché, dati i particolari suoi effetti nell'ambiente e nelle circostanze in cui si verifica, si abbia senza indugio l'applicazione della sanzione e la riaffermazione del diritto. Tale forma di giudizio verrebbe meno in quella che é la sua propria natura ed efficacia se dovesse sospendersi a seguito di concessione di un termine per la difesa. Il diritto di difesa trova d'altra parte anche nel giudizio immediato la sua piena soddisfazione, giacché, essendo il reato commesso in pubblica udienza, la immediatezza degli elementi probatori rende possibile alla difesa di assolvere il suo compito, così come rende possibile al giudice di assolvere il suo. Anche relativamente alla questione in esame la Corte deve richiamare ciò che ha statuito in altre sentenze, vale a dire che le esigenze del processo penale, ai fini della migliore possibile applicazione della legge, si risolvono in taluni casi con forme speciali di procedimento, alle quali, come si adatta, senza che ne siano sostanzialmente lese le esigenze, la funzione della giustizia nel suo insieme, così può e deve adattarsi anche il diritto alla difesa, senza alcuna sua effettiva menomazione o sacrificio, e senza che ne risulti leso il principio costituzionale dell'art. 24.

3. - Nemmeno é fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 503, terzo comma, del Codice di procedura penale. Il potere discrezionale che, nel giudizio direttissimo, la legge attribuisce al giudice di concedere o non concedere il termine per la difesa non può essere considerato come fonte di arbitrio. La norma che prevede un siffatto potere é indirizzata al giudice in quanto rivolta all'assolvimento fedele e non arbitrario del suo compito; e il potere discrezionale gli é attribuito affinché, con l'esame obiettivo e imparziale che é nella natura del suo ufficio, egli possa cogliere e regolare le esigenze proprie del caso concreto, stabilendo, volta per volta, se sia necessaria oppure no la concessione del termine. Se poi nella pratica, in questo o quel procedimento, si faccia da taluno uso non conveniente, o addirittura arbitrario, del potere, ciò riguarda, con tutte le conseguenze, il caso singolo, non la legge nella generalità e normalità delle sue previsioni. D'altra parte bisogna rilevare che il giudizio direttissimo é disposto, di regola, per i casi nei quali la semplicità dei fatti e l'immediatezza degli elementi della prova sono tali da rendere più che sufficiente per la difesa la conoscenza che ne risulta dallo stesso svolgersi del dibattimento.

Le precedenti considerazioni valgono anche ad escludere che la norma impugnata possa ritenersi illegittima in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Ritenuta non lesa la posizione dell'imputato dalla esistenza del potere discrezionale del giudice circa la concessione del termine a difesa, é evidente che non può qualificarsi lesiva del principio di eguaglianza la diversità di posizione che naturalmente ne risulta a seconda che il giudice si avvalga di quel potere in un senso o nell'altro, per accogliere o respingere la relativa istanza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione, sollevata dal Tribunale di Belluno con ordinanza del 10 dicembre 1965, dell'art. 435 del Codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 503, terzo comma, del Codice di procedura penale, sollevata dal Tribunale di Belluno nella stessa ordinanza del 10 dicembre 1965, dal pretore di Bari con ordinanza del 16 marzo 1966, dal pretore di Milano con ordinanza del 28 marzo 1966, dal Tribunale di Bari con ordinanza del 22 marzo e del 1, 8 e 15 giugno 1966, in riferimento all'art. 24 della Costituzione; e in riferimento anche all'art. 3 della Costituzione dalle citate ordinanze del Tribunale di Belluno e dalle tre ultime ordinanze del Tribunale di Bari.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

 

Depositata in cancelleria il 8 luglio 1967.