Sentenza n. 62 del 1967
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SENTENZA N. 62

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, ultimo comma, del T.U. delle leggi sugli spiriti, approvato con R.D. 30 gennaio 1896, n. 26, riprodotto nel terzo comma dell'art. 37 del T.U. approvato con D.M. 8 luglio 1924, promosso con ordinanza emessa il 28 gennaio 1966 dal Tribunale di Belluno nel procedimento penale a carico di Bortoluzzi Luigi, iscritta al n. 32 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30 aprile 1966.

Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1967 la relazione del Giudice Antonino Papaldo.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa dal Tribunale di Belluno il 28 gennaio 1966 nel procedimento penale a carico di Bortoluzzi Luigi é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 del T.U. 30 gennaio 1896, n. 26, della legge sugli spiriti, trasfuso nei testi unici successivi e ultimamente riportato nell'art. 37 del T.U. vigente, approvato con D.M. 8 luglio 1924.

Il Tribunale ha ritenuto che la disposizione denunziata, secondo cui il giudice sarebbe obbligato ad emettere giudizio di responsabilità sulla sola base di una presunzione juris et de jure, derivante dalla contemporanea presenza in uno stesso locale o in locali annessi o attigui dell'apparecchio di distillazione o di parte di esso, o di materie alcoliche o alcoolizzabili, prima che la fabbrica e gli apparecchi siano denunziati all'ufficio tecnico di finanza e da esso verificati, senza possibilità di valutazione in ordine ad altre prove che emergessero nel corso del procedimento, limita i diritti della difesa come esercitabili in qualsivoglia altro procedimento penale e crea disparità di trattamento processuale tra imputato e imputato, ledendo anche il principio del libero convincimento del giudice, tanto che questi sarebbe esonerato da qualsiasi altra valutazione ed assolverebbe all'obbligo della motivazione sol che richiamasse il generico disposto della legge. La norma predetta sarebbe pertanto in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione e segnatamente con il disposto degli artt. 3, 24, terzo comma, e 27, prima parte, della Costituzione stessa.

L'ordinanza é stata notificata, comunicata e pubblicata ritualmente, ma nessuno si é costituito in questa sede; per cui la causa viene definita in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

Poiché l'art. 18 del T.U. 30 gennaio 1896, n. 26, é norma legislativa, in quanto riproduce testualmente, in virtù dell'art. 23 dell'allegato D, all'art. 2 della legge 8 agosto 1895, n. 486, sui provvedimenti di finanza e tesoro, l'art. 18 dell'allegato stesso, devesi ritenere che nell'ordinanza sia stata esattamente indicata la norma ritenuta viziata di incostituzionalità.

Le dedotte censure non hanno fondamento.

La norma ha inteso punire con le stesse pene previste per la fabbricazione clandestina di spirito colui che abbia introdotto o detenga nella fabbrica, o nei locali annessi o attigui, apparecchi di distillazione o parti di essi, materie alcoliche o alcoolizzabili, senza aver prima denunziato all'ufficio fiscale, e prima che dall'ufficio stesso siano stati verificati, l'esistenza della fabbrica e le cose ivi giacenti.

Ma, così statuendo, la norma non ha posto una presunzione juris et de jure di responsabilità.

Al contrario, la norma si riferisce ad un fatto proprio dell'agente, il quale risponde di una sua azione od omissione, in quanto ha collocato o non ha rimosso certe cose che non possono essere detenute in determinati locali soggetti a particolare vigilanza senza che siano osservati alcuni precetti della legge.

Non é esatto che l'imputato sia privo di mezzi di difesa e abbia minori possibilità di difesa rispetto ad altri procedimenti e che il giudice sia privo dei consueti poteri di accertamento e di valutazione. Il giudice dovrà accertare se la detenzione di alcune cose in certi locali ed in certe circostanze sia conseguenza del comportamento dell'imputato ed in questo accertamento e nella valutazione che di esso il giudice deve compiere nessun limite é posto al libero convincimento ed all'obbligo che egli ha di dare adeguata motivazione. Da parte sua, l'imputato può fornire tutte le prove che siano atte a dimostrare che il fatto non sussista o che egli non lo abbia commesso o non vi abbia concorso e può dedurre tutte le ragioni per illustrare la sua posizione difensiva.

Né costituisce causa di illegittimità il fatto che, secondo la norma denunziata, l'infrazione prevista dalla norma stessa debba essere senz'altro considerata e punita come fabbricazione clandestina, ben potendo il legislatore equiparare una figura di reato ad un'altra o disporre una eguale punizione per reati diversi. Ciò rientra nei poteri del legislatore, cui spetta delineare le figure dei reati e comminare le pene. E l'esercizio di tali poteri é legittimo ed insindacabile se non si presenti in contrasto con principi o norme della Costituzione.

Nella specie non esiste contrasto con l'art. 27, primo comma, della Costituzione, dal momento che la norma denunziata prevede e punisce un fatto proprio dell'agente, a lui personalmente imputabile. Nello stesso senso varie volte si é pronunciata la giurisprudenza di questa Corte (si veda, per tutte, la sentenza n. 79 del 25 maggio 1963 ).

Non può dirsi violato l'art. 24, terzo comma, giacché é da escludere che nei giudizi per l'applicazione della norma denunziata l'imputato incontri alcuna limitazione o alcun ostacolo alla sua difesa; e ciò a prescindere da ogni riserva circa l'applicabilità al caso in esame del canone contenuto nella norma costituzionale predetta in riferimento all'interpretazione che della norma stessa ha dato questa Corte nelle sue non poche sentenze sull'argomento.

Si osserva, infine, che, equiparando la infrazione meno grave, prevista nell'ultimo comma dell'art. 18, al più grave reato della fabbricazione clandestina di spirito, la norma non urta con il principio di eguaglianza, giacché codesta equiparazione, disposta dal legislatore in virtù dei suoi poteri, trova fondamento di ragionevolezza nella esigenza di predisporre particolari misure atte a prevenire e reprimere il contrabbando.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, ultimo comma, del T.U. delle leggi sugli spiriti, approvato con R.D. 30 gennaio 1896, n. 26, riprodotto nel terzo comma dell'art. 37 del T.U. approvato con D. M. 8 luglio 1924, in riferimento agli artt. 3, 24, terzo comma, e 27, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 1967.

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA -  Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

Depositata in cancelleria il 24 maggio 1967.