Sentenza n. 49 del 1967
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SENTENZA N. 49

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 25 maggio 1966 recante "nuovi provvedimenti a favore del grano duro", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana notificato il 31 maggio 1966, depositato in cancelleria il 10 giugno successivo ed iscritto al n. 15 del Registro ricorsi 1966.

Visto l'atto di costituzione della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 1 febbraio 1967 la relazione del Giudice Luigi Oggioni;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il ricorrente, e l'avv. Giuseppe Guarino, per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso del 31 maggio 1966, notificato in pari data, il Commissario dello Stato presso la Regione siciliana ha impugnato la legge approvata dall'Assemblea regionale il 25 maggio 1966 e comunicata ad esso Commissario il 26 successivo, recante "nuovi provvedimenti a favore del grano duro".

Il Commissario rileva nel ricorso in primo luogo che la legge sarebbe in contrasto con l'art. 81 della Costituzione per inidoneità dei mezzi di copertura della spesa ivi prevista.

Infatti, si precisa nel ricorso, la legge impugnata autorizza per l'esercizio finanziario in corso la spesa di lire 1.000 milioni, alla quale dovrebbe farsi fronte "utilizzando parte della disponibilità residua esistente sullo stanziamento iscritto in forza della legge regionale 7 luglio 1960, n. 24, al cap. 141 del corrente esercizio finanziario" mentre nessuna somma é allocata a tale capitolo, che trovasi iscritto solo per "memoria" nel bilancio.

Inoltre, prosegue il Commissario, un secondo motivo di illegittimità della legge, (che concerne aiuti ai produttori di grano, e riflette quindi materia rientrante nella disciplina della Comunità economica europea) dovrebbe riscontrarsi nell'omessa comunicazione preventiva del disegno di legge alla Commissione della predetta Comunità, e nella conseguente violazione dell'articolo 93, paragrafo terzo, del Trattato di Roma, che anche la Regione sarebbe tenuta ad osservare.

Il ricorso é stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 156 del 25 giugno 1966 e sulla Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 33 del 9 luglio 1966.

L'Avvocatura dello Stato si é costituita in giudizio a sostegno del ricorso depositando in cancelleria atto di costituzione senza deduzioni il 10 giugno 1966.

Si é anche costituita la Regione, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Guarino, il quale ha depositato le deduzioni in cancelleria il 30 giugno 1966.

Osserva anzitutto la difesa della Regione che, il controllo della Corte costituzionale circa l'osservanza dell'art. 81 della Costituzione sarebbe di mera legittimità e non potrebbe avere ad oggetto la valutazione della sufficienza della copertura finanziaria prevista dalle leggi autorizzative di spese. Pertanto l'obbligo di cui al predetto art. 81 sarebbe assolto quando, come nella specie, la legge indichi come mezzo di finanziamento il ricorso alle disponibilità residue degli stanziamenti precedenti. Sarebbe d'altra parte irrilevante che al capitolo 141 suddetto non figuri alcuno stanziamento, in quanto il finanziamento della spesa, secondo la legge impugnata, verrebbe effettuato non con nuovi stanziamenti, ma con le disponibilità residue esistenti e, in fatto, largamente sufficienti.

Aggiunge poi la difesa della Regione che, comunque, la legge impugnata é solo una specificazione della legge precedente, e riflette oneri solo eventuali ed anzi estremamente improbabili, almeno con riferimento all'esercizio in corso.

Riguardo poi al secondo motivo di ricorso, la difesa osserva che la legge impugnata non introduce un nuovo sistema di aiuti ai produttori di grano rispetto a quello previsto dalla precedente legge del 1960, giacché il contributo a pareggio che viene a sostituire la garanzia fideiussoria prevista nella precedente disciplina (e cioè il contributo agli Enti finanziatori dell'ammasso volontario del grano duro qualora i risultati di gestione non siano sufficienti a coprire le anticipazioni disposte e le spese sostenute) concernerebbe unicamente il rapporto interno fra gli Enti finanziatori e la Regione, e non gli agricoltori. Con ciò sarebbe da escludere che essa legge dovesse essere sottoposta agli organi comunitari a norma dell'art. 93 del Trattato, il quale prevede tale obbligo solo per i progetti diretti a istituire o modificare aiuti.

D'altra parte, prosegue la difesa della Regione, siccome la legge impugnata lascia immutato il sistema di aiuti previsto dalle leggi precedenti, in ordine alle quali non fu promossa la procedura prevista dall'art. 93, paragrafo secondo, del Trattato di Roma, riconoscendosi così la loro compatibilità con gli obblighi comunitari, dovrebbe ritenersi valido tale riconoscimento anche nel caso in esame.

Che la legge impugnata non richiedesse una specifica approvazione della Commissione comunitaria risulterebbe poi anche dal fatto che l'art. 93, paragrafo terzo, del Trattato di Roma attiene "ai progetti di aiuti" considerati non con riferimento ai singoli atti relativi ma come risultati economici da conseguire attraverso molteplici procedure. E questi effetti, afferma la Regione, non mutano, rispetto a quelli delle leggi precedenti, almeno per quanto riguarda gli aspetti esterni.

Tutto ciò premesso la difesa della Regione contesta infine che, anche se esistesse, la violazione del Trattato possa costituire vizio di legittimità costituzionale. Invero, un principio consimile sarebbe in contrasto con l'art. 11 della Costituzione che richiede condizioni di reciprocità con gli altri Stati per l'ammissibilità di limitazioni della sovranità (reciprocità che, nell'ambito dei partecipanti al M.E.C. non sussisterebbe), e sarebbe altresì in contrasto con l'art. 80 della Costituzione, secondo cui la ratifica dei Trattati, se può rappresentare adempimento di un obbligo internazionale, non può condurre però ad un vizio di legittimità della legislazione interna.

La difesa della Regione conclude pertanto chiedendo dichiararsi infondato il ricorso.

L'Avvocatura dello Stato ha depositato, nei termini, una memoria illustrativa con cui ribadisce le censure di illegittimità della legge impugnata sollevate col ricorso del Commissario dello Stato, osservando in particolare che, nella specie, l'accertamento relativo alla copertura della spesa non implicherebbe indagini di merito, riflettendo solo la constatazione della inesistenza della copertura medesima.

D'altra parte, osserva pure l'Avvocatura, sarebbe innegabile l'obbligo della Regione di comunicare nei modi di legge il provvedimento impugnato alla Commissione della C.E.E., stante il suo contenuto, e non essendo vincolante, anche perché riferibile ad una precedente e diversa situazione, il mancato inizio della procedura di accertamento della eventuale incompatibilità con l'ordinamento comunitario delle precedenti leggi del 1958 e 1960 nella stessa materia.

L'Avvocatura pertanto conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Anche la difesa della Regione ha tempestivamente depositato una memoria, con la quale sviluppa le argomentazioni già svolte nelle prime deduzioni.

Afferma in particolare la Regione, richiamandosi alla sentenza n. 1 del 1966 della Corte, che la legge che prevede una nuova spesa può recare una valutazione anche solo presuntiva del relativo ammontare, quando ciò sia in dipendenza della particolare natura dell'impegno. In conformità di questo criterio si sarebbe comportato il legislatore regionale valutando che le spese previste dalla legge impugnata, date le modalità degli interventi, in realtà avrebbero potuto trovare capienza negli stanziamenti già previsti in bilancio. E tale apprezzamento rientrerebbe nella incensurabile discrezionalità del legislatore, non potendo il giudizio di legittimità estendersi al controllo della piena corrispondenza fra le entrate e le spese; la Corte invero, in tal caso, secondo la Regione, giudicherebbe aprioristicamente e senza disporre dei necessari strumenti. Con ciò perderebbe rilievo la mancanza di stanziamento sul capitolo 141, la cui semplice esistenza sarebbe sufficiente ad assolvere il precetto costituzionale, restando la reale erogazione delle spese subordinata alla eventuale effettiva disponibilità sul capitolo stesso, tanto più che la legge impugnata e le precedenti in materia non determinerebbero un programma necessario di finanziamento, ma conferirebbero solo all'amministrazione regionale la facoltà di concedere aiuti entro il limite massimo di 1.000 milioni.

Per quanto concerne poi l'altra censura di illegittimità la difesa insiste nel negare che il lamentato contrasto della legge impugnata con l'art. 93 del Trattato di Roma possa costituire vizio di legittimità costituzionale, e richiamandosi anche alla sentenza n. 14 del 1964 della Corte, afferma in particolare che il Trattato stesso é stato approvato con una legge ordinaria, la quale non avrebbe, come tale, il potere di limitare la potestà legislativa esclusiva della Regione in materia di agricoltura. Né si potrebbe ravvisare un limite alla potestà legislativa regionale nell'impegno dello Stato verso la C.E.E., la cui violazione, se mai, potrebbe costituire solo un illecito internazionale. La Regione siciliana, inoltre, secondo la difesa, non sarebbe vincolata al rispetto degli obblighi internazionali, ed anche sotto questo profilo vedrebbe illegittimamente limitata la sua potestà legislativa esclusiva da un mero comportamento internazionale dello Stato e dagli impegni di questo assunti in tale campo.

La difesa della Regione insiste quindi nelle già rassegnate conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

Con il primo motivo di ricorso, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana impugna la legge approvata dall'Assemblea regionale il 25 maggio 1966 contenente "nuovi provvedimenti a favore del grano duro" per contrasto con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, in quanto l'autorizzazione della spesa di mille milioni per provvedere alle esigenze ivi previste all'art. 3, primo comma, per l'esercizio in corso, non é accompagnata dalla indicazione dei mezzi per farvi fronte. Si aggiunge che nel secondo comma dello stesso articolo si fa riferimento alla utilizzazione di parte della disponibilità residua esistente sullo stanziamento iscritto in forza della legge 7 luglio 1960, n. 24, al capitolo 141 dell'esercizio finanziario corrente (1966) ma che tale capitolo trovasi iscritto alla rubrica terza "tutela economica dei prodotti agricoli" al solo titolo "per memoria".

Il motivo di ricorso é fondato e va accolto.

Va rilevato che alle agevolazioni per i produttori di grano duro si é provveduto con tre leggi regionali, successive nel tempo.

Una prima legge (n. 11 del 1958) ha disposto contributi ai produttori conferenti all'ammasso, con prelievo delle somme occorrenti dal capitolo 23 dello stato di previsione delle spese, salvo per gli esercizi futuri a provvedere con la legge di bilancio.

Una seconda legge (n. 24 del 1960) ha abrogato la prima e, nel concedere contributi a favore dei produttori ammassanti (artt. 3 e 4), ha disposto (art. 10) che agli oneri relativi si dovesse far fronte, utilizzando "le disponibilità di bilancio derivanti dalle assegnazioni fatte in forza della precedente legge".

Una terza legge, quella impugnata, dispone per la concessione di un contributo agli Enti finanziatori dell'ammasso granario, allo scopo di colmare il deficit di gestione ed indica per far fronte all'onere relativo, i mezzi di cui all'art. 3, stessa legge, come sopra riferito.

Ciò posto, per quanto riguarda l'obbligo di conformità delle leggi, sia nazionali che regionali, all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, questa Corte ha più volte affermato (e qui ribadisce) il principio che ad ogni stanziamento di spese per nuovi oneri debba corrispondere l'indicazione positiva dei mezzi per effettuarne la copertura.

Nel caso in esame, il capitolo 141 del bilancio regionale 1966 non contiene alcuna indicazione di somma, quale mezzo di copertura, risultando la partita testualmente inscritta solo "per memoria". Trattasi, cioè, di un tipo di iscrizione senza stanziamento, che ripete la sua origine da vecchi sistemi di contabilità generale, i quali consentivano l'allocazione, nei capitoli, di eventuali importi di uscita in corrispondenza del verificarsi di determinate entrate nel corso dell'esercizio, senza una specifica autorizzazione parlamentare, resasi invece attualmente necessaria, a norma dell'art. 81 della Costituzione. Il capitolo in esame, quindi, allo stato, riflette una mera annotazione contabile sprovvista di un contenuto finanziario sostanziale, sicché quando nella legge impugnata, ai fini della copertura della prevista spesa di mille milioni, si fa riferimento alle "disponibilità residue" del capitolo stesso, si indica un mezzo di copertura non solo indeterminato nella sua consistenza, ma, addirittura ipotetico e genericamente supposto.

Comunque, sembra opportuno rilevare, a titolo meramente incidentale, circa l'asserita formazione di disponibilità residue da servire per soddisfare la spesa di mille milioni, che nei bilanci regionali che precedono quello del 1966 soltanto due del 1960 - 61 e del 1963 - 64 contengono, per i contributi in questione, indicazioni di cifre, ma rispettivamente soltanto per 200 e 360 milioni mentre, per gli altri bilanci, si ripete l'indicazione "per memoria".

Non sembra attendibile il rilievo della difesa regionale secondo cui la legge impugnata sfuggirebbe alla censura perché concernente spese la cui effettiva erogazione sarebbe subordinata alla reale disponibilità di cui al capitolo indicato.

A parte l'implicita ammissione della mera eventualità dell'esistenza della copertura che tale affermazione ovviamente contiene, l'argomento proposto dalla Regione attiene in definitiva al modo concreto di far fronte alla spesa, il che costituisce questione del tutto diversa da quella in considerazione in questa sede di giudizio di legittimità costituzionale, che comporta una valutazione circa la corrispondenza della legge ai precetti costituzionali necessariamente indipendente dalla successiva fase di attuazione materiale della legge medesima.

Neppure sembrano decisive le considerazioni svolte in udienza dalla difesa della Regione per sostenere che, riguardando la legge impugnata solo l'anno 1966 la questione perderebbe attualmente rilievo. L'obiezione, infatti, anche se potesse riconoscersi fondata con riguardo al periodo di efficacia della legge, non gioverebbe tuttavia ad eliminare il vizio rilevato, che investe la legittimità del modo di assicurare la copertura di una spesa senza riferimenti all'ambito temporale della relativa erogazione.

Con l'accoglimento del primo mezzo di ricorso, resta assorbito l'esame dei motivi di cui al secondo mezzo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 25 maggio 1966 avente per oggetto "nuovi provvedimenti a favore del grano duro".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

Depositata in cancelleria il 24 aprile 1967.