Sentenza n. 26 del 1967
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SENTENZA N. 26

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGI0NI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 2 gennaio 1962, n. 934, promosso con ordinanza emessa il 10 marzo 1965 dalla Corte suprema di cassazione - Sezione terza penale - nel procedimento penale a carico di Taberini Alessandro, iscritta al n. 196 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 12 novembre 1965.

Visti gli atti di costituzione di Taberini Alessandro e di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 1 febbraio 1967 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi l'avv. Alfredo Moschella, per il Taberini, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento davanti alla terza Sezione penale della Corte di cassazione a carico del dott. Alessandro Taberini, fu sollevata, in relazione agli artt. 1 e 8 della legge di delegazione 14 luglio 1959, n. 741, e in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico del decreto delegato 2 gennaio 1962 nella parte in cui rende obbligatorio erga omnes il comma nono dell'art. 41 del contratto collettivo nazionale per i dipendenti dalle aziende di credito 1 agosto 1955. La norma contenuta in questo comma dispone che "il lavoro straordinario, di qualsiasi natura, escluso quello inerente alle chiusure periodiche dei conti, dovrà essere previamente segnalato dalle aziende alle organizzazioni sindacali dei lavoratori".

La questione era già stata sottoposta al Pretore di Roma, il quale, con sentenza 29 aprile 1964, l'aveva dichiarata manifestamente infondata perché, a suo avviso, la disposizione contenuta nel comma nono del citato art. 41 si inquadrerebbe "nell'insieme organico e inscindibile delle clausole inerenti al trattamento economico e normativo che costituisce la struttura del sistema". Sempre ad avviso del Pretore, infatti, l'onere imposto alle aziende dalla norma di cui si discute, costituirebbe "un mezzo necessario per l'attuazione del fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti alla stessa categoria", sicché tutte le disposizioni contenute nell'art. 41 contribuirebbero a formare "una unica formula contrattuale" e avrebbero tutte un'incidenza economica, sia pure indiretta, in quanto concorrerebbero a determinare per il lavoratore il risultato unitario del lavoro e per l'imprenditore il costo complessivo del lavoro stesso. La Corte di cassazione sostiene, viceversa, che la proposizione enunciata dal Pretore, secondo la quale l'obbligo fatto alle aziende di credito costituirebbe un mezzo necessario per l'attuazione del fine di assicurare i minimi inderogabili di trattamento economico e normativo ai propri dipendenti, si risolverebbe in una petizione di principio. E, se si può ritenere che la norma abbia inteso, come sostiene sempre il Pretore, di evitare "lo sfruttamento del lavoratore" mediante un'eccessiva imposizione di lavoro straordinario, la tutela del lavoratore che, così, si attuerebbe non rientrerebbe in quella tutela particolare voluta dalla legge di delegazione.

L'ordinanza prosegue che, invece, si devono nutrire seri dubbi sulla circostanza che la clausola contenuta nell'art. 41 possa ritenersi ricompresa nell'ambito della delegazione, dato che la legge delega il Governo ad emanare norme relative a quella sola parte del rapporto di lavoro che concerne strettamente il trattamento economico e normativo dei lavoratori, con esclusione di ogni norma sussidiaria e strumentale e in riferimento ai soli rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, senza obblighi verso organizzazioni sindacali, cioè verso enti diversi dai soggetti del rapporto di lavoro. Del resto la conferma dell'estraneità della norma impugnata dall'ambito della delegazione si trarrebbe dalla ratio della clausola, che é quella di tenere al corrente le organizzazioni sindacali del lavoro straordinario compiuto presso le aziende di credito dagli impiegati e commessi per sollecitare eventuali nuove assunzioni, qualora detto lavoro ecceda la normalità. D'altra parte, le finalità perseguite dalla legge n. 741 del 1959 concernono la sola diretta disciplina delle condizioni generali del lavoro, siano esse di carattere economico, siano di carattere normativo, ed escludono che la recezione operi per quelle clausole relative a problemi di organizzazione sindacale o che contengano la previsione di finalità, oneri ed obblighi riguardanti i sindacati. Questi, infatti, sarebbero estranei al sistema della legge 14 luglio 1959, n. 741, e non potrebbero essere titolari di diritti, per di più penalmente tutelati, nei confronti, come nel caso, di aziende tenute all'applicazione delle norme efficaci erga omnes.

Per questi motivi la Corte di cassazione ha ritenuto la questione, oltre che rilevante, non manifestamente infondata ed ha rimesso gli atti a questa Corte con ordinanza emessa il 10 marzo 1965. L'ordinanza é stata notificata e comunicata regolarmente ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 13 novembre 1965.

2. - Nel presente giudizio si é costituito il dott. Alessandro Taberini, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario e Alfredo Moschella con deduzioni depositate nella cancelleria il 2 dicembre 1965. In queste deduzioni la difesa si riferisce agli argomenti esposti nell'ordinanza di rimessione, aggiungendo che la motivazione addotta dalla Cassazione risponde perfettamente alla giurisprudenza della Corte costituzionale, e in particolare alle sentenze nn. 129 del 13 luglio 1963, 78 e 79 del 12 novembre 1964

 e 97 del 26 novembre dello stesso anno. Ad avviso della difesa, da questa giurisprudenza si ricaverebbero due criteri, in relazione al fine specifico della legge di delegazione di assicurare i minimi inderogabili di trattamento economico e normativo: 1) le norme debbono riguardare la diretta disciplina del rapporto di lavoro; 2) esse non debbono far venire meno l'immediatezza del rapporto fra datore di lavoro e lavoratore. La norma impugnata, in quanto si riferisce alla denuncia del lavoro straordinario ai fini controllo delle associazioni sindacali sulla prestazione, e non sulla misura del compenso, non atterrebbe alla diretta disciplina del rapporto e ne farebbe venir meno l'immediatezza, introducendo un terzo soggetto, l'associazione sindacale. Il trattamento economico e normativo, contenuto nella legge delegata, che si sostituisce di diritto a quello in atto, salve le condizioni più favorevoli ai lavoratori, esaurirebbe la volontà della legge delegante, sicché il controllo delle associazioni sindacali é necessariamente qualche cosa che resta al di fuori di questa volontà. Anche su questo punto, come sugli altri precedenti, la Corte costituzionale avrebbe avuto occasione di confermare il suo orientamento di recente con la sentenza n. 56 del 6 luglio 1965, pronunziata in relazione al contratto per l'industria edilizia, escludendo che potessero ritenersi legittimamente emanate dal legislatore delegato norme che non fossero strettamente necessarie a garantire il trattamento minimo che la legge di delegazione ha voluto assicurare ai lavoratori, e norme che si riferissero a diritti e doveri esercitabili attraverso la interposizione delle associazioni sindacali di diritto privato.

3. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, nelle deduzioni depositate il 3 dicembre 1965 e in una memoria depositata il 19 gennaio 1967, ha sostenuto la tesi della infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

Secondo la difesa dello Stato, l'ordinanza avrebbe accolto una nozione eccessivamente e ingiustificatamente restrittiva dell'ambito entro il quale il Governo avrebbe potuto e poteva esercitare la potestà legislativa delegata. Il Parlamento, ponendo come obiettivo e limite delle norme delegate la garanzia inderogabile dei minimi di trattamento economico e normativo, si sarebbe riferito direttamente, oltre che all'elemento della retribuzione e agli aspetti e allo svolgimento del rapporto di lavoro, anche alla disciplina di quegli istituti che in linea strumentale possono essere ricondotti all'oggetto immediato della delega. Di conseguenza, non sarebbe esatta l'affermazione dell'ordinanza che le norme dei contratti collettivi recepiti nei decreti legislativi sono solamente quelle strettamente inerenti al trattamento economico e normativo dei lavoratori. Secondo la difesa dello Stato, il fine della legge di delegazione sarebbe ispirato dell'esigenza di porre un rimedio alla ritardata attuazione dell'art. 39 della Costituzione e all'esigenza di assicurare a tutti i lavoratori una tutela analoga a quella del contratto collettivo, tutela che necessariamente involge tutti gli aspetti del rapporto di lavoro. Insomma, la legge di delegazione avrebbe voluto, più che limitare la potestà delegata al Governo nell'emanazione di norme che assicurassero un minimo sostanziale di trattamento economico e normativo per gli appartenenti alla medesima categoria, sottolineare la transitorietà dell'efficacia di queste norme, in attesa dell'attuazione dell'art. 39 della Costituzione, sicché nell'ambito della delegazione debbono ritenersi compresi tutti gli strumenti approntati per salvaguardare la personalità individuale del lavoratore e i suoi interessi economici. La clausola dell'art. 41 del contratto collettivo nazionale sopra ricordato sarebbe perciò ricompresa nella delega, tanto più che non sarebbe esatta l'identificazione della ratio della clausola fatta dall'ordinanza, stante che la norma in esame ha inteso soprattutto evitare lo sfruttamento del lavoratore, quale potrebbe essere realizzato mediante un'imposizione di lavoro straordinario non contenuto nel limite massimo stabilito dalla regolamentazione collettiva. Le disposizioni dell'art. 41, oltre che contribuire a determinare il risultato unitario del lavoro per il lavoratore e il costo complessivo della manodopera per l'imprenditore, sarebbero preordinate a una tutela dell'interesse del lavoratore a non essere assoggettato a uno sforzo di tale durata da comprometterne durevolmente le energie fisiche e psichiche, interesse tutelato per altri fini anche da norme costituzionali, e precisamente dall'ultimo comma dell'art. 36 della Costituzione.

Non sarebbe nemmeno esatta la seconda argomentazione dell'ordinanza, secondo la quale il citato art. 41, nono comma, introdurrebbe un obbligo nei confronti di un soggetto, il sindacato dei lavoratori, estraneo ai rapporti di lavoro. Per l'Avvocatura il richiamo alla motivazione della sentenza n. 129 del 1963 della Corte costituzionale non sarebbe pertinente giacché, a suo avviso, la declaratoria di illegittimità che concludeva quella sentenza, si fondava non già sull'estraneità dei fini perseguiti mediante l'istituzione delle Casse edili, bensì sull'estraneità del mezzo adottato, che non si presentava neppure come l'unico astrattamente ipotizzabile per il raggiungimento dei fini in questione. Viceversa, nel caso in esame, l'immediatezza del nesso di strumentalità sarebbe particolarmente evidente, essendo l'obbligo di segnalazione alle associazioni sindacali preordinato alla più sicura realizzazione della salvaguardia dell'integrità fisica del lavoratore. La norma, anzi - secondo l'Avvocatura - , non introdurrebbe neppure un obbligo in senso tecnico, qualora per obbligo s'intenda non quella particolare figura di dovere correlata a una pretesa tutela, immediata e diretta, degli interessi di altro soggetto, ma un semplice dovere di avviso, il cui destinatario non sarebbe titolare di situazioni di diritto, contrapposte ad altre, nell'ambito del rapporto di cui si tratta.

Infine, é avviso dell'Avvocatura che l'ordinanza non tenga sufficiente conto del fatto che la legge riconosce ai sindacati, nel quadro dell'ordinamento costituzionale, la funzione di attuare una protezione in favore dei lavoratori anche non iscritti e che le organizzazioni sindacali, anche se attualmente sprovviste di personalità giuridica, sono state spesso nel passato chiamate ad assolvere compiti di natura pubblicistica, senza che si siano determinate forme di rappresentanza obbligatoria: cosa che la Corte stessa avrebbe riconosciuto a proposito della costituzione e del funzionamento del collegio di conciliazione e arbitrato nelle sentenze nn. 8 e 50 del 1966. I sindacati costituirebbero una garanzia di tutela propria della categoria, suscettibile di applicazione a una serie indefinita di soggetti, garanzia che opera in virtù del criterio generale di convertibilità fondato sugli interessi di categoria. La segnalazione del lavoro straordinario, conclude l'Avvocatura, avrebbe un fondamento giuridico identico a quello delle altre obbligazioni sorgenti dai contratti collettivi, in quanto si collegherebbe al concetto di rappresentatività sindacale e, quindi, di un mandato conferito anche nell'interesse di terzi.

4. - La difesa del dott. Taberini ha depositato una memoria il 19 gennaio 1967, nella quale replica agli argomenti addotti dall'Avvocatura nelle deduzioni e nella memoria sopra riferiti.

Ad avviso della difesa, l'affermazione della Cassazione che la legge di delegazione non abbia avuto di mira la recezione di tutte le norme sussidiarie o strumentali, deve intendersi nel senso che questa recezione deve limitarsi alle norme meramente sussidiarie e strumentali, che rientrino perciò nel concetto "di minimo inderogabile economico e normativo", venendo così a costituire parte integrante e necessaria di questo minimo.

Ora, la clausola in esame non "darebbe norma" in senso proprio al rapporto fra datore di lavoro e lavoratore e non potrebbe, quindi, entrare a far parte del minimo normativo al quale si riferisce la legge di delegazione. Nemmeno sarebbe vero che la clausola in contestazione dovrebbe proteggere i lavoratori dall'eccessività del lavoro straordinario, perché questa protezione é già nella legge e non ha bisogno del controllo dei sindacati.

Né varrebbe, inoltre, la tesi sostenuta dall'Avvocatura dello Stato che, ai fini della tutela del lavoratore, sarebbe giustificata l'introduzione nel contratto dei sindacati. I sindacati sono sempre terzi. La legge impone i minimi contrattuali, ma nei confronti dei lavoratori: il sindacato sarebbe un estraneo, al quale il datore di lavoro non contraente non deve assolutamente niente. Né sarebbe esatto che, nel caso in esame, l'intervento del sindacato non faccia venire meno l'immediatezza del rapporto fra datore di lavoro e lavoratore, perché non può esserci immediatezza quando "ci sia qualcuno o qualche cosa di mezzo". Nemmeno esatta l'affermazione dell'Avvocatura che sarebbe errata la ratio della clausola in esame, che la Corte suprema ha identificato nel fine di consentire ai sindacati un controllo diretto a garantire un migliore impiego della manodopera in generale, perché che questo sia lo scopo della clausola risulta dalla stessa opinione dell'Ispettorato del lavoro contenuta in un rapporto indirizzato alla Pretura di Roma, nel quale si legge che lo scopo della norma sarebbe quello di consentire appunto alle organizzazioni sindacali di accertare, attraverso la conoscenza preventiva del lavoro straordinario, se questo lavoro corrisponda ai casi di necessità non previsti né prevedibili, di carattere transitorio e urgente, o se, invece, non sia connesso a esigenze di natura stabile e continuativa da soddisfare attraverso un ampliamento dell'organico di singoli uffici o dell'intera filiale.

Da ultimo la difesa della parte privata respinge il principio di rappresentatività dei sindacati e il preteso potere ad essi riconosciuto dalla legge per la tutela dei lavoratori non iscritti: la legge non avrebbe affatto attribuito ai sindacati poteri del genere, ma si sarebbe limitata a stabilire la imposizione di minimi economici e normativi anche nelle liti fra i non iscritti alle singole associazioni, senza il minimo accenno a intermediari o rappresentanti di qualsiasi genere. La legge di delegazione ha voluto soltanto, ad avviso della difesa, che anche i non iscritti alle organizzazioni di categoria potessero godere degli accordi intercorsi fra le associazioni sindacali nei minimi che valessero ad assicurare ai lavoratori equa remunerazione e dignità di lavoro, e avrebbe lasciato fuori tutto ciò che eccede tali limiti, anche se interessi l'organizzazione del lavoro in generale sotto l'aspetto sindacale

5. - All'udienza pubblica del 1 febbraio 1967 le difese delle parti hanno illustrato e svolto le rispettive tesi difensive, insistendo nelle conclusioni già prese.

 

Considerato in diritto

 

La questione é fondata. La Corte ha già avuto più volte occasione di definire il carattere eccezionale e transitorio della legge di delegazione 14 luglio 1959, n. 741, diretta a sostituire una tantum il procedimento previsto dalla Costituzione (art. 39), per estendere l'efficacia e la validità della contrattazione collettiva erga omnes, e di affermare quali siano i limiti segnati al Governo nell'esercizio del potere legislativo delegato. Tali limiti si riassumono, essenzialmente, nella finalità della legge di delegazione, che ha voluto fossero garantiti ai lavoratori, anche non iscritti alle associazioni sindacali, minimi inderogabili di trattamento economico e normativo. Ne consegue che restano fuori dell'ambito della delegazione non soltanto le clausole dei contratti collettivi contrarie a norme imperative di legge (art. 5), ma anche quelle che non siano necessarie ad assicurare al lavoratore un'esistenza corrispondente alla dignità della persona umana o non attengano alla diretta disciplina dei rapporti di lavoro, o non si rivelino strettamente necessarie, pur nel loro carattere strumentale, al conseguimento dei fini che la legge ha voluto perseguire (sentenze nn. 106 e 107 del 1962, 129 del 1963, 56 del 1965, 8, 45 e 50 del 1966). Ora, non si può dire che la norma impugnata rientri tra le clausole che il legislatore delegato era autorizzato a rendere efficaci erga omnes, limitandosi essa ad imporre alle aziende di credito l'obbligo di segnalare alle organizzazioni sindacali dei lavoratori "il lavoro straordinario di qualsiasi natura", che le aziende stesse intendano far svolgere dai propri dipendenti. Anche nell'ipotesi, contestata del resto dalla parte privata, che la ratio della clausola sia quella di evitare lo sfruttamento fisico e psichico dei dipendenti delle aziende di credito, non si può dire che essa sia strettamente necessaria al raggiungimento di questo fine, che é certamente da porre tra quelli perseguiti dalla legge di delegazione mediante la garanzia dei minimi inderogabili di trattamento economico e normativo. Questo "dovere di avviso", come lo qualifica l'Avvocatura dello Stato, non si rivela, infatti, strettamente indispensabile a quel fine, che é invece direttamente raggiunto mediante le norme sostanziali contenute nel medesimo art. 41, le quali consentono il lavoro straordinario per le chiusure periodiche dei conti entro il limite massimo di 80 ore annuali, regolano le prestazioni di lavoro straordinario nei giorni 24 e 31 dicembre e 1 gennaio, limitano a due ore giornaliere, e, comunque, vietano che superino le 12 ore settimanali, tutte le altre prestazioni di lavoro straordinario.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo unico del decreto legislativo 2 gennaio 1962, n. 934, nella parte in cui rende obbligatorio erga omnes il comma nono dell'art. 41 del contratto collettivo nazionale per i dipendenti delle aziende di credito 1 agosto 1955.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 febbraio 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGI0NI 

 

Depositata in cancelleria il 9 marzo 1967.