Sentenza n. 130 del 1966
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 130

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 25 luglio 1950, n. 513, promosso con ordinanza emessa il 13 aprile 1965 dalla Corte d'appello di Catanzaro nel procedimento civile vertente tra di Robilant Gabriella vedova Barracco e l'Opera per la valorizzazione della Sila, iscritta al n. 156 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 216 del 28 agosto 1965.

Visti gli atti di costituzione di Barracco Maurizio e dell'Opera per la valorizzazione della Sila;

udita nell'udienza pubblica del 9 novembre 1966 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;

uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per il Barracco, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Opera Sila.

 

Ritenuto in fatto

 

Con citazione dell'11 agosto 1958 la signora Gabriella di Robilant, in proprio e nella qualità di legale rappresentante del figlio Maurizio Barracco, conveniva innanzi al Tribunale di Crotone l'Opera per la valorizzazione della Sila, esponendo che con decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1950, n. 513, era stato approvato il piano particolareggiato di espropriazione ed era stato ordinato il trasferimento in proprietà della detta Opera dei terreni del defunto marito Alfonso Barracco, per una superficie complessiva di ha. 4776.88.33. In tale superficie era compreso un appezzamento di ha. 49.63.48, già occupato dal Ministero dell'aeronautica nel 1942, e retrocesso al Barracco nel 1948 insieme ad alcune opere ivi costruite dall'Amministrazione militare, per le quali il Barracco aveva versato la somma di lire 3.000.000. La di Robilant assumeva che i detti fabbricati non potevano essere sottoposti all'esproprio, perché, essendo di natura civile, non potevano considerarsi proprietà terriera suscettibile di trasformazione, ai sensi dell'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230; deduceva inoltre che, in base ai criteri fissati dall'art. 7 della legge medesima, i fabbricati stessi restavano scoperti da corrispettivo. Chiedeva quindi che, previo accertamento in via incidentale della illegittimità costituzionale del decreto presidenziale, l'Opera valorizzazione Sila fosse condannata alla restituzione degli immobili indicati o, in difetto, al risarcimento dei danni.

La convenuta Opera eccepiva la manifesta infondatezza della questione, concludendo per l'inammissibilità della domanda, ed in tal senso decideva il Tribunale adito, con sentenza 11 maggio 1959.

Con atto 24 agosto 1959 la signora di Robilant proponeva appello; l'Opera valorizzazione Sila resisteva e la Cortedi appello di Catanzaro, dopo aver disposto ed assunto accertamenti, con ordinanza 13 aprile 1965, rimetteva a questa Corte la questione di legittimità costituzionale del decreto presidenziale 25 luglio 1950, n. 513, riproposta dagli eredi Barracco sotto il profilo del contrasto con l'art. 42 della Costituzione. L'ordinanza, premesso che per l'art. 7 della legge Sila l'indennità di espropriazione é commisurata ai valori definitivamente stabiliti per l'applicazione dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, osserva che la sollevata questione di legittimità costituzionale non é manifestamente infondata, in quanto le costruzioni in questione non avrebbero concorso alla determinazione del reddito dominicale del fondo espropriato, per essere entrati nel patrimonio del Barracco posteriormente al 28 marzo 1947, data a cui faceva riferimento la legge istitutiva di quell'imposta. L'ordinanza soggiunge che, anche se si potesse avere riguardo alla data 15 novembre 1949, il valore delle costruzioni rimarrebbe egualmente escluso dall'indennità, essendo stato accertato che a detta epoca esse non erano state utilizzate come istrumenta fundi, ma lasciate senza una particolare destinazione.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata.

Con deduzioni depositate il 18 agosto 1965, si é costituito in giudizio il signor Maurizio Barracco, in proprio e quale erede dei genitori Alfonso Barracco e Gabriella di Robilant, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Sorrentino. Con tali deduzioni si chiede che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale del decreto di esproprio, perché i terreni in contestazione sarebbero insuscettibili della trasformazione di cui all'art. 2 della legge Sila, e perché, avendo i fabbricati di cui trattasi natura di immobili urbani, la valutazione di essi non avrebbe contribuito a formare l'indennizzo, con violazione anche dell'art. 42 della Costituzione.

L'Opera per la valorizzazione della Sila, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, si é costituita in giudizio con deduzioni 9 luglio 1965. Inesse si rileva che i fabbricati in questione non erano stati censiti a catasto urbano anteriormente al 15 novembre 1949, e non erano stati adibiti ad abitazione né dal Barracco né dall'Opera Sila. Mancando di una propria autonomia funzionale, nel calcolo dell'indennità di esproprio non si poteva avere una valutazione separata di essi. Si chiede pertanto che la questione sia dichiarata infondata.

In successive deduzioni del 22 ottobre 1966 la difesa del Barracco ha contrastato le affermazioni dell'Avvocatura, ribadendo le proprie tesi.

Nella discussione orale i rappresentanti delle parti hanno svolto i rispettivi argomenti.

 

Considerato in diritto

 

L'ordinanza della Corte di appello di Catanzaro ha prospettato la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 25 luglio 1950, n. 513, sotto il profilo della violazione dell'art. 42 della Costituzione, in quanto nella specie non sarebbe stato compreso nell'indennizzo il valore delle costruzioni fatte dall'Amministrazione militare nel terreno a suo tempo retrocesso al proprietario. Secondo l'assunto della parte privata, ritenuto non manifestamente infondato dalla Corte di appello, tali costruzioni non avrebbero avuto carattere rurale e il loro reddito non sarebbe stato incorporato nel reddito dominicale dei fondi espropriati.

Ma la questione non ha fondamento.

É circostanza pacifica che le opere di cui trattasi furono costruite originariamente dall'Amministrazione militare per i suoi scopi; esse però, com'é detto nell'ordinanza, furono acquistate dal proprietario, in seguito alla retrocessione, come "migliorie" del fondo.

Se, di fatto, fino al momento dell'esproprio, non furono utilizzate per scopi rurali, non di meno, come risulta sempre dall'ordinanza, non ebbero alcuna diversa destinazione, e pertanto non acquistarono mai il carattere di immobili urbani, com'é confermato dalla mancata iscrizione nel catasto urbano.

D'altronde, se errore vi fosse stato nel comprendere quei manufatti nel piano di esproprio o nella determinazione dei valori dei fondi espropriati, il proprietario avrebbe potuto far ricorso alla Commissione censuaria, ai sensi dell'art. 7 della legge 12 maggio 1950, n. 230.

Non può, pertanto, ritenersi esistente la dedotta illegittimità del decreto di esproprio, giacché alla data del 15 novembre 1949, a cui in base alla predetta legge deve aversi riguardo, i fabbricati in questione non costituivano dei beni autonomi rispetto ai fondi espropriati, e non si richiedeva quindi, secondo i criteri già da questa Corte seguiti in precedenti decisioni, una specifica estimazione di essi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 25 luglio 1950, n. 513 (riforma fondiaria), sollevata con ordinanza 13 aprile 1965 della Corte di appello di Catanzaro, in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1966.