Sentenza n. 123 del 1966
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SENTENZA N. 123

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino PAPALDO, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 19 gennaio 1955, n. 25 (disciplina dell'apprendistato), promosso con ordinanza emessa il 7 aprile 1965 dal Tribunale di Caltanissetta nel procedimento civile vertente tra Palmeri Agostino contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale e l'Istituto nazionale assicurazioni contro le malattie, iscritta al n. 157 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 216 del 28 agosto 1965.

Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S. e dell'I.N.A.M. e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 23 novembre 1966 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi l'avv. Guido Nardone, per l'I.N.P.S., l'avv. Arturo Carlo Jemolo, per l'I.N.A.M., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con atti di citazione, notificati rispettivamente il 3 gennaio ed il 21 aprile 1964, l'imprenditore Agostino Palmeri, titolare di un laboratorio di falegnameria in Caltanissetta, faceva opposizione davanti al tribunale competente contro due decreti di ingiunzione, rispettivamente a favore dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale assicurazioni contro le malattie, per contributi previdenziali e assicurativi da lui omessi relativamente al lavoratore Anzalone Antonio, iscritto nel libro-matricola dell'imprenditore con la qualifica di "apprendista".

A parere dei due Istituti assistenziali tale qualifica non avrebbe potuto essere riconosciuta all'Anzalone, perché assunto dopo il compimento del ventesimo anno di età, mentre l'art. 6 della legge 19 gennaio 1955, n. 25, sulla disciplina dell'apprendistato, dispone che "possono essere assunti come apprendisti i giovani di età non inferiore ai quattordici anni e non superiore ai venti, salvo la limitazione di età, i divieti e le limitazioni di occupazione previsti dalla legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli".

L'attore obbiettava però che questa norma avrebbe dovuto essere dichiarata affetta da illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 35 della Costituzione, che prevede "la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni" e la cura della "formazione ed elevazione professionale dei lavoratori", senza porre alcuna limitazione in ordine all'età.

I due procedimenti furono riuniti e rimessi al Collegio, che sospendeva il giudizio e disponeva la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per la risoluzione della questione di legittimità costituzionale concernente la norma contenuta nell'art. 6 della legge 19 gennaio 1955, n. 25.

Nella ordinanza di rimessione il Tribunale ha esposto ampiamente i precedenti della disciplina giuridica della materia ed insistito sul punto che la limitazione ad anni venti per l'assunzione del lavoratore in qualità di apprendista, introdotta per la prima volta con la norma in discussione, importerebbe gravi conseguenze, che sembrerebbero in contrasto con la norma costituzionale (art. 35).

Osserva il giudice di merito che il giovane il quale, dopo il compimento degli anni venti, voglia dedicarsi ad un mestiere o che voglia comunque cambiare quello in atto esercitato - caso reso frequente dalla attuale evoluzione economica, del Paese, per cui determinati settori industriali vengono a trovarsi in continuo progresso con conseguente continua necessità di disporre di mano d'opera specializzata, al posto di altri in fase di regresso e quindi non in grado di mantenere gli stessi livelli di occupazione operaia - non potrà: a) essere assunto quale apprendista e quindi avere impartito l'insegnamento necessario che gli possa far conseguire "la capacità per diventare lavoratore qualificato" (art. 11 citata legge); b) ricevere una formazione professionale da attuarsi con l'addestramento pratico e l'insegnamento complementare (art. 16); c) essere ammesso a frequentare i corsi di insegnamento complementare (art. 17); d) sostenere, infine, le prove di idoneità ed ottenere la relativa qualifica (art. 18).

Per contrario colui che a venti anni abbia già iniziato il periodo di apprendistato potrà continuare, con tale qualifica, fino a 25 anni, dato che la durata massima dell'apprendistato non può superare i cinque anni (art. 7).

Questa disparità di trattamento, a seconda che il periodo di apprendistato sia stato o meno iniziato entro il ventesimo anno di età, sembra limitare la libertà del lavoratore di qualificarsi nel campo che meglio ritenga confacente con le sue attitudini; cagionarne la disoccupazione, se il settore per il quale é qualificato ha esubero di lavoratori pur essendovi richieste in altri settori, o dovrà lo stesso collocarsi in tali altri settori, come generico; se non ha già una qualificazione, gli impedisce di raggiungerla costringendolo a rimanere nel settore della manovalanza generica, della quale vi é sovrabbondanza e poca richiesta, necessitando, lo sviluppo delle attività produttive, di operai specializzati e competenti nelle mansioni da svolgere.

L'argomentazione contraria avanzata dalla difesa degli Istituti opposti, secondo la quale la limitazione di cui si é detto sarebbe conforme al dettato costituzionale in quanto dettata a tutela del lavoratore, al fine di impedire un eventuale comportamento fraudolento del datore di lavoro che potrebbe così denunciare come apprendisti anche lavoratori qualificati al fine di sottrarsi al pagamento dei contributi assicurativi e previdenziali dovuti per i non apprendisti, non sembra decisiva.

Di vero, una siffatta fraudolenta simulazione non potrebbe in ogni caso aver luogo in quanto, per il disposto di cui all'articolo 18 della citata legge 1955 n. 25, la qualifica ottenuta dopo i due anni di addestramento pratico o al termine del periodo di apprendistato, deve essere annotata sul libretto individuale, per cui potrà essere facilmente riscontrata dai competenti organi esercenti la sorveglianza sui rapporti di lavoro.

2. - Nel presente giudizio si sono costituiti entro i termini di legge i due Istituti: della Previdenza Sociale (deduzioni depositate il 28 giugno 1965) e della Assicurazione contro le malattie (deduzioni depositate il 3 settembre 1965 e memoria depositata il 25 ottobre 1966), ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato (atto depositato il 15 settembre 1965). Non vi é stato intervento della parte privata. Così gli argomenti dei due Istituti previdenziali come quelli dell'Avvocatura dello Stato si concludono nella richiesta che la Corte dichiari la infondatezza della questione sollevata dal giudice di merito; la difesa dell'I.N.P.S. chiede anzi che la sentenza dichiari la manifesta infondatezza della questione.

L'Istituto della previdenza sociale insiste particolarmente sul punto della rispondenza della norma denunciata ai principi espressi nell'art. 37 della Costituzione per la tutela del lavoro dei minori. Fa presente che nel rapporto di apprendistato é obbligo essenziale dell'imprenditore quello di provvedere all'addestramento dell'apprendista e di collaborare alle iniziative dirette a completare la sua istruzione professionale; ma soggiunge che la legge predispone anche i rimedi per impedire che - sotto il pretesto dell'apprendistato - si instaurino veri rapporti ordinari di lavoro subordinato in condizioni di sfruttamento, onde ne deriva una sufficiente garanzia a favore dei lavoratori maturi, per i quali la legge e la Costituzione non prevedono l'estensione delle misure dettate a favore dei minori. Tali lavoratori possono del resto anche essi apprendere un mestiere diverso da quello già esercitato, ma con altri mezzi e ben altro trattamento di quelli previsti per i minori di venti anni.

L'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie pone anzitutto in rilievo nelle proprie deduzioni il pericolo, confermato dalla citazione di numerose sentenze del Tribunale di Roma e della Corte di cassazione, che non pochi datori di lavoro facciano di tutto per mantenere nella qualifica di apprendista anche chi dovrebbe essere considerato e trattato come operaio maturo o addirittura provetto. In quanto ai limiti di età e di durata fissati dagli artt. 6 e 7 della legge in esame, la difesa dell'I.N.A.M. osserva che per i lavoratori adulti, che ambiscano a specializzarsi, esistono istituti appositi, preferibili ad un apprendistato da compiere a contatto con compagni più giovani e già provetti. Questi argomenti sono stati ribaditi nella successiva memoria della difesa dell'Ente, nella quale si pone in risalto anche maggiore la funzione assegnata alle norme in discussione.

Infine l'Avvocatura generale dello Stato ribadisce le conclusioni dei due Istituti nel proprio atto di intervento, con altre osservazioni desunte dai testi dell'art. 35 della Costituzione e della legge 29 aprile 1949, n. 264, che vi dette la prima attuazione di carattere generale. Vi aggiunge l'osservazione che l'apprendistato può riguardare soltanto le giovani leve del lavoro anche perché queste non hanno normalmente una famiglia a carico e possono quindi accontentarsi di una retribuzione molto più limitata e che, del resto, tutto il sistema della legge e le singole disposizioni concernenti: l'apposito comitato presso la commissione centrale dell'avviamento al lavoro, la visita sanitaria e l'esame psicofisiologico, la maggiore limitazione della durata del lavoro, il divieto del lavoro notturno, le ferie più estese, l'esclusione di lavori faticosi ed infine l'obbligo del datore di lavoro di informare la famiglia dell'apprendista sui risultati ed i progressi di questo, hanno ragione di essere proprio e soltanto in relazione all'età giovanile degli apprendisti.

Anche l'Avvocatura generale conclude pertanto perché la Corte voglia dichiarare la infondatezza della denunciata questione di illegittimità costituzionale.

Nell'udienza pubblica del 23 novembre 1966 le parti costituite hanno confermato le tesi già svolte negli scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

Le osservazioni e le conseguenti deduzioni esposte nella ordinanza del Tribunale di Caltanissetta, che ha ritenuto in contrasto con la norma dell'art. 35 della Costituzione la limitazione ad anni venti per l'assunzione dei lavoratori con la qualifica di apprendisti, non possono essere condivise dalla Corte.

Esse sono infatti in netto contrasto con la natura e la funzione dell'apprendistato, che é stato sempre ed ovunque concepito come il metodo più adeguato per avviare alla occupazione i giovani, aspiranti ad imparare un'arte od un mestiere, sul luogo stesso del lavoro e sotto la guida dell'imprenditore e l'esempio dei compagni più anziani e provetti.

L'abolizione di ogni limite di età in relazione a tale qualifica avrebbe effetti del tutto negativi, sia nei riguardi dell'ordine, della disciplina e del rendimento del lavoro, sia rispetto ai rapporti fra le maestranze, basati necessariamente sulla osservanza di una gerarchia a carattere tecnico, in funzione della esperienza acquisita.

É pertanto comprensibile e giustificata la decisione del legislatore di stabilire i limiti di età, tanto per la assunzione della qualità di apprendista quanto per la cessazione di essa: il limite minimo, - di quattordici anni - é in correlazione con le norme che regolano l'istruzione obbligatoria e con la necessità che l'aspirante abbia raggiunto un certo grado di sviluppo fisico ed intellettuale; il limite massimo - di venti anni - trova giustificazione nella scarsa probabilità di successo di soggetti, i quali siano giunti a quella età senza avere svolto alcuna attività lavorativa e raggiunto una certa esperienza.

D'altro lato, l'aspirazione, più che legittima, di lavoratori che abbiano superato quel limite di età senza avere ottenuto alcuna qualificazione professionale, di conseguirla successivamente, può e deve essere soddisfatta in altri modi, come quelli descritti dagli Istituti assistenziali costituiti nel presente giudizio, che dovranno però essere potenziati e diffusi, anche per evitare il pericolo, segnalato dagli Istituti stessi, che la qualifica di apprendista possa essere attribuita a lavoratori maggiorenni ed eventualmente anche esperti al solo scopo di corrispondere loro un salario inferiore a quello dovuto, eludendo le norme contenute nelle leggi o nei contratti collettivi.

La questione sottoposta all'esame della Corte non può essere perciò considerata fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione, proposta con ordinanza del Tribunale di Caltanissetta in data 7 aprile 1965, sulla legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 19 gennaio 1955, n. 25 (disciplina dell'apprendistato), in riferimento all'art. 35 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 13 dicembre 1966.

 

Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1966.