Sentenza n. 101 del 1966
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SENTENZA N. 101

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione della Valle d'Aosta con ricorso notificato il 23 maggio 1966, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale in pari data ed iscritto al n. 13 del Registro ricorsi 1966, per conflitto di attribuzione tra la Regione e lo Stato sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 maggio 1966 col quale il prefetto Guido Padalino é stato nominato Commissario del Governo con l'incarico di indire la convocazione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta, fissandone la data e l'ordine del giorno, e di assicurare il libero accesso alla sede assembleare dei consiglieri regionali.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1966 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi gli avvocati Guido Lucatello, Giuseppe Guarino e Vezio Crisafulli, per la Regione della Valle d'Aosta, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In seguito agli eventi verificatisi nella vita degli organi regionali della Valle d'Aosta e noti alla Corte, perché evocati nella camera di consiglio del 13 giugno 1966, il Presidente del Consiglio dei Ministri il 18 maggio 1966 emise un decreto col quale nominò il prefetto Guido Padalino Commissario del Governo con l'incarico di indire la convocazione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta, fissandone la data e l'ordine del giorno, e di assicurare il libero accesso alla sede assembleare dei consiglieri regionali per l'esercizio delle loro funzioni d'intesa col Presidente della Giunta regionale secondo le istruzioni a questi impartite dal Governo ai sensi dell'art. 44 dello Statuto speciale della Regione, o direttamente in caso d'inadempienza dell'organo regionale. Col medesimo decreto il Commissario del Governo ebbe facoltà di riconvocare l'assemblea fino ad esaurimento dell'ordine del giorno. Contro questo decreto propose ricorso il Presidente della Giunta regionale, avv. Severino Caveri, rappresentato e difeso dagli avvocati Guido Lucatello e Giuseppe Guarino, chiedendo l'annullamento del decreto del Presidente del Consiglio e di tutti gli atti conseguenti, in particolare della convocazione del Consiglio regionale disposta dal Commissario di Governo. Il ricorso fu depositato in cancelleria il 23 maggio 1966.

2. - Il provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri, ad avviso della difesa, avrebbe violato gli artt. 20, 46 e 48 dello Statuto valdostano e gli artt. 17 e 20 del Regolamento interno del Consiglio regionale; avrebbe invaso la sfera di competenza della Regione e sarebbe viziato per incompetenza, nonché per eccesso di potere sotto forma di sviamento. I motivi di queste violazioni sarebbero i seguenti. Il Consiglio regionale può essere convocato, ai sensi dell'art. 20 dello Statuto, soltanto dal suo Presidente. Il regolamento interno del Consiglio prevede una competenza del Presidente della Giunta regionale soltanto per la prima convocazione del Consiglio. Di più, sarebbe un principio generale, di carattere fondamentale, del nostro ordinamento costituzionale, che tutti gli organi assembleari e in genere tutti gli organi costituzionali non possano essere convocati se non dal proprio Presidente. Lo Statuto valdostano e il regolamento interno del Consiglio della Valle prevedono un potere di eccitare la competenza del Presidente, non già quello di sostituirsi ad esso. E l'art. 19 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, che riguarda del resto le regioni a statuto ordinario e che é richiamato dal decreto impugnato, prevede il potere del Commissario di Governo di formulare la richiesta di convocazione, non quello di sostituirsi al Presidente.

In secondo luogo lo Statuto disciplina compiutamente, nel titolo IX, i poteri che lo Stato può esercitare nei confronti della Regione. L'art. 45 prevede una commissione di coordinamento, alla quale il successivo art. 46 demanda il controllo degli atti amministrativi della Regione, ma non il potere di inviare commissari o di sostituirsi agli organi della Regione. L'art. 48, nei casi nei quali il Consiglio della Valle non sia in grado di funzionare o la Giunta regionale o il Presidente compiano atti contrari allo Statuto o alla Costituzione, oppure gravi violazioni di legge, prevede lo scioglimento del Consiglio regionale con decreto motivato del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Soltanto questi sono i poteri che lo Stato può adoperare quando ritenga indispensabile il suo intervento.

Né si può invocare, come fa il decreto, un presunto principio generale dell'ordinamento, che consentirebbe al Governo "un potere di vigilanza su tutti gli enti compresi nell'ordinamento dello Statuto per garantire la tutela della legalità e dell'interesse generale e l'indefettibile funzionamento delle istituzioni e degli organi pubblici". In particolare, codesto principio non sussiste per la Valle d'Aosta e in genere per tutti gli organi costituzionali, nei confronti dei quali il Governo non può esercitare altri poteri da quelli che gli sono espressamente riconosciuti. Tanto meno poi questo potere, che non spetta al Governo, potrebbe spettare al Presidente del Consiglio. Il Governo, nel nostro ordinamento, s'identifica col Consiglio dei Ministri, il quale provvede con deliberazioni che acquistano rilevanza esterna soltanto nella forma del decreto del Presidente della Repubblica. Anche il potere di annullamento degli atti di ufficio deve essere disposto con decreto presidenziale e pure con decreto presidenziale può procedersi allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali.

D'altra parte, tutte le competenze statali in materia regionale sono attribuite ad organi diversi dal Presidente del Consiglio dei Ministri. E ciò vale anche per la Valle d'Aosta, come risulta, ad esempio, dall'art. 48 dello Statuto. Pur se si ammettesse, perciò, l'esistenza del potere invocato dal Presidente del Consiglio, sarebbe stato necessario esercitarlo nella forma del decreto presidenziale che avrebbe per di più offerto la doppia garanzia dell'intervento al Consiglio dei Ministri del Presidente della Regione ai sensi dell'art. 44 dello Statuto, e del Presidente della Repubblica, al quale spetta l'alta tutela della Costituzione. Si aggiunga poi che lo Statuto valdostano non prevede un commissario del Governo con competenza generale: a maggior ragione non può essere nominato un commissario per l'adempimento di specifiche funzioni di competenza degli organi regionali. Infine il fatto che il Presidente del Consiglio dei Ministri si sia rivolto ad un singolo consigliere, all'insaputa del Presidente del Consiglio della Valle dimissionario, e del Presidente della Giunta, senza accertare nemmeno se tale consigliere fosse effettivamente il consigliere anziano, sollecitandolo ad adottare una iniziativa contraria alle norme dello Statuto, costituirebbe la riprova che l'intero comportamento del Presidente del Consiglio dei Ministri, conclusosi con il decreto impugnato ha avuto finalità di parte e leso anche, sotto tale profilo, l'autonomia della Valle.

La difesa del Presidente regionale chiese, congiuntamente, la sospensione del decreto del Presidente del Consiglio, motivando la richiesta con "la gravità del provvedimento ed il pericolo di turbamento dell'ordine pubblico".

3. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, si costituì il 6 giugno scorso, mediante il deposito di deduzioni, nelle quali in primo luogo sostenne le ragioni che, a suo avviso, si opponevano a una concessione della sospensione. Ai fini del presente dibattito é sufficiente ritenere quanto segue. Dal combinato disposto degli articoli 20 e 21 dello Statuto valdostano si ricaverebbe che la convocazione del Consiglio é un atto dovuto del Presidente, non già un presupposto per la validità delle deliberazioni del Consiglio. Questo può anche autoconvocarsi. Ne discenderebbe che la nomina di un commissario "per indire la convocazione" non può invadere la sfera di competenza attribuita al Presidente del Consiglio regionale. D'altra parte é avviso dell'Avvocatura che le funzioni del Presidente si esauriscono nell'ambito dell'Assemblea, sicché, come un atto del Presidente regionale é inidoneo a invadere la sfera di competenza dello Stato, così, reciprocamente, un atto dello Stato - nel caso quello istitutivo del commissario - non può invadere la sfera di attribuzioni del Consiglio regionale. Delle due l'una: o il Consiglio accoglie l'invito e ratifica per ciò stesso l'atto di convocazione, che resta assorbito nella deliberazione consiliare, facendo cessare l'ipotetico conflitto; o non l'accoglie, e l'atto di convocazione non produce alcun effetto e si rivela, al più, un sintomo dell'impossibilità di funzionamento del Consiglio.

Giuridicamente rilevante, se mai, l'altra funzione, attribuita al Commissario, di mantenere l'ordine pubblico e di garantire la libera auto convocazione del Consiglio e il libero svolgimento delle sue attività istituzionali; ma non si dubita che si tratti di un potere certamente spettante allo Stato e non contestato dalla Regione. In secondo luogo, nemmeno se si volesse ritenere che il compito attribuito al Commissario si identifichi col potere-dovere del Presidente del Consiglio regionale di convocare il Consiglio, il provvedimento sarebbe illegittimo.

Il fondamento del potere di nominare un commissario per indire la convocazione del Consiglio si rinvenirebbe non solo e non tanto nell'art. 19 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 quanto, nel ricordato principio, secondo il quale spetta al Governo un potere generale di sorveglianza su tutti gli enti ed organi nell'ambito dell'ordinamento per garantire la legalità e lo svolgimento regolare delle loro funzioni. L'esistenza di questo principio sarebbe stata riconosciuta da questa Corte, secondo la quale il potere, che quel principio dichiara, troverebbe un limite soltanto in situazioni costituzionalmente garantite, che impongono allo Stato di proporre ricorso alla Corte per la risoluzione del conflitto. Per l'Avvocatura, nel caso che ci occupa, non soltanto non sussisterebbe il limite, ma vi sarebbe una norma (art. 48 dello Statuto della Valle d'Aosta) la quale, nell'attribuire al Governo il potere di promuovere lo scioglimento del Consiglio, gli attribuisce implicitamente il potere, di ampiezza e importanza assai minore, di convocarlo. Ora, nel procedimento che sbocca nello scioglimento del Consiglio regionale, spetta indubbiamente al Presidente del Consiglio dei Ministri un potere d'iniziativa, che comporta il potere-dovere di accertare la sussistenza dei presupposti, che legittimano il provvedimento di scioglimento e, nella specie, tale accertamento non poteva essere compiuto senza la convocazione del Consiglio, condizione necessaria per accertare l'impossibilità di funzionamento del Consiglio stesso. In conclusione, l'Avvocatura sostiene che il potere esercitato dal Presidente del Consiglio rientrerebbe, come mezzo al fine, tra i poteri istruttori spettanti necessariamente ad esso Presidente per esercitare le iniziative che gli competono nell'ambito del procedimento che sbocca nello scioglimento del Consiglio regionale.

4. - La Corte, convocata in camera di consiglio il 13 giugno 1966 per decidere sull'istanza di sospensione, ha pronunziato un'ordinanza con la quale, considerato che il provvedimento aveva già conseguito i suoi effetti per intero, e che non sussistevano le gravi ragioni addotte, riservata ogni decisione sulle questioni di rito e di merito sollevate, rigettò l'istanza di sospensione del provvedimento.

5. - Nelle more, la nuova Giunta regionale, con deliberazione 8 giugno 1966, ha revocato il mandato conferito agli avvocati Lucatello e Guarino "riservandosi ogni ulteriore determinazione al riguardo dopo le occorrenti consultazioni con altri legali" e con successiva delibera del 21 settembre 1966 conferiva il mandato di rappresentarla e difenderla all'avv. Vezio Crisafulli.

In conseguenza é stata depositata il 5 ottobre scorso per la Regione nella persona del Presidente pro tempore avv. Cesare Bionaz, una memoria nella quale si sostiene preliminarmente la validità delle deliberazioni con le quali la Giuntaattualmente in carica, l'8 giugno 1966, ha revocato il mandato agli avvocati Guido Lucatello e Giuseppe Guarino. Davanti alla Corte, infatti, parte in giudizio é la Regione e non la Giunta regionale. E poiché la Regione sta in giudizio nella persona del Presidente pro tempore, autorizzato dalla Giunta pro tempore, solo tali organi sono legittimati ad adottare tutte le deliberazioni e a compiere gli atti relativi al giudizio. Per sostenere la tesi opposta bisognerebbe ritenere l'inesistenza dell'atto impugnato e l'inesistenza di tutte le deliberazioni adottate successivamente dal Consiglio. Il giudizio attuale é limitato, invece, alla deliberazione relativa alla spettanza del potere e, come conseguenza, nel caso di disconoscimento del potere governativo, all'annullamento dell'atto dello Stato, non già degli atti ulteriormente posti in essere dal Consiglio regionale, per i quali pure ammesso, in denegata ipotesi, che siano affetti da invalidità derivata per illegittimità dei pretesi presupposti (nomina del Commissario e convocazione del Consiglio), si richiederebbe sempre un'apposita pronuncia di annullamento delle deliberazioni stesse, che sarebbe di competenza. degli organi della giurisdizione amministrativa. L'interesse dell'avv. Caveri e degli altri membri della Giunta all'annullamento delle deliberazioni consiliari del 30 e 31 maggio (revoca della Giunta ed elezione della nuova Giunta) può farsi valere davanti al Consiglio di Stato o alla Giunta giurisdizionale amministrativa della Valle, non in sede di conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione dinanzi alla Corte, dove viene in considerazione soltanto l'interesse della Regione, che solo gli organi in carica, cioé Presidente e Giunta eletti il 31 maggio ultimo scorso, sono in grado di valutare.

Nel merito la difesa sostiene che non può dubitarsi che il Consiglio regionale fosse stato messo in condizione di non funzionare per illegittimo comportamento "assunto e mantenuto dalla cessata Giunta e dal suo Presidente, nonché dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale". Ciò ha reso indispensabile l'intervento dello Stato, che non poteva essere quello previsto dall'art. 48 dello Statuto della Valle d'Aosta (potere di scioglimento del Consiglio) perché il Governo si sarebbe con ciò prestato a una manovra politica preordinata a soffocare la libera esplicazione della volontà del Consiglio nella sua attuale composizione. Né d'altronde sussistevano i motivi specificati nell'art. 48 dello Statuto per un legittimo scioglimento del Consiglio: il Consiglio infatti era impossibilitato a funzionare non per causa ad esso comunque imputabile, ma semplicemente perché impedito prima con mezzi pretestuosi e dilatori, poi con la forza, di convocarsi e deliberare. L'intervento del Commissario, anzi, al circoscritto scopo di rinnovare la convocazione già indetta dal consigliere anziano senza esito, ha sbloccato la situazione e mostrato che il Consiglio era in grado di funzionare.

Si sarebbe in presenza, perciò, di una situazione eccezionale, squisitamente atipica, nella quale é intervenuto un atto anch'esso per forza di cose "atipico" del quale sarebbe formalistico andare a ricercare la espressa e puntuale previsione in una norma dello Stato. Si potrebbe, prosegue la difesa, ritenere che il provvedimento non dovesse essere motivato, come é stato motivato, col richiamo ad una inutile generalizzazione, dato che si trattava di far fronte ad una particolarissima situazione, ma occorre guardare non alle premesse giustificative dell'atto, quanto all'atto in sé e allo specifico potere di cui costituisce concreta esplicazione. Nei conflitti di attribuzione, infatti, la declaratoria delle attribuzioni in contestazione, - sia essa da considerare semplice premessa dell'annullamento o della reiezione della domanda di annullamento, sia invece da considerare oggetto proprio della decisione a parità con la pronuncia sull'atto - si circoscrive a quelle determinate attribuzioni, così come furono esercitate attraverso l'atto impugnato.

Ma, così delimitato l'oggetto del presente giudizio, fermo restando che non ne fanno parte gli atti successivi del Consiglio regionale, verrebbe a mancare la materia del contendere poiché la Regione non potrebbe disconoscere che lo strumento adottato si é risolto, in fatto, nel ripristino della propria autonomia, cioè nel libero esercizio dei poteri statutariamente attribuiti ai suoi organi costituzionali: Consiglio, Giunta e Presidente.

6. - In una memoria per il Presidente della Giunta della Valle d'Aosta avv. Severino Caveri gli avvocati Lucatello e Guarino, dopo aver ribadito con più estesa motivazione la tesi che lo Stato non ha il potere di nominare un commissario per la convocazione del Consiglio della Valle, sicché il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sarebbe da considerare più che illegittimo, inesistente; e l'altra che tale potere non poteva, a fortiori, essere esercitato dal Presidente del Consiglio dei Ministri su semplice parere di una Commissione speciale del Consiglio di Stato, si propongono e svolgono due altri quesiti: 1) "se la Giunta può nella sua nuova composizione revocare il mandato ai difensori al fine di far sostenere una tesi opposta a quella che comporta la sua inesistenza o sinanche, in ipotesi," rinunciare "al proposto conflitto di attribuzione"; 2) "se esiste nell'ambito dell'ordinamento costituzionale della Valle d'Aosta, il potere del Consiglio di obbligare la Giunta a dimettersi con un voto di sfiducia". All'uno e all'altro quesito si dà risposta negativa.

Quanto al primo quesito, si sostiene che la revoca del mandato (e in ipotesi la rinuncia al ricorso) possono produrre effetto solo se si ammette che provengano da un organo legittimato ad emanarli. Il che, risalendo nella catena degli atti che portano a questi due ultimi, non si può dire se prima non si stabilisce la legittimità e l'esistenza dell'atto che é alla base di tutti gli altri, la nomina del Commissario da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri e la convocazione del Consiglio della Valle da parte del Commissario. Queste due questioni devono perciò essere esaminate o in via principale o in via incidentale al fine di poter stabilire la validità dei provvedimenti adottati o che vorrà eventualmente adottare la nuova Giunta. In secondo luogo la giustizia costituzionale mira alla tutela delle situazioni sostanziali. E poiché l'insieme delle norme, delle quali si assume la violazione, mira a garantire che la Giunta regionale sia composta dei consiglieri che erano stati eletti a tale ufficio dal Consiglio nella sua prima adunanza, non dovrebbe consentirsi l'ingresso in questo giudizio a quanto miri a impedire l'esame di questa questione da parte della Corte. In altri termini gli attuali componenti della Giunta regionale della Valle d'Aosta non possono farsi giustizia da sé; solo una sentenza della Corte può stabilire se la legittima composizione della Giunta sia quella attuale o non quella che ha proposto il conflitto di attribuzione.

Quanto al secondo quesito si sostiene che, a differenza degli altri esecutivi regionali e analogamente all'esecutivo della Regione Trentino-Alto Adige e come é confermato da norme dello Statuto valdostano, l'esecutivo della Valle avrebbe "inequivocabilmente" carattere direttoriale, con la conseguenza che esso deve rimanere in carica per l'intera durata della legislatura, indipendentemente dalle vicende politiche che modifichino le maggioranze nel Consiglio regionale. Fa eccezione l'ipotesi prevista dall'art. 48 dello Statuto della Valle d'Aosta, ma questa ipotesi che é quella per cui la Giunta e il suo Presidente debbono essere sostituiti su segnalazione del Governo della Repubblica "qualora abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione" o allo Statuto o gravi violazioni di legge, esclude implicitamente che la revoca possa essere deliberata in altre ipotesi, e cioé in seguito a mozione di sfiducia: la conseguenza sarebbe che una mozione di sfiducia del Consiglio della Valle alla Giunta regionale o al suo Presidente sarebbe inammissibile; e se venisse presentata e approvata non sarebbe in grado di produrre l'obbligo del Governo regionale di dimettersi, né potrebbe costituire fondamento giuridico per una revoca di tale Governo.

Nemmeno si potrebbe vedere, del resto, nella deliberazione del Consiglio della Valle del 23 maggio 1966 una deliberazione di revoca della Giunta ai sensi dell'art. 48 dello Statuto, perché di siffatta revoca mancano del tutto i presupposti; anzi, tutti i motivi, indicati nella mozione posta in votazione, sarebbero palesemente infondati.

7. - In una memoria depositata il 5 ottobre ultimo scorso l'Avvocatura, ribadita l'inidoneità dell'atto-provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri a invadere la sfera di competenza della Regione, afferma che ciò comporta l'inammissibilità del ricorso.

Se si esclude siffatta inammissibilità originaria, prosegue l'Avvocatura, deve ammettersi una inammissibilità sopravvenuta per carenza d'interesse o, quanto meno, per la cessazione della materia del contendere. Se v'era stata "invasione", infatti, essa era cessata nel momento in cui il Consiglio regionale, ratificando la convocazione, aveva ritenuta valida l'adunanza, oppure quando il 27 maggio 1966 il neo Presidente del Consiglio regionale ha proceduto alla convocazione di tutti i consiglieri per il 30 successivo. Sulla validità di questa convocazione non dovrebbero nutrirsi dubbi anche in base ai principi generali sul funzionario di fatto e sugli effetti dei suoi atti. Riprova della completa cessazione della materia del contendere é poi la deliberazione del 10 giugno scorso, con la quale la Giunta regionale é stata unanime nell'attribuire all'intervento del Commissario governativo il valore di un atto di pura e semplice propulsione, diretto a promuovere e a garantire la libertà di riunione del Consiglio regionale già richiesta da un terzo dei consiglieri ai sensi dell'art. 20 dello Statuto (che, per di più, ne prescrive la convocazione entro la prima settimana di aprile), e a impedire il persistente e illegale comportamento dell'Ufficio di Presidenza dell'Assemblea e della Giunta; che l'iniziativa del Commissario ha finalmente consentito di effettuare l'adunanza del Consiglio, il quale, in pieno esercizio della sua autodeterminazione ha deliberato sugli argomenti all'ordine del giorno, sancendo la rispondenza dell'iniziativa al fine di rimuovere la situazione abnorme e lesiva degli interessi della Regione; che, così, il Consiglio regionale ha potuto riesplicare i poteri suoi propri dimostrandosi la piena capacità sua a funzionare regolarmente.

Difende poi la tesi, che dichiara non condivisa da molti autori - la cui esattezza del resto sarebbe necessaria solo ai fini dell'accoglimento dell'altra dell'inammissibilità originaria del ricorso - del carattere presupposizionale, non fornito di autonomia ed effettualità propria, dell'atto di convocazione, col richiamo all'ordinamento positivo: art. 62 della Costituzione (che prevede la convocazione di diritto e l'auto convocazione delle Camere); artt. 14 e 19 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulla costituzione e il funzionamento degli organi regionali che contengono norme analoghe; artt. 20 dello Statuto per la Sardegna e 20 dello Statuto Friuli-Venezia Giulia. Vero é che né lo Statuto del Trentino-Alto Adige, né quello della Valle d'Aosta prevedono convocazioni di diritto o auto convocazioni del Consiglio regionale, ma nulla fa ritenere che la convocazione fatta dal Presidente, dal Vice presidente o dal Presidente della Giunta (e per la Sardegna anche dal Commissario di Governo) sia presupposto di validità della adunanza. In conclusione, al Presidente del Consiglio regionale é attribuito il potere-dovere di convocare il Consiglio, non quello negativo, di impedirne le riunioni. Se il Presidente convoca il Consiglio questo deve adunarsi; ma il Consiglio può riunirsi anche senza convocazione del Presidente, dalla quale non può dipendere la validità delle riunioni e deliberazioni consiliari. Conclusione confermata dall'art. 21 dello Statuto, il quale nell'indicare tassativamente i presupposti e gli elementi di validità delle deliberazioni consiliari non menziona la convocazione presidenziale.

In terzo luogo l'Avvocatura sostiene la tesi della legittimità del potere degli organi centrali dello Stato di sostituirsi ad organi regionali nel compimento di atti dovuti e diretti a consentire il normale svolgimento delle funzioni attribuite dallo Statuto ai Consigli regionali, diretti, cioé, a consentire il funzionamento dei consigli stessi - essendo questa la questione che, ad avviso dell'Avvocatura, viene nel presente giudizio e non già l'altra, se e dentro quali limiti spetti in via generale agli organi centrali dello Stato un potere di controllo sostitutivo degli organi regionali.

L'Avvocatura richiama la norma dell'art. 26 dello Statuto del Trentino-Alto Adige che prevede, nell'ipotesi di carenza degli organi regionali, il potere del Commissario di Governo di convocare il Consiglio regionale e sostiene che questa norma costituzionale, come esclude l'esistenza di un principio fondamentale della Costituzione che riservi ai Presidenti delle Assemblee regionali il potere di convocarle, enuncia un principio generale che può essere applicato nel silenzio dello Statuto alla Regione della Valle d'Aosta. Gli Statuti, infatti, non costituiscono "corpi chiusi di norme", che impediscono l'applicazione di principi che si possono ricavare da altre disposizioni costituzionali per colmare loro eventuali lacune. A fondamento del principio posto dall'art. 26 dello Statuto del Trentino-Alto Adige si pone l'esigenza di tutela della legalità e dell'interesse generale, ed anche la salvaguardia dei diritti delle minoranze e l'esigenza di eccitare il funzionamento del Consiglio, ed esso attua e completa sia il principio (fondamentale fra tutti - art. 1 della Costituzione) del sistema democratico, sia quello della conservazione degli organi.

L'Avvocatura respinge la tesi che sia stata violata la norma dell'art. 44 dello Statuto, per il fatto che, non essendo stato adottato il provvedimento con deliberazione del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Giunta regionale non ha partecipato alla seduta nella quale la deliberazione avrebbe dovuto essere adottata: in primo luogo perché il controllo sugli atti illegittimi della Regione (positivi od omissivi che siano) riguarda lo Stato e non v'é luogo in questo caso all'intervento del Presidente della Giunta; in secondo luogo perché, a suo avviso, il provvedimento non doveva essere adottato con deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il Governo non si identifica necessariamente col Consiglio dei Ministri. Esso sussiste come entità generale anche astraendo dal Consiglio, composto com'é dal Presidente e dai Ministri quali organi individuali che agiscono anche da soli, svolgendo un'attività che é però imputabile al Governo nella sua unità. L'attività del Consiglio consiste essenzialmente nella determinazione dell'indirizzo politico-amministrativo e in quella della direzione politica, mentre per lo svolgimento dei compiti di altra natura la partecipazione del Consiglio deve essere espressamente stabilita di volta in volta dal legislatore. Ora manca una specifica attribuzione al Consiglio dei Ministri del potere governativo di ordinare in via surrogativa la convocazione di un Consiglio regionale, e sta di fatto, invece, che in questa materia il potere sostitutivo del Governo é esercitato di regola, in sede decentrata, dall'organo governativo di collegamento tra Stato e Regione (art. 19 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e art. 26 dello Statuto Trentino-Alto Adige). E poiché un organo di collegamento siffatto manca nella Valle d'Aosta, le funzioni sue tipiche sono assicurate direttamente dall'Amministrazione centrale e per questa dall'organo che in generale sovrintende ai rapporti con le Regioni, vale a dire il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Qualora, infine, si negasse la esistenza di un potere di controllo sostitutivo dello Stato sugli atti omissivi della Regione, non perciò il decreto del Presidente del Consiglio sarebbe illegittimo, essendo sufficiente a fondarne la legittimità la necessità, per giungere allo scioglimento del Consiglio nelle quattro ipotesi previste dall'art. 48 dello Statuto della Valle d'Aosta, di verificare lo stato di funzionamento del Consiglio regionale, allorquando questo non risulti inadempiente ai suoi doveri istituzionali, ma solo impedito di esercitare la sua funzione. La nomina del Commissario rappresenta nella specie, perciò, l'esercizio di un potere implicito del Governo preordinato al potere- dovere di promuovere, occorrendo, lo scioglimento del Consiglio, espressamente attribuito al Governo stesso dall'art. 48 dello Statuto speciale. Una volta poi accertato che l'atto rientra nell'iniziativa propria del Governo e che esso non incide direttamente sull'amministrazione ordinaria regionale e non richiede perciò forme speciali non precisate da alcuna norma di legge, si deve dedurre che esso rientra nella competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, che rappresenta unitariamente il Governo nei rapporti con le Amministrazioni regionali e bene quindi riveste la forma del decreto del Presidente del Consiglio.

L'Avvocatura conclude chiedendo che sia dichiarato inammissibile il ricorso o comunque cessata la materia del contendere, o, in via subordinata, che sia rigettato affermandosi che spetta allo Stato e, per esso, al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di sostituirsi all'inerzia del Presidente del Consiglio regionale nella convocazione del Consiglio stesso.

8. - In data 5 ottobre 1966 la Giunta regionale della Valle d'Aosta deliberava di rinunziare al ricorso, non sussistendo per la Regione "alcun interesse concreto a proseguire il ricorso instaurato con il ricorso per conflitto di attribuzione".

Il giorno successivo il Presidente della Giunta emanava formale dichiarazione di rinunzia al ricorso. Il giorno 7 ottobre il Presidente del Consiglio dei Ministri accettava la rinuncia del Presidente della Regione al conflitto di attribuzione.

La Rinuncia della Regione con l'accettazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri é stata depositata in cancelleria il 10 ottobre 1966.

9. - All'udienza del 19 ottobre gli avvocati Guarino e Crisafulli e l'Avvocato dello Stato Guglielmi hanno discusso sul punto della validità della deliberazione di revoca del mandato adottata dalla Giunta regionale nei confronti degli avvocati Guido Lucatello e Giuseppe Guarino.

La Corte, ritiratasi in camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza, che é stata letta dal Presidente nell'udienza:

"La Corte

"considerato che legittimata a stare in giudizio nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regione é la Regione nella persona del Presidente pro tempore;

"che il Presidente della Regione attualmente in carica ha conferito mandato il 24 settembre scorso all'avv. Vezio Crisafulli perché rappresenti e difenda la Regione nel presente giudizio, previa delibera della Giunta del 21 dello stesso mese;

"che deve ritenersi la validità della deliberazione della Giunta regionale dell'8 giugno 1966, notificata agli avvocati Guido Lucatello e Giuseppe Guarino, con la quale é stato revocato l'incarico loro conferito il 22 maggio 1966 di rappresentare e difendere la Regione nel presente conflitto di attribuzione;

"dichiara che solo l'avv. Vezio Crisafulli é legittimato a stare nel presente giudizio in difesa della Regione".

 

Considerato in diritto

 

La Corte non può limitarsi nel caso presente a prendere atto dell'avvenuta rinunzia al ricorso da parte della Regione e dell'accettazione, da parte dello Stato, di tale rinunzia. Gli eventi di questa causa, quali risultano dalla narrativa, sono sufficiente ragione della necessità in cui la Corte si trova, al fine della tutela dell'ordinato svolgersi dei rapporti tra Stato e Regione e dell'integrità delle sfere di competenza dell'uno e dell'altra, di accertare preliminarmente la validità della rinunzia. E codesto accertamento non é possibile fare senza verificare, in primo luogo, la legittimità del provvedimento di nomina di un Commissario incaricato di convocare il Consiglio regionale e di assicurarne il pacifico e regolare funzionamento adottato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Non occorre ai fini di questo accertamento esaminare la fondatezza di tutte le tesi che sono state addotte dalla difesa del Presidente del Consiglio, segnatamente di quelle relative al carattere del provvedimento presidenziale e dell'atto successivo di convocazione, che si porrebbero, nella serie degli atti del Consiglio, non già come presupposti in senso tecnico dell'ulteriore attività consiliare, ma come presupposti remoti e di fatto. Né occorre accertare la natura del potere del Presidente del Consiglio regionale di convocare il Consiglio, e se sia tale da non ammettere che una convocazione da parte di un organo dello Stato possa configurarsi come un'invadenza della sfera di competenza della Regione; né, infine, se il potere del Commissario del Governo di convocare il Consiglio, previsto dal quarto comma dell'art. 26 dello Statuto Trentino-Alto Adige, sia espressione di un principio generale valido anche per le altre Regioni a statuto speciale.

La difesa dello Stato ha invocato, anche, l'esistenza di un principio secondo il quale spetta al Governo un potere generale di sorveglianza su tutti gli enti ed organi esistenti nell'ambito dell'ordinamento per garantire la legalità e lo svolgimento regolare delle loro funzioni. Ma nemmeno di questo principio, del quale, segnatamente se ricondotto all'altro più generale del potere-dovere dello Stato di garantire l'ordinamento contro ogni violenza e di assicurare il rispetto della legalità costituzionale, la Corte non si dissimula l'importanza, occorre in questa sede dimostrare la fondatezza e i limiti. Nel caso presente é pacifico che l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale non soltanto si rifiutò di osservare le norme statutarie relative alla convocazione ordinaria e straordinaria del Consiglio, non soltanto la Giunta, o il suo Presidente, impedì l'accesso dei consiglieri nella sede del Consiglio, ma il Vice-Presidente del Consiglio regionale che esercitava la carica al posto del Presidente, dimissionario per motivi di salute, rivolse al Presidente del Consiglio dei Ministri una lettera con la quale invitava il Governo a sciogliere il Consiglio a suo avviso incapace di funzionare. Ne consegue, a prescindere dall'applicabilità di quel più alto e generale principio sopra enunciato, che il provvedimento del Presidente del Consiglio trova in questo contesto, e senza che occorra tener conto della motivazione che reca, un più puntuale e preciso fondamento nell'art. 48 dello Statuto che riconosce al Governo il potere di sciogliere il Consiglio regionale, tra l'altro anche nel caso nel quale esso Consiglio "non sia in grado di funzionare". Ora non può contestarsi, ad avviso della Corte, che tale potere comporti l'altro, l'esercizio del quale é di natura preliminare e istruttoria, di accertare se in effetti il Consiglio fosse in grado di funzionare, come affermava la maggioranza del Consiglio e negava il suo Vice- Presidente. Dal che discende anche che tale potere non poteva essere esercitato se non dal Presidente del Consiglio, che rappresenta il Governo nei rapporti con la Regione, e al quale spetta di coordinare e dirigere l'attività del Consiglio dei Ministri e di fissarne l'ordine del giorno, e quindi anche di investirlo della questione relativa all'eventuale scioglimento del Consiglio regionale. Della legittimità del provvedimento presidenziale, così inteso, non può dubitarsi; ne consegue l'impossibilità di ricavarne l'invalidità dei due provvedimenti di revoca del mandato agli avvocati Guido Lucatello e Giuseppe Guarino e di rinunzia al presente conflitto di attribuzione, adottati dalla Giunta regionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara estinto il processo per rinunzia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

Depositata in cancelleria il 19 novembre 1966.