Sentenza n. 73 del 1966
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SENTENZA N. 73

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, ultimo comma, della legge 27 gennaio 1963, n. 19, sulla "Tutela giuridica dell'avviamento commerciale", promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1965 dal Pretore di Nardò nel procedimento civile vertente tra Pignatelli Maria e Margiotta Giuseppe, iscritta al n. 91 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 151 del 19 giugno 1965.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 4 maggio 1966 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento per convalida di licenza per finita locazione, vertente fra la locatrice Pignatelli Maria e il conduttore Margiotta Giuseppe davanti alla Pretura di Nardò, il Pretore ha sollevato d'ufficio, con ordinanza emessa il 16 marzo 1965, la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'ultimo comma dell'art. 4 della legge 27 gennaio 1963, n. 19, sulla "Tutela giuridica dell'avviamento commerciale", in riferimento all'art. 42, secondo comma, della Costituzione. Egli sospendeva quindi il giudizio in corso, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza di rimessione prospetta alcune difficoltà di interpretazione della norma denunciata, sia per quanto concerne la identificazione del momento iniziale del termine concesso al conduttore per rinunciare al compenso per la perdita dell'avviamento, previsto nelle disposizioni anteriori, ed optare per la proroga del contratto di locazione, sia rispetto alle regole da seguire per la determinazione del nuovo canone "da concordarsi tra le parti".

Nella ordinanza é detto che la interpretazione più accettabile in quanto renderebbe la norma di più possibile attuazione, anche se appare in contrasto con la lettera e lo spirito della legge, induce a consentire al conduttore la facoltà di optare per la proroga indipendentemente dall'accertamento dei presupposti del diritto al compenso per la perdita dell'avviamento, ma che in conseguenza di ciò si verificherebbe una compressione del diritto di proprietà, senza alcuna giustificazione di assicurarne la funzione sociale; e pertanto vi sarebbe violazione dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione.

Si aggiunge che la proroga sarebbe incompatibile con la garanzia costituzionale del diritto di proprietà pur se si considerasse condizionata la facoltà di optare all'accertamento del diritto al compenso per la perdita dell'avviamento. Anche in questo caso il conduttore conserverebbe la disponibilità dell'immobile fino al compiuto accertamento dei presupposti per il compenso, e la facoltà di optare per la proroga ove tale compenso gli fosse negato, ovvero anche concesso, ma in misura inferiore a quella desiderata.

L'ordinanza, comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento e notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, é stata pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 151 del 19 giugno 1965.

Nessuna delle parti private si é costituita. É intervenuto invece in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ed ha concluso - nell'atto di intervento e poi in una memoria illustrativa - perché la Corte dichiari infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dal Pretore di Nardò.

Dopo un'ampia esposizione dei fini perseguiti dalla legge, mediante norme intese ad evitare l'indebito arricchimento del locatore, il cui immobile sia stato valorizzato dall'attività commerciale o artigiana del conduttore, la difesa dello Stato osserva che il compenso previsto per la perdita subita da questo ultimo può assumere due forme: quella del pagamento di una somma di denaro o quella della proroga biennale; ma la seconda soluzione é condizionata all'accordo bilaterale sulla misura del canone e pertanto non dà luogo ad una specie di diritto potestativo del conduttore: questi non può affatto pretendere di ottenere la proroga anche nel caso di mancato accordo, ma soltanto agire perché gli venga attribuito il compenso per la perdita dell'avviamento conseguente alla cessazione del rapporto di locazione.

In altri termini, la norma non dovrebbe in alcun modo essere interpretata nel senso che il conduttore abbia una assoluta libertà di scelta, anche se - a parere della Avvocatura generale - neppure una interpretazione in tal senso potrebbe considerarsi ingiustificata alla stregua dei precetti costituzionali, trattandosi di tutelare, in forme alternative, lo stesso interesse del conduttore a conservare i frutti della propria attività e di evitare l'indebito arricchimento del proprietario dell'immobile valorizzato per effetto di tale attività.

Alla pubblica udienza il rappresentante dell'Avvocatura generale dello Stato ha riaffermato le conclusioni già presentate.

 

Considerato in diritto

 

Alcune delle difficoltà interpretative prospettate nella ordinanza del Pretore di Nardò nei riguardi della attuazione della norma denunciata sono innegabili e si debbono proprio al fatto che la legge 27 gennaio 1963, n. 19, fu frutto di una lunga e tormentata elaborazione legislativa. Tuttavia non é esatto che sia impossibile intendere quali siano state le intenzioni del legislatore; ed é sulla base di queste, ricavabili peraltro dall'intero sistema della legge, che é possibile pervenire a sciogliere i dubbi ed a risolvere i problemi concernenti l'applicazione delle norme.

Non si può dubitare, infatti, che lo scopo preminente della legge é stato quello di evitare che il locatore possa trarre un arricchimento eventualmente cospicuo, e senza alcun contributo personale, dall'attività commerciale o artigiana esercitata dal conduttore nel corso della locazione di un immobile adibito appunto all'esercizio di tale attività: il che potrebbe accadere tanto per il fatto che lo stesso locatore subentri al conduttore nella medesima attività, come per quello che egli provveda a locare l'immobile a un terzo, richiedendo ed ottenendo canoni particolarmente elevati in funzione di un avviamento dovuto soprattutto alla attività svolta dal predecessore.

Per queste ragioni l'art. 4, primo comma, della legge indicata stabilisce la regola (cui fanno eccezione i casi di risoluzione del contratto per inadempienza del conduttore, di volontà espressa di questi di non rinnovare il contratto o di prelazione da lui esercitata), secondo la quale il conduttore uscente ha diritto di essere compensato dal locatore per la perdita dell'avviamento subita dalla propria azienda.

Nell'ultimo comma, il terzo della disposizione citata, é prevista tuttavia un'altra fattispecie, che ha indotto il Pretore di Nardò a sollevare la questione di legittimità costituzionale. Viene richiamato nel testo di esso il terzo comma dell'art. 2 della legge, così redatto: "Il conduttore ha diritto di prelazione se, nelle forme predette (comunicazione mediante raccomandata con avviso di ricevimento) ed entro quindici giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al primo comma, offra condizioni eguali a quelle comunicategli dal locatore..."; e in relazione ad esso si dispone che "Il conduttore può rinunciare al predetto compenso (previsto nel citato primo comma dell'art. 4), optando, nelle forme e nel termine di cui al terzo comma dell'art. 2 (testé citato), per la proroga biennale del contratto di locazione ad un canone da concordarsi tra le parti".

La perplessità manifestata dal giudice di merito nei riguardi di questa norma é stata provocata essenzialmente, come si ricava dal testo dell'ordinanza di rimessione alla Corte ed é stato riferito nella esposizione del fatto, dai dubbi concernenti: la identificazione del momento di decorrenza del termine assegnato al conduttore per rinunciare al compenso sopra ricordato ed optare invece per la proroga biennale, poi il rapporto fra il diritto alla proroga e il diritto al compenso ed infine quale sia il sistema da adottare per la determinazione contrattuale del nuovo canone di locazione.

Questi dubbi potrebbero apparire giustificati, ancorché non diano necessariamente luogo a questioni di legittimità costituzionale, qualora si considerassero singolarmente le diverse disposizioni; ma se le si inquadrano in una visione generale, tenendo presente soprattutto la ratio di esse, é possibile ravvisarvi un significato sicuramente coerente e conforme alla Costituzione. Questa prevede infatti espressamente eventuali limitazioni dei diritti reali, compreso quello di proprietà, là dove dispone che "La proprietà privata é riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti" (art. 42, secondo comma); né sembra possibile contestare che quasi dovunque, nei più diversi ordinamenti giuridici, si viene affermando gradatamente la tendenza ad attribuire un particolare valore e una maggiore protezione alle attività produttive che non al godimento di beni già esistenti.

Nei riguardi della questione che forma oggetto del presente giudizio si deve indubbiamente constatare che la legge ha introdotto alcune limitazioni all'esercizio del diritto di proprietà, soprattutto con la norma che riconosce al conduttore un diritto di prelazione rispetto ad altri, aspiranti ad ottenere la conduzione dell'immobile (art. 2); ma esse si riconducono al tipo di quei limiti al diritto di proprietà, i quali, se disposti con legge ed allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di rendere tale diritto accessibile a tutti, sono considerati legittimi dalla norma costituzionale già ricordata. É opportuno anche rilevare che l'art. 2 sopra richiamato dispone che il locatore deve comunicare al conduttore, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, le offerte ricevute da terzi, almeno sessanta giorni prima della scadenza contrattuale o consuetudinaria, e che il conduttore ha diritto di prelazione se offre condizioni eguali entro il termine di quindici giorni dalla ricezione della comunicazione.

Queste forme e questi termini sono richiamati nell'ultimo comma dell'art. 4 della legge, il quale costituisce l'oggetto del presente giudizio, così che sembra consentito ritenere che anche "in ogni (altro) caso di cessazione del rapporto di locazione... diverso dalla risoluzione per inadempienza del conduttore e fuori della ipotesi di effettivo esercizio del diritto di prelazione previsto dal terzo comma dell'art. 2", il locatore abbia l'onere di notificare la disdetta almeno sessanta giorni prima della scadenza contrattuale o consuetudinaria, ai fini indicati nell'art. 1596 del Codice civile, e il conduttore che aspira alla proroga biennale abbia a sua volta l'onere di comunicare al locatore, entro quindici giorni dalla ricezione della disdetta, l'offerta delle nuove condizioni, che egli é disposto ad accettare.

Nel caso che il locatore accetti le condizioni stesse, fra le quali é compresa ovviamente la misura del canone proposta per il tempo della proroga biennale, o che comunque l'accordo fra le parti venga raggiunto prima della data di scadenza contrattuale (data posteriore di sessanta giorni a quella della disdetta e di quarantacinque giorni a quella della comunicazione delle condizioni offerte dal conduttore), si avrà la proroga biennale; in caso diverso il contratto di locazione sarà risolto alla scadenza prestabilita, mentre potrà essere proposto il quesito sulla esistenza del diritto del conduttore al compenso previsto nei primi due commi dell'art. 4 della legge.

Né la sussistenza di tale diritto, né la misura del compenso sono regolate dalla legge in modo assoluto. Si é già rilevato che il primo comma dell'articolo testé citato delimita in modo preciso i casi nei quali il conduttore può chiedere quel compenso, o indennità che dir si voglia: la pretesa é condizionata al fatto (che, ovviamente, deve essere provato in giudizio) della perdita dell'avviamento subito dall'azienda in conseguenza della cessazione del rapporto di locazione, mentre il compenso trova un limite nella misura dell'utilità che ne può derivare al locatore, non deve comunque superare il "limite massimo di trenta mensilità del canone di affitto che l'immobile può rendere secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche" e "non é dovuto se il contratto non é stato rinnovato per volontà del conduttore".

La conseguenza paventata dalla ordinanza di rimessione non ha pertanto ragione di essere: il richiamo dei termini, stabiliti dalla legge, entro i quali il locatore deve intimare la disdetta, e quindi il conduttore comunicare le sue proposte concernenti la misura del canone offerto per il prolungamento biennale del contratto, esclude ogni possibilità che il conduttore stesso possa pretendere di rimanere in possesso dei locali a tempo indeterminato (vale a dire, fino al termine di un giudizio in merito), poiché la proroga biennale é subordinata all'accordo delle parti.

Nella ipotesi, poi, che tale accordo non sia raggiunto e che si debba addivenire all'accertamento dell'entità del compenso dovuto al conduttore per la perdita dell'avviamento subita dall'impresa in conseguenza della cessazione del rapporto di locazione, non é possibile contestare che la legge ha predisposto le forme e i limiti necessari affinché tale accertamento abbia luogo mediante le maggiori garanzie, offerte dalla necessità di un giudizio affidato agli organi giurisdizionali e dai limiti minimi e massimi (utilità derivante al locatore, riferimento alle mensilità di canone di affitto corrispondenti ai prezzi correnti di mercato) ricavabili da elementi e dati obbiettivi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, ultimo comma, della legge 27 gennaio 1963, n. 19, per la "Tutela giuridica dell'avviamento commerciale", in riferimento all'art. 42, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 21 giugno 1966.