Sentenza n. 9 del 1966
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SENTENZA N. 9

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 81, secondo e terzo comma, del Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 3 marzo 1965 dal Pretore di Pesaro nel procedimento penale a carico di Romoli Ranieri, iscritta al n. 104 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 171 del 10 luglio 1965.

Udita nella camera di consiglio del 18 novembre 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale contro Romoli Ranieri imputato di quattro distinti reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il Pretore di Pesaro, con ordinanza del 3 marzo 1965, ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 81, secondo e terzo comma, del Codice penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Premesso che, secondo la interpretazione giurisprudenziale prevalente, sussiste reato continuato, ai sensi dell'art. 81, secondo e terzo comma, del Codice penale, anche nel caso di concorso formale omogeneo, cioè nel caso in cui con una sola azione ad effetto plurimo, esecutiva di un medesimo disegno criminoso, viene violata simultaneamente più volte la stessa disposizione di legge, l'ordinanza osserva che tale pur autorevole interpretazione (da ritenere analogica e non semplicemente estensiva) non può essere seguita in quanto: a) la normativa dell'art. 81, secondo e terzo comma, rappresenta una eccezione alle norme generali sul concorso di reati e sul cumulo delle pene; b) l'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al Codice civile, dispone che le leggi che fanno eccezione a regole generali non si applicano oltre i casi ed i tempi in esse considerati; c) l'art. 81, secondo e terzo comma, non può applicarsi se non quando siano state poste in essere dal reo "più azioni od omissioni" con la conseguenza che, mancando il presupposto di una pluralità di condotte, la ipotizzabilità del reato continuato deve essere esclusa. Ma la norma, se esattamente interpretata - osserva ancora l'ordinanza - é in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, che sancisce l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Ed invero, il principio di eguaglianza é violato ogni qualvolta la disparità di trattamento non sia determinata da una situazione particolare di fronte alla quale il legislatore abbia ritenuto di dover predisporre singolari e differenziate discipline. E, nei confronti di chi abbia commesso una pluralità di violazioni di una medesima norma con una sola azione od omissione, la inapplicabilità della regolamentazione del reato continuato realizza una disparità non riconducibile ragionevolmente ad una siffatta situazione. L'ordinanza conclude rilevando che la evidente ingiustizia della disparità di trattamento é riconosciuta dall'elevato numero di sentenze che, per ovviare all'illogico ed iniquo inconveniente, forzando il significato e l'interpretazione delle norme sul reato continuato, hanno equiparato le due ipotesi assumendole entrambe sotto la disciplina di tal reato.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 171 del 10 luglio 1965.

Non vi é stata costituzione di parti, né intervento del Presidente del Consiglio, onde la questione é stata discussa in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

Secondo l'ordinanza di rimessione, la norma dell'art. 81, secondo e terzo comma, del Codice penale - nella parte in cui concede un trattamento favorevole a chi con più azioni od omissioni, e con lo stesso disegno criminoso, viola più volte la medesima disposizione di legge, ma esclude tale trattamento nel caso in cui la pluralità di violazioni sia commessa con una sola azione od omissione - sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, che sancisce l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. La disparità di trattamento non sarebbe, in tal caso, dettata da una situazione particolare di fronte alla quale il legislatore possa ragionevolmente disporre una diversa disciplina.

La questione non é fondata.

L'ordinanza riconosce che nella giurisprudenza é prevalente l'opinione che il trattamento del reato continuato (art. 81, secondo comma, del Codice penale) debba estendersi anche alla ipotesi in cui, con una unica azione ad effetto plurimo siano prodotte più violazioni simultanee della stessa disposizione di legge. Secondo questa interpretazione, il fondamento e la ragione della disposizione che, con una fictio juris, considera come reato unico (continuato) questa pluralità di reati, risiedono nella unicità del disegno criminoso, che attenua la responsabilità penale. Identica unità di disegno criminoso é da riconoscersi per la ipotesi in cui una sola sia l'azione od omissione, alla quale consegua una pluralità di beni violati e quindi una pluralità di infrazioni giuridiche. Nell'affermare inoltre che il reato continuato può essere commesso anche con una sola azione od omissione, si aggiunge che l'art. 81 parla di più azioni od omissioni, non nel senso che esse debbano necessariamente essere plurime, ma piuttosto nel senso che possano essere anche più di una.

Con siffatta interpretazione, le due ipotesi vengono equiparate sotto il riflesso che, sussistendo una violazione plurima della stessa disposizione di legge, non ha rilevanza - agli effetti dell'art. 81 del Codice penale - che una o più siano le azioni o le omissioni. E le due ipotesi vengono entrambe assunte sotto la disciplina del reato continuato, in quanto nell'uno e nell'altro caso sussiste quella unicità di disegno criminoso che ha indotto il legislatore a considerare i vari reati legati fra di loro, fino ad essere puniti come se fossero unico reato.

Orbene, la prevalente interpretazione, alla quale questa Corte ritiene di aderire, esclude la Differenza di trattamento lamentata dall'ordinanza e raggiunge altresì l'effetto di un armonico rapporto di proporzione fra il reato commesso e la misura della pena.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 81, secondo e terzo comma, del Codice penale, sollevata dal Pretore di Pesaro, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con ordinanza del 3 marzo 1965.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 8 febbraio 1966.